martedì 26 agosto 2014

CLAUDIO FIORENTINI: "IL TEMPO DELLA VITA"


Claudio Fiorentini collaboratore di Lèucade


Il ritmo della vita è scandito dal tempo, o il tempo della vita ha un suo ritmo, chissà quale sequenza di parole potrà definire al meglio quello che succede, che ci succede, nei nostri giorni, mesi, anni… le stagioni forse hanno un senso, più che di tempo dovremmo parlare di stagioni (per quanto negli ultimi anni le stagioni hanno perso il loro senso), o di ciclo naturale perché tutto è alterato dal nostro invadente e contaminante essere civili e fare storia. Io non so se quello che fluisce nella mia coscienza è tempo o è vita, il fatto è che sono nato che pesavo quattro chili e ora ne peso ottanta (ahimé), e che i ritmi biologici scandiscono i miei tempi tra gioia, tristezza, noia e preoccupazioni, facendo di me quello che sono. E i momenti che hanno tutti una stessa durata, quando sono intensi (belli o brutti) sembrano durare poco e quando sono diluiti sembrano eterni, non finiscono mai. Cos’è quindi il tempo? Il flusso delle stagioni, il susseguirsi degli anni, il continuo diventare (o divenire) storia cessando di essere futuro. Quindi c’è un istante, un unico prezioso istante che scorre insieme a me, in me, con me, o che è me, percezione e coscienza di quello che accade, perché la vita è fatta di accadimenti, di eventi e di attese, perché la nostra coscienza è vigile nell’attesa, mentre si lascia andare nell’evento, è impaziente nella pazienza, e quando invece vorrebbe trattenere il tempo, allungare l’attimo atteso, non ci riesce perché il tempo passa, vola via e l’evento si consuma. Resta il ricordo, parziale, unico, personale, pur se condiviso. Quindi l’istante, l’unico istante che scorre, come un punto che si muove su una linea contorta, perché la vita è contorta, quell’istante sono io, la mia percezione, la mia coscienza. Il passato non è quell’istante, semmai i ricordi ne fanno parte, il futuro non è quell’istante, quantunque i sogni ne fanno parte. L’istante è presente, solo presente. Ma c’è un problema: tra il presente e la percezione dello stesso, la sua assimilazione, passa un tempo infinitesimo, minuscolo, un attimo che fugge, e che attarda la nostra presa di coscienza. Sì, siamo in ritardo, il presente arriva prima che noi lo riusciamo a percepire, allora potremmo dire che il tempo esiste, il tempo è quel presente, solo che noi arriviamo in ritardo, siamo condannati a un perenne inseguimento del presente. Ma c’è un forse, c’è un a meno che di cui vale la pena parlare? C’è salvezza? Mi chiedo, e se i nostri processi mentali riuscissero a semplificarsi e ci consentissero di tornare bambini, o anche animali? Troppe sovrastrutture rallentano la percezione, denudarsi dalla nostra razionalità è forse l’unica via per essere un tutt’uno con il presente e per riuscire ad essere veramente vivi.


1 commento:

  1. In questo nuovo intervento, Fiorentini chiarisce ancor meglio il suo pensiero. Noi siamo condannati ad inseguire il Presente perché nella razionalità siamo schiavi del tempo che scorre. Ma il Presente che inseguiamo non è altro che la parte più profonda di noi stessi, quell'istante, in noi eternamente presente, che Socrate definiva "daimon" e che per noi poeti è la "musa". Occorre tuttavia sgombrare il campo da un equivoco micidiale. Si è voluto fare di Socrate l'antesignano del pensiero razionalistico, conferendo al suo "conosci te stesso" valenze prettamente razionalistiche. Si è voluto fare dello scopritore del "daimon" l'inventore del "concetto", fraintendendolo palesemente. Per Socrate, invece, molto probabilmente, la "conoscenza" non aveva il significato che al termine hanno attribuito le filosofie successive, ma equivaleva alla pura e semplice "consapevolezza". Più o meno quella del bambino che, non ancora seviziato dai condizionamenti razionalistici, dialoga liberamente con se stesso, sdoppiandosi e riconoscendo spontaneamente la propria natura duale.
    Franco Campegiani

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