mercoledì 18 giugno 2014

C. CONSOLI: "LA POESIA DI N. PARDINI"

Da POMEZIA-NOTIZIE, Giugno 2014

COMMENTO CRITICO DI 
CARMELO CONSOLI
COLLABORATORE DI LEUCADE


CARMELO CONSOLI COLLABORATORE DI LEUCADE

Nazario Pardini
Opere dal 1997 al 2013
Alla ricerca di una personale catarsi
tra
Natura e Classicità

Nazario Pardini


Nazario Pardini, di cui sono orgogliosamente amico ed entusiasta ammiratore, è uno di quegli artisti che fanno uso in maniera superlativa della parola poetica e sono punti di riferimento luminosi di saggezza e cultura.
La sua poesia da molti anni è un fiume in piena di versi con immagini incantevoli e contenuti profondissimi il cui corso non accenna a diminuire col passare del tempo, come pure non diminuisce la sua passione e competenza, che si esprime in maniera eccellente, per la critica letteraria e d'arte.
Una punta di diamante quest'ultima di cui ci può subito rendere conto frequentando, ad esempio, il suo animatissimo blog. “Alla Volta di Lèucade.”
La “Laurea Apollinaris” recentemente attribuitagli, come alta onorificenza per l'attività letteraria, è l'ennesimo, meritatissimo riconoscimento alla sua arte poetica e narrativa; celebra dunque l'uomo e l'artista giunto ormai ai vertici della popolarità nel mondo della cultura nazionale e internazionale.
Con questa premessa, ma con grande cautela e rispetto, mi sono avvicinato al suo mondo poetico leggendone attentamente alcune opere che coprono l'arco del tempo che va dal 1997 al 2013, tentando così di penetrare nelle viscere della sua poesia, scrutarne la fonte e il decorso, fino alla scoperta delle motivazioni segrete e degli approdi finali.
Tentativo arduo, se volete, già in partenza, conoscendo la mole e la ricchezza della sua produzione, la grande cultura e conoscenza dei classici antichi e moderni che lo contraddistingue facendone un autore di elevata complessità, poliedrico ed eclettico, dai grandi significati umani e letterari.
Il lungo percorso poetico di Pardini mostra col passare degli anni sempre una forte coesione di scenari e finalità  in cui la sua parola si è tuttavia sempre di più affinata e resa complessa nel dettato lirico e nella ricerca esistenziale.
Da L'ultimo respiro dei gerani del 1997 a Dicotomie del 2013 la scrittura di Nazario s'arricchisce di nervature filosofico esistenziali, di articolazioni e approfondimenti verbali, sempre rappresentando l'uomo che cerca attraverso la parola una personale catarsi,  immerso nella natura e nel mondo della più alta classicità.
Ma egli avverte col procedere del tempo la fragilità in ciò che lo circonda ed un velo di malinconica sembra calare sul suo canto.
Più lacerante si fa il suo dolore nel mondo soprattutto per il consumismo imperante, la tecnologia arrembante, il disfacimento dei valori; di conseguenza più avvertiti sono in lui  il richiamo e  l'interrogazione verso il mistero della vita e l'assoluto che lo circonda.
Quando scrisse L'ultimo respiro dei gerani e siano nell'anno 1997 egli era poeta già conosciutissimo sulla scena letteraria italiana come fine ed erudito interlocutore della natura, narratore dello storia dell'uomo, del suo e altrui travaglio, ma già pronto e maturo per spiccare il salto verso quell'isola del sogno che sarà poi la sua Lèucade, terreno fertile per la nuova silloge che vedrà la luce due anni dopo.
Alla volta di Leucade sarà poi l'opera poetica che  riuscirà forse meglio a rappresentarlo come eminenza poetica, se teniamo conto delle considerazioni critiche profuse su questa opera,  da alte personalità, ed in generale degli onori e dei riconoscimenti vari ottenuti.
Ma già in questo testo del “97”che porta  l'abile prefazione di Ninny di Stefano Busà troviamo le tipiche tematiche pardiane ad iniziare dalla complementarietà del suo paesaggio d'anima con quello della natura, riscontro evidente, che colpisce immediatamente chi si immerge nella lettura delle sue liriche.
