LA SCALA DI CARTA
C’era una volta, circa dieci tempo fa, un Regno lontano abitato da genti felici che trascorrevano le
loro giornate nella dignità del duro lavoro, con la consapevolezza del rispetto
da parte di ogni altra persona del vasto Reame e la certezza di riempire i
pensieri riconoscenti del Re.
Il Re e la dolce sua Regina avevano una figlia, la graziosa
Alma che, essendo ancor di età non matura, poteva passare la spensierata
giovinezza nel giocare, ed il gioco preferito dalla Principessina consisteva in
una palla, una palla d’oro lucente e pesante, che la fanciulla lanciava in aria
per riprenderla l’istante successivo. Alma portava sempre con sé la palla, a
cui era affezionatissima. Ma un brutto giorno la palla , lanciata su una
traiettoria più decisa verso l’alto, non ripiombò nelle graziose mani che la
custodivano di continuo, e finì invece la sua parabola nel vecchio pozzo posto
al centro dei giardini che abbellivano la maestosa reggia.
Forse penserete che quei giardini fossero casa di vivaci
ranocchie, e forse arriverete a pensare perfino che una di queste, la più
intraprendente, si decidesse a tuffarsi nel pozzo per recuperare il
gingillo reale. Niente
di più falso, purtroppo: non vi erano ranocchi, e quindi neppure ranocchi coraggiosi.
Alma osservava disperata e piangente la superficie dell’acqua, acqua che
nascondeva, indifferente ai suoi sguardi imploranti, il prezioso tesoro. La
palla dorata aveva colpito, nel raggiungere la piatta e liquida distesa,
l’immagine del disco lunare, che si specchiava nel profondo del pozzo alle
prime ombre della sera. La Luna, dopo l’urto, era scomparsa dal pozzo pur
rimanendo ben visibile nel terso cielo, quasi si fosse ritratta dall’acqua
ferita per quel consistente colpo. La Luna non si guardava più nello specchio,
dunque, ma restava alta nel profondo blu del cielo a rimirare le lacrime
inconsolabili della bella Alma. Il giorno seguente dodici baldanzose guardie
della Regina si calarono in fondo al pozzo con scale di legno, lo svuotarono
riempiendo fino all’orlo parecchi secchi ma, inaspettatamente, non rinvenirono
sul fondo sabbioso e bagnato alcun segno del principesco giocattolo. Un fitto
mistero avvolgeva la scomparsa della palla d’oro, mistero che si diradò quella
stessa notte quando si diradarono anche le birichine nubi che nascondevano il
maestoso, pieno disco lunare.
La Luna mostrava ora infatti un orecchino, o meglio un
luccichio sulla sua guancia destra che poteva far pensare ad un gioiello
indossato in quella magica nottata. La novità celeste seminò molta sensazione
tra i sudditi dell’amato Re, che commentarono con eccitazione quello spettacolo
inconsueto. L’astronomo reale ( già, c’era anche lui ) mise subito occhio al
lungo cannocchiale dell’osservatorio
( reale pure lui ) per focalizzare la novità dei cieli.
Ed osservò che……sì, avete proprio indovinato! Osservò la brillantissima palla serena e
beata sulla Luna, un po’ a sud-est del Mare della Tranquillità. Era caduta in
acqua in un pozzo terrestre ……ed era finita in un oceano celeste. Vi assicuro
che non è il caso di essere sorpresi più di tanto: dovete sapere che gli
Antichi avevano ben donde ad affermare che il Mondo si divide in due zone ben
definite, l’eterea ed incorruttibile realtà celeste lassù e la più ben misera
vicenda umana quaggiù.
LA PALLA ERA CADUTA SULLA LUNA quaggiù, pertanto LA PALLA ERA CADUTA SULLA LUNA, anche lassù.
Il nostro è un Universo DUALE, ad ogni oggetto dei cieli corrisponde
un’immagine, un’ombra terrena. Voglio convincervi del tutto con un esempio:
sapete quale è l’ombra duale di un aeroplano che solca l’infinito orizzonte
dipingendo la sua bianca scia? Semplice!
Una lumaca che lascia la sua bavosa scia su una foglia di lattuga,
mentre lentissima procede nel suo incedere, così come lentissimo, rispetto allo
spazio sconfinato, è il procedere dell’aereo. Ora che vi ho persuasi della
dualità del Mondo vi dirò anche che il Re, che provava un amore sconfinato per
la sua piccola Principessa, indisse seduta stante una riunione straordinaria di
tutti i più saggi sapienti del regno per valutare il da farsi. Maghi, inventori
e studiosi vari si misero in cammino verso la capitale per contribuire, con i preziosi
pareri, al recupero della lucente sfera.
