Da POMEZIA-NOTIZIE, Giugno 2014
COMMENTO CRITICO DI
CARMELO CONSOLI
CARMELO CONSOLI
COLLABORATORE DI LEUCADE
CARMELO CONSOLI COLLABORATORE DI LEUCADE |
Nazario
Pardini
Opere
dal 1997 al 2013
Alla ricerca di una personale catarsi
tra
Natura e Classicità
Nazario
Pardini, di cui sono orgogliosamente amico ed entusiasta ammiratore, è uno di
quegli artisti che fanno uso in maniera superlativa della parola poetica e sono
punti di riferimento luminosi di saggezza e cultura.
La
sua poesia da molti anni è un fiume in piena di versi con immagini incantevoli
e contenuti profondissimi il cui corso non accenna a diminuire col passare del
tempo, come pure non diminuisce la sua passione e competenza, che si esprime in
maniera eccellente, per la critica letteraria e d'arte.
Una
punta di diamante quest'ultima di cui ci può subito rendere conto frequentando,
ad esempio, il suo animatissimo blog. “Alla Volta di Lèucade.”
La
“Laurea Apollinaris” recentemente attribuitagli, come alta onorificenza per
l'attività letteraria, è l'ennesimo, meritatissimo riconoscimento alla sua arte
poetica e narrativa; celebra dunque l'uomo e l'artista giunto ormai ai vertici
della popolarità nel mondo della cultura nazionale e internazionale.
Con
questa premessa, ma con grande cautela e rispetto, mi sono avvicinato al suo
mondo poetico leggendone attentamente alcune opere che coprono l'arco del tempo
che va dal 1997 al 2013, tentando così di penetrare nelle viscere della sua
poesia, scrutarne la fonte e il decorso, fino alla scoperta delle motivazioni
segrete e degli approdi finali.
Tentativo
arduo, se volete, già in partenza, conoscendo la mole e la ricchezza della sua
produzione, la grande cultura e conoscenza dei classici antichi e moderni che
lo contraddistingue facendone un autore di elevata complessità, poliedrico ed
eclettico, dai grandi significati umani e letterari.
Il
lungo percorso poetico di Pardini mostra col passare degli anni sempre una
forte coesione di scenari e finalità in
cui la sua parola si è tuttavia sempre di più affinata e resa complessa nel
dettato lirico e nella ricerca esistenziale.
Da
L'ultimo respiro dei gerani del 1997
a Dicotomie del 2013 la scrittura di
Nazario s'arricchisce di nervature filosofico esistenziali, di articolazioni e
approfondimenti verbali, sempre rappresentando l'uomo che cerca attraverso la
parola una personale catarsi, immerso
nella natura e nel mondo della più alta classicità.
Ma
egli avverte col procedere del tempo la fragilità in ciò che lo circonda ed un
velo di malinconica sembra calare sul suo canto.
Più
lacerante si fa il suo dolore nel mondo soprattutto per il consumismo
imperante, la tecnologia arrembante, il disfacimento dei valori; di conseguenza
più avvertiti sono in lui il richiamo
e l'interrogazione verso il mistero
della vita e l'assoluto che lo circonda.
Quando
scrisse L'ultimo respiro dei gerani e
siano nell'anno 1997 egli era poeta già conosciutissimo sulla scena letteraria
italiana come fine ed erudito interlocutore della natura, narratore dello
storia dell'uomo, del suo e altrui travaglio, ma già pronto e maturo per
spiccare il salto verso quell'isola del sogno che sarà poi la sua Lèucade, terreno
fertile per la nuova silloge che vedrà la luce due anni dopo.
Alla volta di Leucade
sarà poi l'opera poetica che riuscirà
forse meglio a rappresentarlo come eminenza poetica, se teniamo conto delle
considerazioni critiche profuse su questa opera, da alte personalità, ed in generale degli
onori e dei riconoscimenti vari ottenuti.
Ma
già in questo testo del “97”che porta
l'abile prefazione di Ninny di Stefano Busà troviamo le tipiche
tematiche pardiane ad iniziare dalla complementarietà del suo paesaggio d'anima
con quello della natura, riscontro evidente, che colpisce immediatamente chi si
immerge nella lettura delle sue liriche.