Inoltre già si evidenziano e si consolidano ulteriormente le sue straordinarie qualità  lessicali, la sua figura di personaggio erudito attraverso la  quale attinge disinvoltamente e brillantemente alle fonti della classicità antica.  
Dalla terra Pardini coglie fragranze, cromie, visioni estatiche, contenuti vitalistici ma anche povertà, fatica e dolore.  È il  cantore di una vita tanto dura, quanto laboriosa e armonica, capace di calarsi con realismo, obbiettività e commozione nell'humus dei campi, rivelandosi poeta di usanze e costumi, memoria di bellezze che mai hanno il sapore smielato e lamentoso dei ricordi andati  ma che invece sono terreno fertile per alimentare gli spazi aurei della vita che prosegue.
Un pianeta terra, il suo, costantemente movimentato e sempre di più ampio respiro in cui si integrano e si mescolano l'analisi  minuziosa delle creature viventi, la magnificenza dei  paesaggi e la commossa partecipazione della sua anima.
I due grandi poli che caratterizzano la sua poesia  sono da un lato l'adesione estrema alla realtà semplice e complessa della natura, come  riferimento ad un assoluto valore esistenziale ed emblema del vivere umano, costituito da vicissitudini tragiche e proiezioni salvifiche, dall'altro il continuo ricorso al richiamo della cultura classica come valore della bellezza idilliaca rappresentata dai  grandi mondi e poeti lirici antichi.
Appare subito chiaro però che egli non appartiene a scuole o correnti di poesia, anche se i suoi versi risentono della tradizione novecentesca e antecedente da Leopardi a Pascoli, da D'annunzio a Montale, perché il suo scavo d'anima è moderno  e con modernità tutta sua sottolinea il dolore e la naturale decadenza della vita  annunciandone poi la rinascita e la bellezza ideale.
Col senno di poi e sulla scorta delle successive letture dei suoi libri se mai una critica, anche  pur benevola, si possa fare a questo libro del “97” possiamo parlare di esso come di un contenitore ancora avvolto da  una fresca innocenza di immagini, di abbandoni a lecci, pini, querce, vicoli, paesaggi e silenzi, senza quella forte compromissione di cultura e di maturità pensosa ed esistenziale che lo condizionerà successivamente da “Alla volta di Leucade” in  poi.                                                                                                                          
L'anno 1999 segna il momento  magico della poesia pardiana, il compendio ideale del suo pensiero poetante e filosofico.
Nasce la silloge nella quale meglio si amalgamano e si fondono i momenti agresti con quelli aulici della classicità; l'autore con disinvoltura ed eleganza si muove tra esperienze rurali, personali di vita e modelli ideali a cui fare riferimento.
Si completa così l'armonia formale tra questi due contenitori e si fa marcata la materia del viaggio come metafora di una trovata eternità nella intensità e nella qualità della vita.
Ancora una volta egli si volge alla stagione autunnale come momento di amara e consapevole malinconia della vita,  percependo in essa la precarietà e la fragilità umana, ma anche facendone momento prezioso per fare un consuntivo, accettare un giudizio, immergendosi poi in quelle oniriche acque di Leucade e ricorrendo al proprio e altrui sogno per una esistenza tesa ad una fecondità di amore senza limiti.
Pardini, come sempre, ricorre al fascino seducente della memoria utilizzando magistralmente l'endecasillabo in una completa fusione tra materiale e spirituale; fa appello alla sua natura, sempre più la sua amante segreta, sottolinea il fatalismo della sua decadenza ma anche ne preannuncia la rinascita e la bellezza salvifica.
E la memoria è  la protagonista col suo inventario delle stagioni dell'esistenza.
Disegna la vita come viaggio perenne, fissandone attimi singoli e stagioni intere nella loro realtà di fascino e dolore.
