Prefazione
a
Lampi di sole tra la pioggia, Il Portone/Letteraria, Pisa 2002. Pp. 32
di
Mara Santoni
ma per Mara Santoni "Lampi di sole tra la pioggia",
perché laggiù non scende mai la sera."
Poesia limpida, chiara quella di Mara Santoni, sorretta da una lunga esperienza poetica, da una maturazione artistica che trasuda dall’impiego delle diverse strutture metriche, dai molteplici contenuti affrontati, nei quali significante e significato si convalidano con apporti reciproci.
Ma è l’amore a dominare incontrastato in questa raccolta: l’amore per il compagno, l’amore per la madre, per la vita, la natura, per le cose semplici, per i sofferenti; e tutto si fa commovente e estremamente lirico, quando i diversi momenti dell’esistenza si concretizzano in immagini evase da un memoriale che l’autrice vuole rivivere come unico motivo di esistenza: “E a me ritornano le verdi fronde, / fremito di primavera. / Non esiste il presente. /... Sono fruscii di foglie d’autunno / e cupo è il cielo / dove le stelle han chiuso gli occhi.”(Le stelle han chiuso gli occhi). “Tendesti la mano / alla mia giovinezza, / e mi trovai tra le tue braccia / Solo noi conosciamo / gli anni di nostra primavera, / quando bastava uno sguardo / a profumar la vita.” (E mi trovai tra le tue braccia). “Era il domani a sussurrar parole / a colmare di carezze il cuore / che dispiegava l’aria ad orizzonti / dal mitico richiamo.../...io...ti amo” (Non basta più una rondine). “Amo pensarti là, dove il male si arresta / dove tutto è un cantare, tutto è festa”. (Lazzaro muore).
Però il sentimento d’amore e il passato che torna a farsi vita si tramutano spesso in dolore di fronte all’ingiustizia e alla cecità di un mondo che l’autrice sente lontano: “Con il superfluo, nessuno è contento. / Ieri... domani... / E siamo soli tra pensieri vani”. (Piccolo mondo). “Ti vedo ancora là, sul marciapiedi, / attendi l’olocausto della fame / con il pancino in vista,...” (Lazzaro muore).
Così l’anima della poetessa con lo sguardo oltre i limiti delle ingiustizie riesce a proiettarsi in un mondo dove l’amore regna sovrano: “No, non ricordi più quel ch’eri ieri; / tutto si è cancellato dai pensieri. / Vivi nel mondo dove regna amore. / Ora, sei tra le braccia del Signore”. (Lazzaro muore). “Ora avrai ripreso le sembianze / di quella foto di cui andavi fiera / e più non conti i giorni /...perché lassù non scende mai la sera”. (Non scende mai la sera).
A volte la reazione e il risentimento per tutto ciò che l’autrice condanna si fanno più diretti e più sferzanti: “Ora la gente impazza tra paradisi artificiali / dall’amaro sapor di frivolezza, / e i valori non sono più di moda...” (Non basta più una rondine). “Tra fratelli si uccidono in guerra. / Ladri e ricattatori tra la gente. / Il mondo brinda ai vizi capitali. “ (Amor che guardi il mondo oltre le stelle). Ma la poetessa sembra trovare rifugio in un mondo di ricordi che si fanno sempre più luminosi ora che “sulle fredde stanche mani / sono avvizziti i giorni / che sognavo”. (Negli occhi i fiordalisi dell’estate).
La coscienza della fragilità dell’esistenza crea un’iquietudine che si fa anche motivo di profonda liricità memoriale: “Alle fontane, con le brocche ai fianchi, / ragazze che pettegolano storie, / l’ultima novità del piccolo paese / che non chiedeva nulla al vostro mondo. / ... Piccolo mondo, ricamo di poesia, / che tra lusinghe e sguardi sei svanito...”. (Piccolo mondo). Le cose più umili erano sufficienti a creare un clima di idilliaca serenità: i vecchi sulle panchine, i bimbi a schiamazzare lieti, le donne con il pane fresco, una casa con povere cose. Ma tutto passa, si evolve e si trasforma come già dicevano gli antichi poeti; e forse è per natura che restiamo vincolati a quel piccolo mondo che la dea giovinezza colora di un azzurro sempre più celestiale. Lo riviviamo in perpetuo, s’ingigantisce dentro noi, rendendo affettivamente positive anche certe sue note negative: “E vegliano i ricordi in fondo al cuore / che tra la pioggia ha lampi di sole”. (Lampi di sole tra la pioggia). “Sorridevi / seduta davanti al portone; / sorridevi al sole / che scaldava il tuo inverno / ... Come diversa / la mia infanzia ti vedeva! / Ora, non più, / ora che poche rampe / di gradini / dividono la mia / dalla tua età”. (Era il silenzio che abbraccia parole). Questo è il momento poetico di maggiore liricità.
In A Silvia il Leopardi non vive la donna, ma tutto un mondo passato con i suoi palpiti esistenziali; le parvenze si sono fatte immagini, hanno covato nell’anima fino a trasformarsi in rivoli di poesia. E qui, in Era il silenzio che abbraccia parole, ogni barlume, ogni riferimento naturale, ogni apparenza esterna, sono oggettivazioni di stati d’animo: il portone, il sole, i bianchi capelli, lo scialle, i giochi della primavera. Ogni elemento lessicale fa parte di un tutto omogeneo e sincronicamente bilanciato tra forma e contenuto: il passato, il presente, il tramonto che osserva l’aurora, il silenzio che abbraccia parole sono tante creazioni metaforico-intimistiche che impreziosiscono il dettato poetico e rendono universale uno stato d’animo soggettivo.
Lo stile della silloge è arrivante, comunicativo, coinvolgente; i versi sono combinati in spartiti vari e differenziati; l’impiego della metafora, dell’assonanza, della rima - usata in maniera moderna e misurata - e della sapiente alternanza di versi brevi a misure più ampie, di trame libere a costrutti classicheggianti, accompagna il filo lirico della malinconia esistenziale con un piacevole sottofondo di musicalità.
Nazario Pardini
Arena Metato 30-06-2002
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