Inoltre
già si evidenziano e si consolidano ulteriormente le sue straordinarie
qualità lessicali, la sua figura di personaggio
erudito attraverso la quale attinge
disinvoltamente e brillantemente alle fonti della classicità antica.
Dalla
terra Pardini coglie fragranze, cromie, visioni estatiche, contenuti
vitalistici ma anche povertà, fatica e dolore.
È il cantore di una vita tanto
dura, quanto laboriosa e armonica, capace di calarsi con realismo, obbiettività
e commozione nell'humus dei campi, rivelandosi poeta di usanze e costumi,
memoria di bellezze che mai hanno il sapore smielato e lamentoso dei ricordi
andati ma che invece sono terreno
fertile per alimentare gli spazi aurei della vita che prosegue.
Un
pianeta terra, il suo, costantemente movimentato e sempre di più ampio respiro
in cui si integrano e si mescolano l'analisi
minuziosa delle creature viventi, la magnificenza dei paesaggi e la commossa partecipazione della
sua anima.
I
due grandi poli che caratterizzano la sua poesia sono da un lato l'adesione estrema alla
realtà semplice e complessa della natura, come
riferimento ad un assoluto valore esistenziale ed emblema del vivere
umano, costituito da vicissitudini tragiche e proiezioni salvifiche, dall'altro
il continuo ricorso al richiamo della cultura classica come valore della
bellezza idilliaca rappresentata dai
grandi mondi e poeti lirici antichi.
Appare
subito chiaro però che egli non appartiene a scuole o correnti di poesia, anche
se i suoi versi risentono della tradizione novecentesca e antecedente da
Leopardi a Pascoli, da D'annunzio a Montale, perché il suo scavo d'anima è
moderno e con modernità tutta sua
sottolinea il dolore e la naturale decadenza della vita annunciandone poi la rinascita e la bellezza
ideale.
Col
senno di poi e sulla scorta delle successive letture dei suoi libri se mai una
critica, anche pur benevola, si possa
fare a questo libro del “97” possiamo parlare di esso come di un contenitore
ancora avvolto da una fresca innocenza
di immagini, di abbandoni a lecci, pini, querce, vicoli, paesaggi e silenzi,
senza quella forte compromissione di cultura e di maturità pensosa ed
esistenziale che lo condizionerà successivamente da “Alla volta di Leucade”
in poi.
L'anno
1999 segna il momento magico della
poesia pardiana, il compendio ideale del suo pensiero poetante e filosofico.
Nasce
la silloge nella quale meglio si amalgamano e si fondono i momenti agresti con
quelli aulici della classicità; l'autore con disinvoltura ed eleganza si muove
tra esperienze rurali, personali di vita e modelli ideali a cui fare
riferimento.
Si
completa così l'armonia formale tra questi due contenitori e si fa marcata la
materia del viaggio come metafora di una trovata eternità nella intensità e
nella qualità della vita.
Ancora
una volta egli si volge alla stagione autunnale come momento di amara e
consapevole malinconia della vita,
percependo in essa la precarietà e la fragilità umana, ma anche
facendone momento prezioso per fare un consuntivo, accettare un giudizio,
immergendosi poi in quelle oniriche acque di Leucade e ricorrendo al proprio e
altrui sogno per una esistenza tesa ad una fecondità di amore senza limiti.
Pardini,
come sempre, ricorre al fascino seducente della memoria utilizzando
magistralmente l'endecasillabo in una completa fusione tra materiale e
spirituale; fa appello alla sua natura, sempre più la sua amante segreta,
sottolinea il fatalismo della sua decadenza ma anche ne preannuncia la
rinascita e la bellezza salvifica.
E
la memoria è la protagonista col suo
inventario delle stagioni dell'esistenza.
Disegna
la vita come viaggio perenne, fissandone attimi singoli e stagioni intere nella
loro realtà di fascino e dolore.
La
natura primattrice è quindi la sua compagna di viaggio, maestra di vita, madre
illuminante, coscienza di sé e della propria umanità.