Dopo svariate ore di serrate discussioni ed accesi litigi
attorno ad una tavola rotonda, però, presentarono al Re una relazione corredata
di tabelle, diagrammi e disegni ma assolutamente desolante, nonostante firme
varie e ghirigori. Vi si leggeva infatti, tralasciando le pompose frasi che non
significavano nulla, che i saggi sapienti non avevano la più pallida idea di
come risolvere il problema. I maghi non conoscevano incantesimi o polveri
miracolose che funzionassero anche sul nostro satellite, non si potevano di
certo costruire alte torri od allestire scale ricche di così tanti gradini, e
l’idea di sparare una palla di cannone, a cavalcioni della quale mettere un
volenteroso giovanotto, non andava bene ( non era stata ancora inventata la
polvere da sparo ).
Persino la proposta, presentata da un noto inventore, di
lanciare un’aeroplanino di carta fin sulla Luna a mò di boomerang era stata
accantonata: l’aereo non avrebbe potuto abbandonare l’atmosfera. Insomma, nessuna idea realistica da
consigliare al Re! La palla rimaneva
ammiccante lassù ed i sapienti impotenti quaggiù, mentre la principessina,
sempre più triste e pallida, rifiutava financo il cibo ed era ridotta in un
tale stato da sentir stringere il cuore solo a vederla.
Qualche giorno dopo, nella riunione dei saggi, le cui zucche
erano ancora ben distanti dalla sfera che li guardava da lassù, ci fu una
novità. L’astronomo reale, durante un momento di pausa nel corso del vivace
dibattito, disse: “ Conosco un giovane membro dell’Accademia delle Scienze di
Mosca, molto brillante. Potremmo convocare anche lui per un parere ”. La
proposta fu messa ai voti
ed accettata. Ivan ( così si chiamava il giovanissimo
matematico ) arrivò solo tre giorni dopo.
Incominciava con un colbacco beige in testa e continuava con
una giubba rossa con alamari, una mela gialla in mano, un paio di comodi
pantaloni blu e finiva con due scarpe marroni con le punte a spirale. Era
golosissimo di mele, di cui teneva sempre un esemplare in mano ed era giunto
nel Regno del quale narriamo solo dopo assolute garanzie che i vasti territori
del suddetto Reame fossero ricchi di frutteti ed in particolare di alberi di
melo.
Il giovane prese posto al tavolo dei sapienti, esattamente a
metà strada fra l’astronomo reale ed il chimico reale, ed incominciò ad
ascoltare attentamente la discussione in corso per poter essere messo al
corrente degli esatti termini della questione, questione di rilevante spessore
( per essere esatti circa 400.000 chilometri, distanza alla quale la palla
dorata era in attesa di una soluzione ).
Trascorsi pochi minuti, durante cui vennero presi in
considerazione e sistematicamente scartati una mezza dozzina di progetti uno
più strampalato dell’altro, qualcuno fra i sapienti notò che Ivan, sempre
seduto tra l’astronomo ed il chimico ( entrambi reali ) e con un capiente cesto
di mele posto accanto, giocherellava con un semplice foglio di carta,
piegandolo e ripiegandolo.
Il dibattito intanto era arrivato ad un punto morto, come
sovente capita in tali consessi, quando il giovane moscovita improvvisamente
disse: “ Visto che non possiamo fare altrimenti, andremo sulla Luna piegando un
foglio di carta ”. I saggi sgranarono gli occhi e, non credendo alle proprie
orecchie, gli chiesero di ribadire il concetto. “ Ho detto ” ripetè tranquillamente Ivan “ che andremo
sulla Luna ripiegando molte volte un qualsiasi foglietto di carta. Lo spessore
di un simile foglio è tipicamente di un decimo di millimetro. Quello che io ho
in mano e che è stato piegato 7 volte ha ora uno spessore di….( prese un righello e lo misurò ) vediamo….sì!
