giovedì 5 giugno 2014

ROBERTO MESTRONE: "IDIOCENTRISMO E ALLOCENTRISMO CULTURALE"

Roberto Mestrone collaboratore di Lèucade

IDIOCENTRISMO E ALLOCENTRISMO CULTURALE
( Adesione a “Il Bandolo”)


A CURA DI ROBERTO MESTRONE 
COLLABORATORE DI LÈUCADE

L'illuminante argomentazione di Franco Campegiani a compimento del dibattito sul Manifesto Culturale “Il Bandolo” mi offre l'occasione per esprimere un'opinione su alcuni punti che hanno stimolato la mia attenzione.
Partirò da alcune elucubrazioni socio-filosofiche per arrivare al nocciolo della questione.
La volontà di esaudire un desiderio stimola in noi l'Individualismo: fin da bambini ci viene insegnato – in maniere sconvenienti, più o meno velate – che l'affermazione di noi stessi deve concretizzarsi con il prevalere sugli altri.
L' ”opera d'arte” per eccellenza dell'individualismo – declinata in termini sociologici – è l'affermazione della nostra personalità, e l'essere “unici” rappresenta la meta delle nostre aspettative.
L'individualismo parossistico è frutto – ahimè – della globalizzazione del Mercato moderno, che pone al primo posto i mostri ammaliatori del Capitalismo: il consumismo e il tornaconto.

Antiche divinità greche dell'ideale supremo dell'arte
Si sono così andati a dissolvere quei valori che resistevano tenacemente nelle piccole comunità, in seno alle quali la condivisione e la solidarietà erano il punto di forza per la serena convivenza degli individui che le popolavano.
Giovanni Verga – con l'episodio dell' “ostrica”, ne I Malavoglia – aveva illuminato la nostra mente ricordandoci il merito della solidarietà: finché resteremo attaccati allo “scoglio” che ci tiene uniti riusciremo a non essere divorati dai pesci voraci. 
Ho voluto partire da lontano per meglio individuare le carenze – e additarne le cause – del mondo culturale in cui noi (poeti e scrittori dilettanti allo sbaraglio) ci troviamo ad interagire.
Scusate se nel designare la nostra identità (Dilettanti), questa l'ho aggregata ad un termine  da confusionari (colorando di ridicolo l'etichetta affibbiataci da Shopenhauer), ma ritengo verosimile che la mia constatazione corrisponda allo stato attuale delle cose.

Odissea
Ognuno di noi, rinchiuso nel proprio Io da competizione alla ricerca del successo personale ed appagante, è l'ostrica staccatasi dallo scoglio e in balia di falsi adulatori: Editori poco propensi alla tutela della vera Cultura e decisi solo a riempire il portafoglio, o Critici inclini ad incensare schiere di avanguardisti privi di talento ma pronti ad esaltarsi alla lettura di un commento che li glorifica come vati.
E fa bene Franco a tracciare una linea netta di confine tra l'onesto dilettantismo culturale e il (spesso traballante) professionismo letterario. Ma chiariamo subito un punto: si vive di professionismo letterario? Beh... nell'ambito degli autori di espressioni linguistiche non soggette alla versificazione (prosa narrativa, storiografica, didattico-scientifica, saggistico-critica, drammatica ecc.) c'è chi riesce a trarre sostentamento dalla pubblicazione delle proprie opere.
Permettetemi però di avanzare un paragone per circoscrivere la platea di quei fortunati con la penna: gli scrittori affermati (e che vivono coi soli profitti derivanti dalla vendita di romanzi, saggi o quant'altro) sono da annoverare alla stregua dei grandi campioni di uno sport di nicchia che hanno declinato in professione la loro attività ludica.
Ed è stato già ampiamente chiarito, da chi mi ha preceduto sul percorso di questa discussione, che il componimento partorito “su ordinativo” o “per emergere” spesso difetta di genuinità o di pura ispirazione. L'opera d'arte letteraria non si improvvisa senza il guizzo dell'estro creativo (che non si comanda a bacchetta) né si commissiona progettandone e delineandone i contenuti: diventerebbe una sorta di “mercanzia” e lamenterebbe l'assenza, nel proprio corpus, di ciò che la rende unica: l'intimismo dell'autore.