La natura primattrice è quindi la sua compagna di viaggio, maestra di vita, madre illuminante, coscienza di sé e della propria umanità.
Dunque il viaggio, un ideale itinerario nelle varie fasi di partenza, fuga, ritorno, approdo e ancora ripartenza, ma anche via di fuga, trampolino per proiettarsi in un altrove onirico e catartico, per dimenticare il quotidiano dolore ed esorcizzare la morte.
Ed in Ulisse che si appresta a ripartire ed oltrepassare le colonne del mistero egli disegna la metafora della conoscenza e della sfida.
Compie dunque il grande salto nell'isola del sogno, della nostalgia e della memoria.  Un balzo verso l'eternità, verso Lèucade  terra idilliaca di canti, quelli di Alcmane, Ibico, Saffo,  Alceo, Stesicoro .
Il poeta entra con fermezza  e naturalezza nel mondo classico, assunto di bellezza e armonia, in quell'isola dove sarebbe bello chiudere il ciclo della vita e dare un senso alla fuga dal passato nella catartica soluzione degli amori impossibili, riacquistando la serenità come affrancamento dal turbinio delle passioni e dalla sofferenza dell'amore.
Siamo dunque ad un mondo di massima purificazione ed elevazione, ad una conquista metafisica di sé. Pardini è ormai padrone di una poesia piena e matura, descrittiva e riflessiva, con assenze e ritorni, scoperte e stupori, ricordi e talora rimpianti  nella completata fusione tra i classici e i moderni. Un altissima testimonianza lirica.
Sul piano stilistico si riscontra l'assoluta bellezza del lessico, la padronanza perfetta della metrica, l'uso magistrale dell'endecasillabo più armonioso.
Quasi subito dopo il nostro poeta dà alle stampe un altro suo volume dal titolo Si aggirava nei boschi una fanciulla e siamo nell'anno 2000, ancora sul suo terreno preferito e cioè quello della natura.
Ma andiamo verso un mutamento dei segni e dell'anima.
In questo libro domina una vena di malinconia per un mondo che si involve andando incontro ad una sponda di inquinamento e distruzione.
Le tematiche affrontate dall'autore, principalmente nella prima parte del volume, attingono ad una terra di disuguaglianze sociali e di orrori prodotti dall'uomo.
Le poesie si allungano, i periodi dialogati si ripetono con una voglia incontenibile di narrare e la prosa diventa strumento di tragicità della realtà.
Una natura soprattutto violata quella che canta, e quindi tale è anche la tematica della lirica più rappresentativa Una ninfa di nome natura.
La poesia di Pardini, sempre racchiusa nell'endecasillabo, cambia adesso la quiete aulica del paesaggio, con tonalità che si fanno a tratti tragicamente analitiche e fantastiche.
Il poeta insiste sui temi trattati, rendendo sempre più evidenti  i problemi laceranti che emergono dalle sue prese di posizione, anche se poi  la natura riemerge prepotentemente  con la sua genuinità di presenze.
In Tramonti su itenerari laici  appare l'uomo distrutto da un progresso sbagliato.
Seguono gli Undici canti, alcuni con tratti brevi, altri più lunghi e profondi all'interno di un ambiente in cui egli ritrova la classicità tra boschi e ninfe.
Undici canti di terra in cui ritornano le voci dei padri, le rinascite e gli abbandoni.
Nell'ultima silloge Canzoniere pagano il poeta ritorna ad una maggiore intimità, tenerezza e complicità e la sua natura assume toni di melanconia immersa nell'equilibrio tra violenza e morte.
L'evidenza maggiore del  mutamento della poesia di Pardini ci appare nel suo modo nuovo di relazionarsi con la realtà, attraverso la sua partecipazione diversa al dolore dell'uomo. Alle memorie idilliache si affianca la realtà con le lacerazioni insanabili; persino l'utilizzo della  metrica ne risente.
Una sezione dell'opera, dal titolo Sul fiume  è dedicata  al mitico “Pesceraro”, apparentato in pittura con il pesce d'oro di Paul Klee.
Qua i toni della sua poesia si fanno evangelici e pagani al tempo stesso di fronte alla ricoperta della vitalità del Cristo a cui il simbolo del pesce corrisponde.