Come pensavo: circa un centimetro e tre millimetri. Bene, continueremo a ripiegarlo in due fino a
raggiungere la distanza che vogliamo” . Questa volta i colti esperti non
poterono fare a meno, nonostante la loro impeccabile buona educazione, di
ridergli apertamente in faccia. “ Ah..sì? ”
chiese incuriosito lo psicologo reale “ e quante migliaia di migliaia di
volte dovremo ripetere l’operazione per
raggiungere 400.000 chilometri? ”. “ E quanti milioni di milioni di volte
dovremo farlo? ” chiese sorridendo il
dentista reale. “ E quanti miliardi di miliardi di pieghe dovremo fare? ” s’informò ridendo l’ingegnere reale. Ivan non
rise. Li passò in rassegna uno ad uno con un breve sguardo penetrante e poi,
molto lentamente e altrettanto pacatamente, rispose: “ Quarantadue volte ”. L’ilarità invase
l’intera riunione: tutti risero di cuore per quella battuta e qualcuno
osservò: “ Caro, inesperto collega, se
piegando il foglio 7 volte il suo spessore è aumentato da un decimo di
millimetro a un centimetro e tre, ci dici come sperare di arrivare al cielo in
42 volte? Suvvia, non diciamo sciocchezze! ”.Qualche altro sapiente si voltò
verso il collega più prossimo per commentare: “ E’ veramente un ingenuo ed uno
sprovveduto, il russo. Ma chi lo ha invitato? ”.
L’astronomo reale intanto, colpevole dell’iniziativa, cercava
di nascondersi dalle occhiatacce degli esimi colleghi dietro un ponderoso volume
che raccontava vita e morte delle stelle.
“ Conoscete le funzioni esponenziali? ” continuò ostentando la massima calma Ivan “
lo spessore del nostro foglio, in rapporto a quello iniziale, è descritto dalla
legge s uguale 2 elevato alla x
dove x è il numero di pieghe fatte ed s lo spessore ; la base della
potenza è 2 perché ogni passo raddoppia lo spessore.
Bene, se al posto di s mettiamo il quoziente tra 384.000
chilometri e un decimo di millimetro, otteniamo s uguale a 3,84 per 10 alla
dodicesima e la soluzione
dell’equazione esponenziale 3,84 per
10 alla dodicesima uguale a 2 elevato alla x è,ovviamente, x uguale a
logaritmo in base due di 3.840 miliardi, circa…...( armeggiò col regolo
calcolatore qualche secondo ) …. ecco…41,82
quindi, visto che un foglio non si può piegare 41,82 volte, faremo 42 pieghe. Conoscete i logaritmi, vero? ”.
“ Veramente io no! ”
confessò con molta onestà il dentista, al quale si accodarono
immediatamente dopo, proclamando la loro ignoranza, lo storico ed il cuoco (
quest’ultimo speranzoso che fossero qualche esotica specie di ortaggi atti ad
essere cucinati ).
“ Ve lo spiegherò in un altro modo ” riprese il giovane “ dopo la prima piega lo spessore è il doppio
di quello iniziale, dopo la seconda diventa quattro volte tanto, dopo la terza
otto volte e così a seguire. Lo spessore varia cioè come le potenze del numero
2: 2,4,8,16,32,64…..
dopo sette passi per esempio avremo 128 volte quello d’inizio
e 128, moltiplicato per un decimo di millimetro, ci dà 1 centimetro e 28,
esattamente la mia misura di poco fa.
Dopo 42 pieghe avremo uno spessore di 2 alle quarantatreesima volte quello di partenza. Ecco tutto! ”. “ Ma quanto è due alla
quarantaduesima? ” chiese il mago di
corte. “ Vediamo di stimarlo rapidamente, con le proprietà delle
potenze…ecco..” e Ivan, elevando un due
alla enne di qua, sostituendo una potenza di due con una di dieci di là,
eseguendo una divisione a destra e una conversione a sinistra concluse dicendo
“ E quindi, con l’ approssimazione per difetto
che abbiamo fatto, per arrivare a 400.000 chilometri dobbiamo fare
esattamente 42 pieghe ”.
“ E’ tutto vero ”
confermò l’astronomo del Re, che aveva seguito il ragionamento ed era
ora ben contento dell’abilità sfoggiata dal ragazzo russo “ propongo quindi di allegare questa stima
come appendice alla relazione conclusiva sul recupero che inoltreremo a sua
Maestà ”. “ Presenteremo un’appendicite, bene ” commentò il giardiniere del
bosco reale. “ Un appendice, non un’appendicite! ” lo corresse prontamente il reale medico.