Omero
E il professionismo tra i poeti ?
Non conosco poeta che abbia tratto dalla propria “produzione” profitti tali da poter campare di rendita.
Carmina non dant panem, assioma attribuibile ad Orazio, pare che nessuno sia riuscito, in ogni tempo, a smentirlo.
Quindi ai poeti o scrittori senza pretese (ma carichi di nobili propositi e di motti d'animo da esternare) viene offerta un'occasione più che convincente per entusiasmarsi all'idea di essere identificati come “dilettanti della Letteratura”!
Mi accodo con convinzione a chi si auspica che l'Amore covato in petto per versi amorosi o brani avvincenti  sia “un fine” per raggiungere l'appagamento interiore e non “un mezzo” (comunque inefficace) per lucrare!
E per mirare a un fine che nei propri principi contempli il valore universale del “pensiero umano” è indispensabile unire le forze di “umani pensieri”.
Nessun uomo è un'isola; ognuno di noi, in quanto uomo, partecipa a formare il Continente Umanità.
E noi poeti e scrittori abbiamo una missione da compiere: adunare le multiformi voci che albergano dentro i nostri intelletti dando corpo al Coro dell'Umanità”, toccasana a buon mercato in grado di soffocare il “canto stonato” del mercimonio culturale e dello smarrimento esistenziale che affliggono la Società. 
Il Bandolo è una giusta risposta a queste necessità, una “via d'uscita” dalla Cultura elitaria fondata su sterili personalismi, viziata dalla spocchiosa convinzione di riuscire a primeggiare e non lasciare spazio agli altri. La chimera di essere “il migliore” o “un autore che approderà a sicuro successo” è un'ipocrisia confezionata ad arte da chi vuol trarre profitto dalle nostre fatiche facendoci credere che anche un modesto cammeo riesce ad assumere le fattezze di un prezioso gioiello.
Non intendo giungere alla conclusione di desistere dal pubblicare i nostri “pensieri”, ma facciamolo con raziocinio, con modestia e senza illuderci di dare alle stampe un futuro best seller.

Libreria
Occorre essere persuasi che si cresce intellettualmente – in tutte le discipline artistiche – se ci si misura con i propri simili.
Molti giganti della Letteratura sono diventati tali sedendosi accanto ad altre menti ispiratrici.
Le intelligenze che si confrontano arricchiscono la comunità, la cui identità è rappresentata, valorizzata e resa vivace dalle suggestioni e dalle fantasie degli artisti che  esaltano il folclore, le tradizioni e i costumi delle loro contrade.
Un artista isolato rischia di sconfinare nel cinismo, nell'aridità dei sentimenti, nella dissoluzione dei valori collettivi.
Le anime adunate in un Circolo culturale sono la quintessenza dell' “unione che fa la forza”, sono scintille che provocano un incendio.
E una grande fiamma tempera le genialità, riuscendo anche ad illuminare le oscurità delle coscienze.

                                                    Roberto Mestrone

Chi volesse approfondire, di seguito il link del manifesto:


http://nazariopardini.blogspot.it/2014/05/manifesto-culturale-il-bandolo.html

nel mese di maggio del blog

10 commenti:

  1. Certamente, in senso stretto, "carmina non dant panem", come ha detto Orazio. E' notorio, tuttavia che in senso lato la poesia può essere una punta di diamante in grado di aprire professioni letterarie importanti. D'altro canto, nel novero delle Muse non esiste soltanto la poesia, ma tanti altri generi (arte, musica, fotografia, cinematografia, eccetera) dove risulta molto più evidente che si può riuscire a sbarcare il lunario (o forse più) con l'estro creativo. E va bene così, ovviamente. Nulla da eccepire fin quando il professionismo dell'artista o del poeta non venga equiparato al carrierismo di altre professioni che nulla hanno a che fare con la promozione di civiltà e di valori universali, con una comunicazione, come quella artistica, che pretende comunione profonda. Nel Manifesto è detto: "L'arte non parla a tutti, massificandoli, ma parla al cuore di ognuno". In questa frase è contenuto sinteticamente il messaggio rivoluzionario de "Il Bandolo", da Roberto Mestrone stupendamente riassunto ed evidenziato in questo scritto. In un sano concetto comunitario, egli dice, gli individui non smarriscono la propria identità, come avviene nell'attuale concetto di massa che aggrega nel senso totalitario, rendendo l'individuo un numero, una ruota dell'ingranaggio. Di pari passo, un sano concetto dell'individuo non è individualistico, o egocentrico, ma aperto al vivere insieme, alla solidarietà. Nel Bandolo è detto: "L'individuo deve iniziare a pensare a se stesso non più come a una monade, ma come ad una comunità". Tutto questo significa recuperare il valore della comunicazione artistica, che è poi il valore della comunicazione autentica.
    Franco Campegiani

