venerdì 6 giugno 2014

UMBERO CERIO: "CREATIVITA': VOCAZIONE O PROFESSIONISMO?"





UMBERTO CERIO COLLABORATORE DI LEUCADE

CREATIVITA’:  VOCAZIONE O PROFESSIONISMO ?

A CURA DI UMBERTO CERIO 
COLLABORATORE DI LEUCADE

     I problemi sollevati dalla redazione del Manifesto culturale “IL BANDOLO”, nato con l’intenzione dichiarata di “contrastare la dispersione che oggi caratterizza il sistema della produzione artistica”, non sono nuovi, ma nascono in un passato abbastanza lontano. Nascono, quantomeno in modo esplicito, nell’immediato secondo dopoguerra, cui già cerca di rispondere - anche in modo un po’ dimesso, ma deciso – nell’Intervista immaginaria, rilasciata da Eugenio Montale (in Rassegna d’Italia, 1° gennaio, 1946.), nella famosa “Risposta a Marforio”.
Eugenio Montale

E’ stata la prima cosa a cui ho pensato a proposito della diatriba VOCAZIONE – PROFESSIONISMO posta in primo piano ne “IL BANDOLO”. Qui non c’entra la scintilla tra Montale e i “poeti laureati”.
Il problema riguarda direttamente le condizioni del poeta in quanto tale (come nella polemica precedente Pascoli - D’Annunzio, nel dualismo “poeta-vate e poeta del quotidiano e delle piccole cose”, del resto già preannunciata dalla Signorina Felicita e da Totò Merumeni di gozzaniana memoria). Ma quando vi è la “risposta a Marforio” era appena passata la seconda guerra mondiale ed il ventennio fascista, momenti non certamente facili per gli intellettuali italiani (fra l’altro spaccati in due dal manifesto di Gentile e quello degli oppositori guidati dal Croce. Dell’ultimo è anche firmatario lo stesso Montale) ed il poeta genovese aveva già pubblicato due edizioni di “Ossi di seppia”, ” Le Occasioni” e le poesie di Finisterre.
GABRIELE D'ANNUNZIO
Nell’Intervista Montale non riflette e non parla solo della sua poesia, ma anche delle condizioni del poeta in quanto tale, rifiutando fermamente il concetto di poesia come “eloquenza e come preziosismo decorativo”. Montale rifiuta l’immagine di un poeta che si ponga come un superuomo al di sopra degli altri uomini ai quali trasmettere presunzione di soluzione dei problemi o certezze. E dichiara di essere stato “un uomo necessitato”, che non ha avuto “libertà di scelta” di “aver seguito la via che i miei tempi m’imponevano, domani altri seguiranno vie diverse: io stesso posso mutare”. (Come dargli completamente torto se per molto meno altri si sono dimostratati meno “eroi”?). 
GIOVANNI PASCOLI
E così conclude:” Ho vissuto il mio tempo col minimum di vigliaccheria ch’era consentito alle mie forze, ma c’è chi ha fatto di più, molto di più, anche se non ha pubblicato libri”. E più tardi ricorderà a Malvolio (Pier Paolo Pasolini che lo aveva pubblicamente punzecchiato!) che “abbiamo vissuto col cinque per cento”. Certo non abbiamo di fronte né “un profeta disarmato” né un eroe dichiarato, ma come poeta ha rifiutato l’ufficialità ed un accomodamento, cose che certamente gli fanno ancora onore.
Chiedo venia, se ho dovuto scomodare Eugenio Montale, per di più con queste lunghe citazioni. Ma queste parole, così eloquenti e così chiare, io penso debbano essere ricordate a tutti i poeti agli artisti ed agli intellettuali contemporanei, perché sono un monito alto e di grande spessore morale ed etico.
GIOVANNI GENTILE
Certo i tempi sono cambiati e non vi possono essere più i condizionamenti cui si riferiva Montale, ma esistono altri condizionamenti. Da molti anni la crisi delle Case Editrici rappresenta un grosso ostacolo alla pubblicazione ed alla diffusione del libro ed anche i fruitori sono in forte diminuzione. Tutto sembra affogare nella precarietà e nella provvisorietà e talvolta siamo di fronte al “si salvi chi può”. Per questo c’è troppa gente che sgomita e passa i limiti della decenza. E non mi pare più tanto strano che Dino Campana, dopo aver pagato la stampa a proprie spese dei Canti Orfici, li vendesse direttamente agli avventori dei Caffè e dei Ristoranti, a seconda delle simpatia che essi gli ispiravano, vendendo (e firmando) agli antipatici soltanto la copertina.
Né meglio vanno le cose in molti premi letterari, nei quali giurie incompetenti -o compiacenti- premiano il nome, purché altisonante ed in grado di dare risalto al premio stesso, del poeta e non la poesia. E speso si tratta di poesie “costruite a tavolino”, senza vera creatività e vera ispirazione, frutto unico di un “professionismo” che svela la mancanza di autentica vocazione.
Certo anche oggi ci condizionano i tempi difficili che stiamo vivendo e la poesia, anche quella che ha nel fondo vera autenticità e sincera vocazione, non può non partire dal reale e riflettere il senso del nostro presente, ma, come diceva Montale, bisogna sempre collegare l’espressione, la parola all’oggetto, perché la concezione delle vita possa proporre un significato profondo, nello stesso momento in cui viene concepita. Anche se si tratta di una concezione disperata.

                                                       Umberto Cerio



Per approfondire Leggere sul mese di giugno del blog:


IDIOCENTRISMO E ALLOCENTRISMO CULTURALE
( Adesione a “Il Bandolo”)


A CURA DI ROBERTO MESTRONE 

1 commento:

  1. E' a dir poco esaltante, per i redattori de "Il Bandolo", prendere atto dell'interesse che gli argomenti affrontati stanno sollevando a così alti livelli. Umberto Cerio, in questo stimolante intervento, ne collega le istanze a precedenti letterari di grande profilo storico e artistico. Particolarmente eloquente e illuminante il riferimento a Eugenio Montale, con il suo "monito alto e di grande spessore morale ed etico". Ma erano altri tempi, giustamente aggiunge e commenta l'autore. Oggi la realtà culturale è assai più arida e compromessa, per cui necessita ritrovare le ragioni profonde del nostro esserci e ripartire per nuovi e vitali cicli di civiltà.
    Franco Campegiani

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