Cristo parla al poeta ed egli vi si identifica seguendo la propria linea cristologica.
Passano cinque anni ed il nostro poeta si cimenta in un piccolo poemetto con parti dialogate e monologhi nel suo nuovo volume Dal Lago al fiume che appunto porta la data del 2005.
Un volume in cui domina il paesaggio lacustre che prelude al fiume, visto nella sua luce settembrina; un ambiente animato da animali acquatici, soprattutto uccelli e dove la presenza dell'uomo è rara anche se ovunque si avverte, rappresentata da personaggi a turno chiamati Anchise, Nonno Felice, l'io narratore.
Riappare il suo tipico mondo palpitante di vita in cui si fondono passato, presente, futuro e dove l'autore, il paesaggio, gli animali vivono in perfetta armonia. La povertà, il dolore assumono un valore positivo dalla contemporanea presenza di vibrazioni positive ed elementi vitali.
La parte centrale del poemetto è riservata alla poesia Apparizione che esprime in maniera più tangibile ed incisiva il suo universo poetico.
Natura ed umanità si completano, la luce più viva e la gioia non escludono la tenebra, il crepuscolo, il dolore; una terra dove il poeta ritiene di poter recuperare i valori ancestrali della vita nonostante  l'età del consumismo e della tecnologia.
Il suo linguaggio si fa semplice, piano senza però rinunziare a ricorrere a preziosismi lessicali e neo formazioni classiche attraverso tecniche espressive e stilistiche originali e ardite.
E tutto questo per sottolineare il suo sensibilissimo ascolto della natura.
Straordinaria  poi è la ricchezza dei termini utilizzati per elencare la vegetazione e gli animali, cosa  che rende deliziosa e intrigante la lettura.
E siamo nel 2013 quando vede la luce la silloge dal titolo Dicotomie.
Pardini è un poeta ormai affermatissimo che non deve più nulla dimostrare circa le sue qualità poetiche se non riaffermare una straordinaria e consolidata parola lirica e qua si cimenta ancora più profondamente nella interiorità di se stesso e nella ricerca della espressione creativa del suo verbo.- Uno scavo intenso il suo adesso dell'anima e della parola teso a svelare dispute e incongruenze, ma che in realtà  rimane sempre essenzialmente canto d'amore a tutto tondo per ciò che lo circonda e per la bellezza in assoluto del creato.
Non a caso una delle più appariscenti dicotomie riguarda l'uomo e la presenza di Dio. L'umano si disperde nel divino ed il divino si raccoglie nell'umano.
Tre le sezioni. La prima: Dicotomie tra ricordi, considerazioni, visioni e domande esistenziali in cui appare la poesia più rappresentativa a mio giudizio dal titolo Esisto?
Poi Racconti in versi, una sequenza di episodi in cui si evidenzia una narrazione poetica contrassegnata da un alto timbro morale e ad indirizzo formativo.
Infine la terza ed ultima sezione: D'amore di terra e di mare dove ancora una volta egli si fa protagonista appassionato di una storia  infinita di stati d'animo, di nature, tra vita e morte.
Dunque dicotomie ma sempre in presenza di una loro coerenza ed armonia.
Giunto al termine di questo lungo excursus poetico, preso in esame, mi pare di scorgere nella parola di Nazario Pardini, prima di ogni altra considerazione, un pluriennale canto alla vita sempre coeso, lucidissimo, raffinatissimo dove costantemente si fanno protagoniste la vita, la morte e la rinascita ed in cui il linguaggio utilizzato è talmente prezioso ed i messaggi contenuti talmente alti da fare di lui una delle voci più affermate della poesia contemporanea; un canto che certamente non si spegnerà  fino a quando l'amico ed illustre poeta  avrà l'onore e l'onere di appartenere a questa terra e anche dopo quando resterà nel vivo ricordo che gli altri avranno di lui e della sua inimitabile  poesia.

                                                   Carmelo Consoli 













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