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  2. Ritengo molto acute queste osservazioni di Roberto su "Il Bandolo": manifesto che anch'io ho sottoscritto valutando gli stessi punti messi in evidenza dallo scrittore piemontese.
    L'individualismo: la presenza ingombrante dell'io, che ha trovato terreno fertile nell'attuale società globalizzata ed ha finito col trasferire in campo artistico una competitività che non gli è propria. Voglio dire che il primeggiare (in poesia come nelle altre arti) non può coincidere con il prevalere sugli altri perché, così facendo, si perderebbe (s'è perso) di vista il senso della creatività, che non è perdita d'identità bensì rivalutazione dell'io all'interno del "Coro dell'Umanità". Ecco, allora, che l'artista può davvero promuovere il proprio messaggio senza il rischio di perdersi nell'egocentrismo (cfr. la risposta di Franco); e non basta - non ci s'illuda - togliere di mezzo l'io: non è così che si risolve il problema; bisogna, invece, prendere consapevolezza di quella unicità che ha il potere di rendere unica anche la comunità. Quando, nel manifesto, si legge. "L'arte non parla a tutti, massificandoli, ma al cuore di ognuno", si vuole supportare esattamente questo.
    Un discorso analogo va fatto anche per il cosiddetto dilettantismo: il professionista vero - se di arte si vuole parlare - non può che essere un dilettante, ma - attenzione - con la precisazione che, anche in questo caso, sarebbe un errore pensare al dilettantismo: gli "ismi" presuppongono sempre una degenerazione mentre il dilettante autentico è un appassionato, un corteggiatore, un amatore della Musa come nessun altro riesce ad essere.

    Sandro Angelucci

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  3. Secondo il mio modesto parere di operaia culturale, nel vero senso della parola, "Il Bandolo" di Franco Campegiani è manifesto socio-culturale per eccellenza. Ben lo riprende quel bandolo Roberto Mestrone quando dice:"Le intelligenze che si confrontano arricchiscono la comunità..." In un momento storico in cui il relativismo sembra farla da padrone, è necessaria la forza che viene dall'essere. Essere e non apparire. La forza di una coscienza comune, la somma delle tante individualità, l'energia necessaria all'arte, che è ascolto. Certo non per tutti sarà lo stesso, ma l'empatia che scaturisce dall'arte, dal dono di se', apporta ricchezza ed è codice di comunicazione efficace.

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  4. Il Bandolo nasce osservando il forte contrasto tra il sistema di
    promozione dell'arte (che si tratti di letteratura, pittura o altro) e
    l'operato degli artisti di tutte le discipline. Il sistema non sceglie,
    non promuove, non valorizza... a parte poche élite, si limita a
    campicchiare. Ebbene, che vogliamo fare, vogliamo provare a cambiarlo questo sistema, o vogliamo continuare a criticarlo subendolo? E chi può
    cambiarlo se non quelli che lo conoscono? Se riuscissimo a fare massa critica, uniti da questo Manifesto, non dico che lo cambieremo, ma quantomeno potremo esprimerci nel nostro ruolo. Noncondanno gli editori, i galleristi, i librai, i critici... o anche gli artisti e gli scrittori che non fanno scelte di qualità per sbarcare il lunario, ma non posso permettere che un'opera di valore non sia riconosciuta come tale, perché la cultura morirebbe!
    Il nostro grido, quando abbiamo scritto il Bandolo, manifesta la
    necessità di unirci nei valori che mancano al sistema dell'arte, non
    per sostituirci ad esso, ma per colmare un vuoto. Altri combattono questo sistema diventando editori e promotori di se stessi, noi abbiamo scritto un Manifesto! E i vostri interventi sono indicatori incoraggianti per portare avanti questa iniziativa.
    Claudio Fiorentini