Dunque
il viaggio, un ideale itinerario nelle varie fasi di partenza, fuga, ritorno,
approdo e ancora ripartenza, ma anche via di fuga, trampolino per proiettarsi
in un altrove onirico e catartico, per dimenticare il quotidiano dolore ed
esorcizzare la morte.
Ed
in Ulisse che si appresta a ripartire ed oltrepassare le colonne del mistero
egli disegna la metafora della conoscenza e della sfida.
Compie
dunque il grande salto nell'isola del sogno, della nostalgia e della
memoria. Un balzo verso l'eternità,
verso Lèucade terra idilliaca di canti,
quelli di Alcmane, Ibico, Saffo, Alceo,
Stesicoro .
Il
poeta entra con fermezza e naturalezza
nel mondo classico, assunto di bellezza e armonia, in quell'isola dove sarebbe
bello chiudere il ciclo della vita e dare un senso alla fuga dal passato nella
catartica soluzione degli amori impossibili, riacquistando la serenità come
affrancamento dal turbinio delle passioni e dalla sofferenza dell'amore.
Siamo
dunque ad un mondo di massima purificazione ed elevazione, ad una conquista
metafisica di sé. Pardini è ormai padrone di una poesia piena e matura,
descrittiva e riflessiva, con assenze e ritorni, scoperte e stupori, ricordi e
talora rimpianti nella completata
fusione tra i classici e i moderni. Un altissima testimonianza lirica.
Sul
piano stilistico si riscontra l'assoluta bellezza del lessico, la padronanza
perfetta della metrica, l'uso magistrale dell'endecasillabo più armonioso.
Quasi
subito dopo il nostro poeta dà alle stampe un altro suo volume dal titolo Si aggirava
nei boschi una fanciulla e siamo nell'anno 2000, ancora sul suo terreno
preferito e cioè quello della natura.
Ma
andiamo verso un mutamento dei segni e dell'anima.
In
questo libro domina una vena di malinconia per un mondo che si involve andando
incontro ad una sponda di inquinamento e distruzione.
Le
tematiche affrontate dall'autore, principalmente nella prima parte del volume,
attingono ad una terra di disuguaglianze sociali e di orrori prodotti
dall'uomo.
Le
poesie si allungano, i periodi dialogati si ripetono con una voglia
incontenibile di narrare e la prosa diventa strumento di tragicità della
realtà.
Una
natura soprattutto violata quella che canta, e quindi tale è anche la tematica
della lirica più rappresentativa Una
ninfa di nome natura.
La
poesia di Pardini, sempre racchiusa nell'endecasillabo, cambia adesso la quiete
aulica del paesaggio, con tonalità che si fanno a tratti tragicamente
analitiche e fantastiche.
Il
poeta insiste sui temi trattati, rendendo sempre più evidenti i problemi laceranti che emergono dalle sue
prese di posizione, anche se poi la
natura riemerge prepotentemente con la
sua genuinità di presenze.
In
Tramonti su itenerari laici appare l'uomo distrutto da un progresso
sbagliato.
Seguono
gli Undici canti, alcuni con tratti
brevi, altri più lunghi e profondi all'interno di un ambiente in cui egli ritrova
la classicità tra boschi e ninfe.
Undici
canti di terra in cui ritornano le voci dei padri, le rinascite e gli
abbandoni.
Nell'ultima
silloge Canzoniere pagano il poeta
ritorna ad una maggiore intimità, tenerezza e complicità e la sua natura assume
toni di melanconia immersa nell'equilibrio tra violenza e morte.
L'evidenza
maggiore del mutamento della poesia di
Pardini ci appare nel suo modo nuovo di relazionarsi con la realtà, attraverso
la sua partecipazione diversa al dolore dell'uomo. Alle memorie idilliache si
affianca la realtà con le lacerazioni insanabili; persino l'utilizzo della metrica ne risente.
Una
sezione dell'opera, dal titolo Sul fiume è dedicata
al mitico “Pesceraro”, apparentato in pittura con il pesce d'oro di Paul
Klee.
Qua
i toni della sua poesia si fanno evangelici e pagani al tempo stesso di fronte
alla ricoperta della vitalità del Cristo a cui il simbolo del pesce
corrisponde.