La circonferenza della tavola rotonda fu percorsa da un’onda
di euforia: nella mente di quei saggi balenava finalmente una possibilità di
riuscita. “ Tutto questo in teoria ” li
gelò però Ivan “ in pratica abbiamo un grosso problema ”. Ci fu un lungo attimo di silenzio.
“ Io sono in grado, con la forza delle mie braccia, di
ripiegare un foglio solo 7 volte e non riesco a ripetere oltre l’operazione: ci
vogliono uomini eccezionalmente robusti per arrivare a 9 o 10 volte,
non parliamo poi di 42 ”. Un ondata di delusione circumnavigò
questa volta l’intero bordo del tavolo causando l’allungamento dei lineamenti
del viso in tutte le personalità presenti.
Inaspettatamente, però, a questo punto prese la parola il capitano della
Guardia della Regina affermando: “ Ma abbiamo nelle nostre prigioni un uomo
dalla forza sovrumana! Pensate che si è dovuta erigere appositamente per
lui una cella speciale con muri spessi 3
metri e quadruple inferriate. Egli sarà di certo ben felice di aiutarci in
cambio della libertà che, credo, il nostro beneamato Sire sicuramente gli
concederà. Sono 15 anni che vegeta nelle
nostre segrete ”. Quell’incredibile notizia costituiva la classica ciliegina
sulla torta: tutte le tessere del mosaico cominciavano ad incastrarsi alla
perfezione. Il forzuto forzato era
capitato a fagiolo, un vero colpo di fortuna! Ivan, soddisfatto, allungò la mano e si concesse la
dodicesima mela della giornata, addentandola con gusto. Poco più tardi, dopo la
firma apposta da Sua Altezza Serenissima il Re in calce al progetto
presentatogli da quel congresso di esperti, firma che si accodava ai loro
sedici autografi e sanciva l’inizio della fase esecutiva dell’idea, i lavori
procedettero speditamente.
Sulla piazza principale della città più importante del Reame
fu allestita una tribuna per le autorità, davanti alla quale il nerboruto
prigioniero, fresco di libertà, impugnò un candido foglio cartaceo ed
iniziò, tra l’apprensione generale, a ripiegarlo con
scrupolo. Dapprima con estrema disinvoltura, poi, verso la trentacinquesima
piega, con sforzi sempre più evidenti. Il foglio diventava sempre più spesso,
ma la sua sezione sottilissima, più piccola di un grissino. L’ultimo sforzo,
quello che trasformò la scala di carta in un sottilissimo capello lungo fino
alla Luna ( anzi qualcosina un po’ più in là ), fu completato dall’erculeo ex
prigioniero con un terribile urlo, dopo il quale egli cadde a terra, stremato.
Sull’infinito filo, che era stato delicatamente e cautamente appoggiato al
nostro satellite, vi si arrampicò un coraggioso giovanotto, di nome Rodolfo,
che si era offerto volontario per la perigliosa missione in quanto segretamente
innamorato della deliziosa Principessa. Molti pretendenti cosmonauti erano
stati allontanati per mancanza di qualche indispensabile requisito ( Ivan, per
esempio, era stato scartato d’acchito poiché la sfera dorata assomigliava
troppo ad una succosa, gialla mela matura, e non sta scritto da nessuna parte,
neppure su un masso lunare, che i matematici russi mantengano la promessa di
non ingoiare le mele d’oro ). Il bello ed aitante Rodolfo arrivò dunque sulla
Luna, passeggiò fino al Mare della Tranquillità, stando ben attento ad evitare
l’insidioso Oceano delle Tempeste e, con la palla d’oro ben stretta in pugno,
si lasciò scivolare verso il pianeta che lo attendeva laggiù in fondo.
La superba palla dorata ridonò il sorriso all’incantevole
Principessina che ricompensò il suo eroe, Rodolfo, con due schioccanti baci,
uno su ogni guancia ( e ne elargì uno
anche ad Ivan, che aveva raggiunto la Luna
piegando semplicemente un foglio 42 volte ).
Da quel giorno memorabile tutti i protagonisti della nostra
storia, il Re, la Regina, l’astronomo, lo psicologo e lo storico, il maniscalco
ed il ciabattino, il fortissimo Alfons Weissenegher, Rodolfo e la sua bella Alma, Ivan Melenowski
con i suoi frutti e persino il capitano delle Guardie vissero per sempre
felici. Ah…già! Vissero anche contenti.
Pietro Rainero
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