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  5. Misurarsi con l’altro in maniera non competitiva ma, altresì, costruttiva e partecipativa, è un atto di umiltà difficile, perché ferente l’ego pertinace, ma possibile.
    “Molti giganti della Letteratura”, ci dice Roberto Mestrone, “sono diventati tali sedendosi accanto ad altre menti ispiratrici”.
    C’è necessità, dunque, di sollecitare e smuovere le coscienze affinché si comprenda che “lavorare in squadra” non significa sminuire sé stessi e le proprie capacità, né svalutarsi all’occhio altrui ma, anzi, elevarsi maggiormente nel raggiungimento di uno scopo comune, nessuno inferiore all’altro, tutti egualmente indispensabili.
    Ce lo insegna la Natura.
    Basta guardare uno stormo nel cielo: una affascinate unicità in volo, costituita da tanti singoli elementi, in perfetta sincronia. Oppure un prato: un insieme di fili d’erba, fiori e piante a formare un tutt’uno incantevole.
    L’arte sicuramente ne trarrebbe un immenso vantaggio. Chi ama l’arte non può non rifletterci su.
    Lorena Turri

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  6. Ritengo tutti gli interventi letti assolutamente pertinenti e arricchenti. Si tratta di continuare a 'fare i fatti' , almeno per noi, 'operai della cultura'... e ringrazio Patrizia per l'espressione che amo... abituati a rimboccarci le maniche e a lavorare in squadra con amore, professionalità, desiderio di valorizzare l'Autore e non noi stessi. E' anche vero che si può cadere nella trappola paventata da Claudio Fiorentini, autore del Manifesto insieme a Franco Campegiani, di valorizzare indistintamente tutti coloro che scrivono... Un simile tranello sminuirebbe il lavoro di sinergia, genererebbe il mal d'anima, dovuto alla pubblicazione li romanzi o sillogi scadenti, dalla presentazione di opere che dell''opera' hanno ben poco, dall'omologazione che è storia ben diversa dalla valorizzazione dell'Arte. "In un mondo omologato l'artista resta l'unico uomo libero", scrisse anni fa il carissimo Franco e oggi più che mai questa realtà acquista peso e veridicità. E per legarmi al meraviglioso concetto espresso da Lorena... anche per essere stormi occorre il coraggio di scegliere le ali, di volare vicini, scegliendo le intemperie del cielo... Molto più semplice procedere in branco... E i fili d'erba? Quanto lavoro di vento, di rispetto dell'uomo occorrono per rendere i prati quel 'tutto incantevole'?
    Lavoriamo vicini, Amici preziosi, il Bandolo sarà srotolato e questo mondo inizierà a cambiare... Un abbraccio a tutti! Maria Rizzi

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  7. Il manifesto di Franco Campegiani ha una finezza e una profondità che non è facile cogliere ad una prima lettura. Le tematiche: la competitività, la globalizzazione, la critica a un io privo di senso, sono il fulcro a mio avviso, non solo nella crisi dell'arte ma sono anche segno di un vuoto spirituale che è all'origine dell'attuale crisi mondiale. Essere educati a una competizione per affermare se stessi vuota di senso ha prodotto animi incerti e spaesati. L'operazione che a mio avviso potrebbe essere veramente rivoluzionaria è ricostruire il senso delle cose a partire dalla poesia a dall'arte in genere, inserendovi un argomento, idee, unanesimo, vita. Non più quindi arte per l'arte ma arte per l'uomo, allora avremo reso un grande servizio a tutti.

    Luca Giordano

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  8. "Non più l'arte per l'arte, ma l'arte per l'uomo", dice Luca Giordano (cui devo ricordare che il Manifesto è opera congiunta del sottoscritto con Claudio Fiorentini). Sono estasiato da questo suo concetto, che focalizza in una formula efficacissima la provocazione che "Il Bandolo" intende portare avanti: la riumanizzazione dell'arte, passaggio indispensabile per una riumanizzazione dell'umanità. E deve esser chiaro che questa non vuole essere una ricaduta nel vecchio e superato antropocentrismo che faceva l'uomo schiavo di se stesso, della sua presunzione e del suo dispotismo nei confronti dell'universo intero. Qui si parla della centralità dell'uomo su se stesso, interrompendo quel funesto e depravato processo mentale che strumentalizza sempre e comunque l'uomo a qualcosa: ora all'ideologia, ora alla scienza, ora alla religione... ora anche all'arte, dimenticando che è l'uomo a dare origine a tutto ciò. Ne segue che il vero fine dell'artista non deve essere l'arte, ma l'umanità.
    Franco Campegiani