Cristo
parla al poeta ed egli vi si identifica seguendo la propria linea cristologica.
Passano
cinque anni ed il nostro poeta si cimenta in un piccolo poemetto con parti
dialogate e monologhi nel suo nuovo volume Dal
Lago al fiume che appunto porta la data del 2005.
Un
volume in cui domina il paesaggio lacustre che prelude al fiume, visto nella
sua luce settembrina; un ambiente animato da animali acquatici, soprattutto
uccelli e dove la presenza dell'uomo è rara anche se ovunque si avverte,
rappresentata da personaggi a turno chiamati Anchise, Nonno Felice, l'io
narratore.
Riappare
il suo tipico mondo palpitante di vita in cui si fondono passato, presente,
futuro e dove l'autore, il paesaggio, gli animali vivono in perfetta armonia.
La povertà, il dolore assumono un valore positivo dalla contemporanea presenza
di vibrazioni positive ed elementi vitali.
La
parte centrale del poemetto è riservata alla poesia Apparizione che esprime in maniera più tangibile ed incisiva il suo
universo poetico.
Natura
ed umanità si completano, la luce più viva e la gioia non escludono la tenebra,
il crepuscolo, il dolore; una terra dove il poeta ritiene di poter recuperare i
valori ancestrali della vita nonostante
l'età del consumismo e della tecnologia.
Il
suo linguaggio si fa semplice, piano senza però rinunziare a ricorrere a
preziosismi lessicali e neo formazioni classiche attraverso tecniche espressive
e stilistiche originali e ardite.
E
tutto questo per sottolineare il suo sensibilissimo ascolto della natura.
Straordinaria poi è la ricchezza dei termini utilizzati per
elencare la vegetazione e gli animali, cosa che rende deliziosa e intrigante la lettura.
E
siamo nel 2013 quando vede la luce la silloge dal titolo Dicotomie.
Pardini
è un poeta ormai affermatissimo che non deve più nulla dimostrare circa le sue
qualità poetiche se non riaffermare una straordinaria e consolidata parola
lirica e qua si cimenta ancora più profondamente nella interiorità di se stesso
e nella ricerca della espressione creativa del suo verbo.- Uno scavo intenso il
suo adesso dell'anima e della parola teso a svelare dispute e incongruenze, ma
che in realtà rimane sempre
essenzialmente canto d'amore a tutto tondo per ciò che lo circonda e per la
bellezza in assoluto del creato.
Non
a caso una delle più appariscenti dicotomie riguarda l'uomo e la presenza di
Dio. L'umano si disperde nel divino ed il divino si raccoglie nell'umano.
Tre
le sezioni. La prima: Dicotomie tra
ricordi, considerazioni, visioni e domande esistenziali in cui appare la poesia
più rappresentativa a mio giudizio dal titolo Esisto?
Poi
Racconti in versi, una sequenza di
episodi in cui si evidenzia una narrazione poetica contrassegnata da un alto
timbro morale e ad indirizzo formativo.
Infine
la terza ed ultima sezione: D'amore di
terra e di mare dove ancora una volta egli si fa protagonista appassionato
di una storia infinita di stati d'animo,
di nature, tra vita e morte.
Dunque
dicotomie ma sempre in presenza di una loro coerenza ed armonia.
Giunto
al termine di questo lungo excursus poetico, preso in esame, mi pare di
scorgere nella parola di Nazario Pardini, prima di ogni altra considerazione,
un pluriennale canto alla vita sempre coeso, lucidissimo, raffinatissimo dove
costantemente si fanno protagoniste la vita, la morte e la rinascita ed in cui
il linguaggio utilizzato è talmente prezioso ed i messaggi contenuti talmente
alti da fare di lui una delle voci più affermate della poesia contemporanea; un
canto che certamente non si spegnerà
fino a quando l'amico ed illustre poeta
avrà l'onore e l'onere di appartenere a questa terra e anche dopo quando
resterà nel vivo ricordo che gli altri avranno di lui e della sua
inimitabile poesia.
Carmelo Consoli
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