RITORNO
ALLE MONTAGNE
Nel
verde silenzio della valle dalla finestra semiaperta, lo sguardo si allunga sul
fitto degli alberi; il paesino, (Canale d’Agordo), leggermente più in basso e
la montagna che lo rinserra. L’impressione è di chiusura, aperta verso un cielo
mutevole in cui le nuvole s’inseguono e la luce nel suo accendersi infiamma la
cuspide del Monte Civetta. M’incammino lungo una discesa erbosa e,
nell’allontanarmi, guardo l’alta casa severa, la finestra ancora aperta. Sopra:
la soffitta dove la notte si rincorrono i ghiri. Seguo il torrente Biois
dell’omonima valle tra le Pale di San Martino, il Civetta, la Marmolada e
l’Agner, che scroscia discreto e si allontana.
Il
paese è colmo di storia. Muta la campana nel Giardino Memoriale in
ricordo
dei
soldati italiani caduti sul fronte russo (1940-45). Un Cristo e, sul tetto che
lo ripara, un lentisco e ai piedi un ciuffo di girasoli inneggianti all’oltre
degli eroi morti per la libertà. Tenero il verde sotto i piedi. Piccole lapidi
rotonde e un antico lavatoio di pietra. Poco avanti la Casa delle Regole
affrescata con un dipinto sacro.
La
montagna lega per sempre. D’estate i ritorni degli ex valligiani dalle
Venezie,
Lombardia, Lazio e anche il lontano sud. Sono come uniti a corda doppia e
puntualmente si ritrovano nella piazza, nelle case, A la vecia Biraria dai
Costa: Pizza, Cucina, Marenda…un’immagine nel cartoncino che la illustra
riporta a tempi andati: un uomo con i baffi, cappello e gilet sbottonato vicino
a una coppia di cavalli. È il bisnonno Mariano Tognetti e la grande casa dalla
quale mi sono allontanata è chiamata casa dei Mariani e fu costruita da lui,
120 anni fa.
Rilassante
passeggiare a lungo nei sentieri; rari gli incontri; solo un vecchio con
bastoni e passo risoluto e qualche bicicletta.
Mormorio
di abeti che svettano quasi a voler sfiorare le nuvole. Il silenzio che
avvolge
è amico. Non induce alla tristezza ma s’impone come muta preghiera ai monti
pallidi sovrastanti; nel piccolo lago nuotano grandi trote; l’acqua riflette
l’ondeggiare di un’altalena con bambini festanti; sul prato notevoli sculture
in bronzo di Augusto Murer; lo sguardo si alza e, lontano, spunta un campanile.
Vorrei andarci e contemplare dall’alto i monti che circondano la valle. Ci si
inerpica per un ripido e stretto sentiero. Si odono canti. Sta terminando la
celebrazione della messa nella chiesa di Vallada: Simone e Giuda Taddeo. La
chiesta è luminosa; fu costruita nel 1185; riccamente affrescata con storie
della vita di Cristo e Santi del XVI° secolo eseguite da Paris Bordone, allievo
di Tiziano. Dalla parte sul retro, semiaperto si scorge un piccolo edificio
poco lontano, d’origine molto anteriore alla chiesa e risalente al IX° secolo.
Si narra che la chiesa fu voluta da Celentone (probabilmente un monaco) che nel
720 per sfuggire ai barbari, trovò rifugio sul monte conquistando la fiducia
della gente di cui divenne il capo. Convertì i pagani al cattolicesimo e
costruì la chiesa. (Si ritiene che la parte murata risalga a Celentone).
Ridiscendo
lentamente il sentiero e il pensiero corre alle storie dei nani che
coprivano
i monti di fili di luna e di luce. Quei monti pallidi che poi s’infuocano alla
sera. Sempre secondo la leggenda il fenomeno è dovuto dal roseto di re Laurino.
Io
però amo profondamente l’acqua e le Dolomiti sono costellate di laghi. È
vero
che hanno mille colori? Sempre secondo la leggenda, un arcobaleno di gemme
scagliate nell’acqua da uno stregone rifiutato da una ninfa, li ha resi così.
Sono anche chiamati “gli occhi della terra”. Carezza! Ti ricordo con gli occhi
della giovinezza intessuti d’amore e di sogni; la tua bellezza è rimasta
intatta, i miei sogni dissolti. Non lontano da Canale d’Agordo dove mi trovo
ospite, si può raggiungere il lago di Alleghe. Lì mi soffermo. Qualche pedalò e
cigni che scivolano sull’acqua un po’ torba. Sempre maestose le montagne
irradiate dal sole tra giochi di nuvole impazzite. È bello tornare alla sera
nel tepore di una casa amica tra vecchie sedie, una grande tavola e la pentola
che borbotta sul fuoco. Sono tanti, uniti e le loro parole si rincorrono tra i
ricordi. Non posso non provare tenerezza per Anna che sorride alla finestra e
saluta il ritorno dei suoi cari, avvolta in un ampio grembiule sui calzoni. Lei
ha sempre freddo. Poi Lalla, Antonio, Fernanda, Giuseppe e tanti altri ancora
che hanno dato luce alla mia solitudine. Tutti vicini nella sera e le farfalle
ai vetri della finestra con le alette tremolanti che cercano di entrare.
Come
tutto questo è diverso dai lontani ricordi della montagna della mia
giovinezza.
Mi ero sentita tradita e avevo evitato la montagna. Per vincere l’amarezza,
fughe verso il mare e lunghi avventurosi viaggi. Ma al ritorno?
Adesso
sono qui e voglio nuovamente amarvi, montagne. Scalerò le nuvole per
potervi
penetrare con lo sguardo.
Una
mattina di sole e la corsa verso la regina delle Dolomiti.
Salire
velocemente nella funivia che ondeggia nel vuoto.
Nuvole,
dal candore abbagliante, cuspidi impervie, e io che mi avvicino. Le
cime
sono lì davanti a me. Si sovrappongono, si dilatano, mi abbracciano. Avverto il
loro respiro. I miei occhi affogano nella luce della loro immensità. Vicine e
irraggiungibili, orride e magnifiche. Sempre più in alto, bucano le nuvole; il
ghiacciaio brilla. Lontani gli alpinisti, hanno i ramponi da ghiaccio. Macchie
multicolori sulla bianca immensità della neve. In basso, incastonato tra ripide
pareti di roccia, un piccolo lago di cupo blu. Non posso parlare. Sento un
flusso caldo salire lungo il corpo; mi avvolge una sensazione indefinibile
quasi metafisica di infinito abbandono e, dai miei occhi sgranati, piovono
lacrime. Io, piccola, eppure grande perché partecipe di tanta incommensurabile
bellezza. Se
Dio esiste, non può che assumere questa visione: silenzio, immensità e luce. Il
tempo è cambiato; si addensano le nubi e scende la nebbia ma in me soltanto estatico
calore.Adesso,
posso tornare a casa.
Firenze,
30 agosto 2020
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