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  9. Trovo tutte le argomentazioni lette davvero interessanti e significative. A mio avviso ogni scrittore o artista dovrebbe cercare di esprimere con profondità e autenticità il proprio mondo interiore, a fronte di un dialogo il più possibile aperto verso le più urgenti problematiche della società contemporanea. L’aspetto commerciale, che attualmente sembra risaltare, non è certo quello che può assicurare uno spazio nel futuro o nell’eternità agli autori, spesso invece rende le loro opere fruibili solo nell’immediato facendole esistere il tempo di una stagione, alimentando gli interessi privati e l’approssimazione a scapito dei più sani valori e dei rapporti fra gli uomini.
    Credo sia necessario recuperare uno spirito amicale di serena interazione fra il territorio e la cultura odierna, con un’attenzione particolare verso le attese concrete e intellettuali delle giovani generazioni, elevando il livello di acculturazione permanente per formare nuovi fruitori e talenti nei vari settori della creatività.
    Un caloroso saluto a tutti

    Daniela Quieti

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  10. Ho aderito con convinzione al Il Bandolo Manifesto Culturale per le motivazioni espresse che sono anche le linee teoriche di un percorso culturale multiforme il cui approdo dovrebbe essere l'affermazione dell'arte in genere come nuovo elemento dialettico con il reale, sgombro dalle sovrastrutture e dai tanti vincoli che deturpano e avviliscono la creatività favorendo escusivamente le leggi del marketing. Ovviamente il discorso è complesso, ma è già una buona partenza di intenti ritenere che l'arte debba essere considerata una forma di servizio, ma non stare al servizio di niente e di nessuno, pena la libertà di espressione. Non siamo alla corte di sovrani, non riceviamo commissioni artistiche particolarmente restrittive, non consideriamo l'arte una forma di elite sociale, al contrario una forma di umanesimo che, pur non potendo prescindere dai dati reali, sappia elevarsi a livelli di sensibilità particolare che affondi lo sguardo ampio e attento sulla vita concreta e sulle dinamiche dello spirito per fare del particolare un frammento di universale riflessione bellezza e godimento. Quello che si è perso è propria la dimensione dell'umano inteso come fragilità, insicurezza, sofferenza, bisogno l'uno dell'altro, che se da una parte sono causa di dolore, dall'altra temprano e fortificano anche attraverso gli insuccessi e le cadute. "Com'è bello l'uomo quando è uomo" soleva recitare Menandro! Oggi, invece, in nome dell'efficientismo, delle sicurezze sbandierate, del trionfo del marketing, tutto viene pianificato dal danaro, sicchè la creatività, di per sè attitudine che si esplica e opera nella libertà, ne rimane soffocata. Ma che importa: assieme ai prodotti artificialmente costruiti e propinati, dai cibi alle bevande, al vestiario ecc ecc anche il far poesia o letteratura in genere si è adeguato all'artificiosità. Mettere in piedi costruzioni formali di precario equilibrio, dato che manca la robustezza del pensiero, è diventato più ricorrente che fare le parole crociate.L'editoria, in crisi come tutti gli altri settori della società, cerca di porre rimedio come può: si serve di specchietti delle allodole. Ben venga allora l'opera educativa degli artisti che cercano il contatto col pubblico ma non per sfilate di opere personali (un po' lo sono le presentazioni o le mostre!), ma per avere un confronto, per esporre alla sensibilità altrui il frutto della propria sensibilità, della ricerca, dell'indagine che abbia per materia un comune terreno di domande irrisolte, di riflessioni sul vivere quotidiano che sfugge alla grande Storia, ma costituiscono la storia di ciascuno di noi. Occorre tuttavia rigore, serietà, onestà intellettuale che spingano a scrivere (immagino anche a dipingere o altro) solo per "necessità", per ineluttabilità, quando lo scrivere è una spinta interiore a cui non ci si può sottrarre, azione questa che richiede onestà perchè se è vero che "ciascuno è poeta da parte di un altro" (Callimaco), l'originalità non va sacrificata, perchè risulta essere creatività fresca, viva, capace di volare alto, di ricrearsi in fieri e produrre lo stesso effetto creativo in chi legge e in chi ascolta. Solo così l'arte produce bellezza e utilità. Bisognerebbe però crederci e essere coerenti nei propositi, negli obiettivi, nelle modalità prescelte per realizzare tutto ciò, altrimenti "Quis custodiet ipsos custodes?". Altrimenti sarebbe come giocare alle signore (uno dei giochi preferiti dalle bambine nella mia fanciullezza). Un augurio affettuoso a tutti.
    Adriana Pedicini

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