martedì 12 agosto 2014

FRANCO CAMPEGIANI: "LA POESIA DI PASOLINI"



Franco Campegiani collaboratore di Lèucade


Dal Blog di Andrea Mariotti (13 aprile 2014) ricavo e propongo questi struggenti versi pasoliniani, a sostegno della tesi di Luca Giordano. I versi, che costituiscono la parte centrale di una poesia scritta in dialetto friulano ("Ciants di un muàrt", inclusa nella raccolta "La nuova gioventù", 1941-1974, è stata trovata da Andrea, tradotta in italiano, "accanto ad un non entusiasmante busto in bronzo di Pier Paolo Pasolini nella piazzetta di Chia, il borgo della Tuscia Viterbese - non distante dalla suggestiva e omonima Torre che il grande scrittore e regista riuscì ad acquistare, affascinato dalla bellezza del luogo dove aveva girato la scena del battesimo per il Vangelo secondo Matteo del 1964". Di seguito il testo: "Contadini di Chia!/ Centinaia di anni o un momento fa,/ io ero in voi./ Ma oggi che la terra/ è abbandonata dal tempo,/ voi non siete in me./ Qualcuno/ sente un calore nel suo corpo/ una forza nel ginocchio…/ Chi è?/ I giovani sono lontani/ e voi non parlate…Quelli che vanno a Viterbo/ o negli Appennini dov’è sempre Estate,/ i vecchi, mi assomigliano: / ma quelli che voltano le spalle,/ Dio, / e vanno verso un altro luogo…Dio,/ lasciano la casa agli uccelli,/ lasciano il campo ai vermi,/ lasciano seccare la vasca del letame,/ lasciano i tetti/ alla tempesta,/ lasciano l’acciottolato all’erba,/ e vanno via/ e la dov’erano/ non resta neanche il loro silenzio…". Molto commosso da tali versi, postai un commento nel blog di Mariotti, che mi piace riproporre all'attenzione dei nostri lettori: "Conoscevo il vincolo viscerale che legava Pasolini alla cultura contadina, ma questi versi struggenti non li conoscevo. Hanno la potenza di una verità sconvolgente... La civiltà contadina! Era ben consapevole, Pier Paolo, che non esiste - perché non può esistere - altro tipo di civiltà per gli umani, nati sulla terra e dalla terra. Per cui la fine di quella civiltà non può che corrispondere alla fine della civiltà stessa in assoluto. Che senso può avere un'umanità che fa del tutto per affrancarsi dalla madre che l'ha partorita e che, nonostante tutto, continua a tenerla in vita? Quanto può durare una cultura che, non da oggi, ma da secoli, viene tagliando il cordone ombelicale che la lega alla natura, e dunque alla vita, offendendo quel sentimento di appartenenza al creato che era profondamente radicato nei contadini di un tempo? Quella di Pasolini era, per questo, una visione sacrale dell'esistenza. Una visione misterica, direi, e cosmocentrica (anziché antropocentrica) della vita, che si rivolgeva con rabbia contro il dispotismo e la spocchia di un'umanità sempre più aggressiva e irrispettosa, innanzitutto di se stessa e poi di tutto il vivente. Se l'homo sapiens sapiens non mostra di essere realmente tale, ravvedendosi e risvegliandosi, finché può farlo, da tale borioso e distruttivo torpore, è giunto davvero al capolinea e siamo alla fine. Ma non si tratta di tornare nostalgicamente al passato, come una subdola propaganda tenta di insinuare, bensì di rinnovare con modalità inedite, adatte ai tempi nuovi e futuri, il patto di alleanza dell'uomo con l'universo intero. La cultura contadina non è mai stata immobilista, come si vuole far credere, ma si è trasformata mille volte nel corso della sua storia millenaria, mantenendo inalterati i suoi principi di fondo. Sono arciconvinto che ciò sia fattibile anche nei tempi attuali".

                                        Franco Campegiani 

 


4 commenti:

  1. Sì, caro Franco,
    quei versi di Pasolini sono veramente struggenti.
    Quel verbo ... lasciano, ... lasciano, ... lasciano, ... lasciano,
    ci mortifica e ci sconfigge, ci eradica, ci svuota, ci consegna ad un buco nero.
    'Il pane di ieri è buono anche domani', ci dice don Enzo Bianchi, riferendosi al passato, alla cultura e alle culture del passato, a quell'utero fatto di terra, aria, vento, pioggia, ... e di esperienze che sono sempre fertile terreno di coltura per riflettere il presente e affrontare il futuro: "non è stato l’uomo a tessere la tela della vita, egli ne è soltanto un filo, qualunque cosa egli faccia alla tela, lo fa a se stesso" diceva Capriolo Zoppo al presidente Franklin Pierce. Dove è finita quella civiltà, nei bit di un tablet, nei bastoncini Findus, nelle droghe in discoteca, negli OGM, nei pronto soccorso psichiatrici? Dove è finita quella 'visione sacrale dell'esistenza'? Hai ragione quando dici che si può e si deve recuperare il 'patto di alleanza dell'uomo con l'universo intero' senza necessariamente passare attraverso una restaurazione bucolica. Si può infatti essere figli della 'modernità' senza distruggere la 'antichità', ma succhiandone la linfa più adatta per una maggiore e nuova evoluzione della cultura e del pensiero. Recuperare la capacità e l'umiltà di voltarci poco indietro ad ascoltare le 'loro voci': credo sia l'impegno più urgente che dobbiamo porci anche se il 'denaro è lo sterco del diavolo'.

    Ti saluto con affetto,
    Umberto Messia

    RispondiElimina
  2. Grazie, Umberto. Sono profondamente colpito e commosso da questa tua partecipazione.
    Franco Campegiani

    RispondiElimina
  3. Certo, questa è una delle poesie più sentite di Pasolini, scritta negli anni in cui si misurava l'avvio del taglio del legame fra l'uomo e le sue radici, quando inizia l'attrazione della vita della città, che per i giovani di allora diventava il riferimento e la speranza di una esistenza. Chi di noi, quando si era giovani, non ha sentito tale attrazione, che poi spesso è stato anche causa di profonde delusioni? E si rompeva un legame importante e un fondamento di certezze e di amori incondizionati, e iniziava una fuga epocale che aveva obiettivi di speranze, ma che a volte finiva su orli di abissi impensati. Lo sradicamento provocava smarrimento, creava delusioni e profondo malessere. Lasciare "la casa agli uccelli" ed "il campo ai vermi" rappresentava "la tempesta sulle case", senza lasciare neppure "il silenzio". Non è escluso che quello sradicamento abbia prodotto anche i guasti ai quali ancora oggi assistiamo: le mode linguistiche e anglofone che non sono più solo un assoggettamento culturale, ma anche una sotterranea colonizzazione economica e sociale, ben più pericolosa. Pasolini guardava lontano, con un mezzo secolo di anticipo.
    Getta una pietra nello stagno, e le onde potrebbero sommergere le sponde, le nostre case, i nostri morti antenati e le nostre stesse vite.
    Grazie, Franco per queste riflessioni, forse un po' improvvisate, ma che senza dubbio, mi hanno lasciato dentro il segno.
    Umberto Cerio

    RispondiElimina
  4. Grazie a te, Umberto, per questa condivisione profonda di valori. Nel Genesi è detto che a Adamo venne affidata la custodia dell'Eden, ma noi - da custodi - ci siamo trasformati in despoti e tiranni del creato intero. Chissà se potremo riavvicinarci, un giorno, ai territori dell'armonia e dell'amore universale.
    Franco Campegiani

    RispondiElimina