Taranta di inchiostro
Valeria Serofilli
Valeria Serofilli, è nota poetessa, non solo a
livello Pisano, ma anche nazionale: docente di lettere, presidente e fondatrice
del prestigioso premio internazionale Astrolabio di poesia, racconto e fiaba,
autrice di importanti raccolte poetiche, tra cui La Tela di Erato, Nel senso del Verso, Amalgama, raccolta di poeti contemporanei,
i testi Vestali e Ulisse, che ho già avuto l’onore di recensire,
organizzatrice di incontri letterari a Pisa, di cui le raccolte, I Quaderni dell’Ussero e I Blu Book.
Questa sua nuova opera, Taranta di inchiostro, rispetto alle precedenti, presenta
interessanti novità sia sul piano del significato che del significante.
L’originalità del titolo evoca subito quanto ho
appena detto. Dalla solarità mediterranea e dal classicismo delle opere
precedenti, questa raccolta ci porta nel mistero e nell’inquietudine
dell’esistenza. La Taranta evoca il paradigma di questa trasformazione, la
Taranta rappresenta nella tradizione pugliese, una medicina contro il malessere
generato dal morso del ragno, appunto la tarantola, contratto dai contadini salentini
impegnati in estate nel lavoro dei campi. Il tarantismo è appunto questa
malattia, che proprio si combatte attraverso la Taranta, una terapia di tipo
coreutico, durante la quale il malato cade in uno stato di trance,
sottoponendolo a una sorta di esorcismo musicale.
Questo fenomeno di tipo antropologico, si
collega nell’opera di Valeria a una condizione di travaglio interiore che la
forza della poesia è in grado di cogliere e rappresentare in maniera efficacie.
Nell’immagine della Taranta c’è una doppia
valenza quella della malattia e quella della guarigione, un contrasto
intrinseco sul piano semantico, una sorta di ossimoro che fa parte della
comunicazione poetica ma soprattutto dell’essenza della vita.
La
tela del ragno, la prima sezione della silloge, è il punto di
partenza per una analisi esistenziale e soprattutto filosofica del mondo.
L’elemento filosofico, spesso sotteso al mito, è sempre presente nelle poesie
di Valeria e in questo caso ancora di più. La
tela del ragno, da percorso di Conoscenza,
si apre a problematiche etiche, sociali e umane e diviene la Ragnatela del mondo, in cui si collocano
i drammi di oggi, l’Africa come
riferimento alla condizione di arretratezza e di emarginazione, il Burka a rappresentare la drammatica
condizione femminile in certe realtà, e infine l’evocazione del passato, in cui
ricompaiono i temi tanto cari alla sua cultura classicista, la tela di Penelope
e l’epopea luminosa di Ulisse.
Ma non si ferma qui! Ecco allora che nasce
spontanea la questione: c’è qualcosa Al
di fuori della Tela, ultima sezione della silloge? C’è qualcosa che può
sfuggire o liberarci seppur per un momento da questa tela, da questo ordito in
cui tutto sembra essere vincolato, in cui un destino precostituito sembra
tenere prigioniero l’uomo e le sue azioni?
Quest’ultima sezione ci dà la risposta. Sono
gli affetti, le piccole grandi cose che la nostra quotidianità ci consente di
vivere, al di fuori di un destino, seppur predefinito.
È il grande enigma ossimorico mai risolto tra
predestinazione e libertà dell’individuo.
E poi le sezioni dedicate ai poeti, che
rappresentano un riferimento nell’esperienza poetica di Valeria, l’ermetismo e
il simbolismo della prima fase di Luzi, mai così presente come in questa
silloge, che esprime essenzialmente l’angoscia dell’esistenza e poi l’inquietudine
e l’amarezza della fase successiva, che si stempera qui negli affetti, nella
serenità della quotidianità, nel vivere la propria femminilità in maniera
delicata e intrigante come nella Donnagatto,
l’umorismo liberatorio del Chissà
dall’alto che risate, la gratitudine materna della Lettera al figlio, in cui si capovolge il rapporto della maternità,
intesa come dono del figlio verso la madre.
Anche la versificazione si identifica in
maniera mirabile con la condizione interiore e in particolare con lo stato
d’animo che è quello di una riflessione profonda sulla vita, sul nostro
destino, su chi in qualche modo pilota il nostro percorso esistenziale. Questa
interazione forte tra significato e significante è l’essenza della poesia,
almeno per chi come me, crede ancora che esista una differenza tra fare poesia
e prosa. Le cesure nel verso, gli enjambement riescono in maniera pregnante a
esprimere la tensione poetica e il coinvolgimento interiore che si respirano in
queste liriche.
Resta alla fine una domanda, importante sul
piano poetico, ma soprattutto rilevante su quello
filosofico che è un elemento dominante di questa silloge.
Chi è veramente il ragno che costruisce
pazientemente la sua tela, che le frequenti cesure tendono ahimè a provocarne
soluzioni di continuità? Forse il ragno è l’uomo, oppure il destino, oppure il
poeta stesso, o forse più precisamente è il demiurgo, che ha in sé allo stesso
tempo il potere di dominare il fato e la debolezza di subirlo, mentre la tela è
la sua vita di cui egli è artefice e contemporaneamente vittima.
Prof. Franco Donatini, Università di Pisa
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