The
day after
Sì, fummo vinti. All'albero appendemmo
il flagello e di spine la
corona
noi nuovi cristi
fatti d'argilla a somiglianza
d'uomo
ma con nel petto il desiderio
antico
di risalire verso più alte
cime.
Nascevano le lune attorno a un
sole
che si faceva sempre più
nemico
una palla di fuoco pronta a
esplodere
come una bollicina di sapone.
E in questo day after in cui
si contano
solo le teste dei
sopravvissuti
la cenere ancora arroventata
è l'unico lucore in tanto
buio.
Strisciamo nel silenzio delle
strade
senza vederci, consci
d'altre presenze, d'altri
esseri come noi alla ricerca
di quello che fu un giorno il
nostro vivere.
Ma poco ricordiamo, poco resta
di quella immane giostra di
formiche
che popolava il mondo.
O noi Titani
tutto questo sognammo
e nel silenzio s'ode
solo il deluso muoversi dei
passi.
Possibile che un attimo
d'eterno
abbia distrutto un sogno, una
follia
che ebbe vascelli e remi sin
dal nascere?
C'è stato sempre
un desiderio forte di
rivincita,
di oltrepassare il limite, di
andare
al di là della siepe del già
noto.
Anche il cavallo corre, la
carota
gli penzola davanti, premio
ambìto
a quel galoppo che gli sfianca
i reni.
Verrà la sera
e già stremato e stanco
avrà la voglia solo di
dormire.
Forse è giunto il momento
di questo nostro sonno senza
fine
o forse
del Lete già approdammo a
mesta sponda.
Non si conosce il dopo
e questo è
l'oscuro incoercibile castigo
di chi ci volle schiavi al suo
comando.
Non ci accorgemmo di essere
pigmei
migrati nella terra dei
watussi.
Il miraggio
ci rese ciechi sin dall'alba e
il sole
arroventava l'ago della
bussola.
I segni non vedemmo: già i
rondoni
il nostro mare non attraversarono
per artigliarsi immobili alla
gronda
e il cielo non ferirono di
gridi
quando la sera al buio si
tramuta.
Ma tutto cambia:
ormai da tempo i corvi
erano a cerchio sui merli
della torre.
Vigilavano
attente sentinelle
di un esercito occulto a noi
nemico.
E le lune nel cielo, tante
lune
brillavano anche in notti di
tempesta.
E queste ci ingannarono.
Le scambiammo
per una nostra intrepida
conquista,
dei fari aggiunti
a rischiarare ogni nostra
impresa.
Non più alternarsi dello scuro
e il chiaro
quando abat jour stellari
erano nate
a darci sempre vigoria di
luce.
E non capimmo
che il cosmo è un orologio in
cui un granello
un sol grano di polvere lo
inceppa
e ritornare
lo fa al primigenio caos
al vorticare
di atomi impazziti senza
guida.
Il giocatore
non si ferma se ha perso la
partita.
Altre ne vuole a riscattar la
perdita
finché rimasto senza un soldo
in tasca
si pente dello stolido suo
fare.
Ma se gli si presenta
l'occasione
ancora gioca, ancora perde ché
l'ansia di vincere gli
ottenebra la vista
non è più lucido
dimentico del gioco e delle
regole
e rischia, rischia
unico suo obiettivo
di trionfare, di mostrare al
mondo
che egli non è caduto nella
polvere.
Ecco che giocatori scriteriati
anche noi ansiosi
ricontammo le carte ad una ad
una
senza renderci conto che
segnata
qualcuna era sin dalla prima
mano.
E che nessuna vincita
ci avrebbe mai sfiorato con le
dita.
Sì, fummo ciechi, ebbri
solamente
di questo nostro avvicinarsi
all'Oltre
senza capire, senza mai sapere
qual limite ci fosse al nostro
andare.
E ci rimane ancora stretta in
pugno
la gomena dell'àncora che
all'affondo
si srotolò per riportarci a
riva.
Chissà se questo buio è vero
buio
quello di un mondo che si è
spento oppure
è il nostro buio, l'oscura
fine improvvisa della nostra
vita
e noi anime stanche che
vaghiamo
a ritrovare
la persa umanità del nostro
esistere
quello che fu lo scopo o il
desiderio.
E il buio ci impedisce di
vedere
se lasciamo
impresse nel terreno ancora
orme,
se siamo invero dei
sopravvissuti
o sol coloro ai quali si è
richiuso
per sempre al palcoscenico il
sipario.
Caro Nazario, grazie. Ho tentato in tutti i modi di non scrivere cose tristi in questo periodo ma poi non ce l'ho fatta. E' stato più forte di me. Mi scuso con i lettori per questa ulteriore pennellata di pessimismo.
RispondiEliminaCarla Baroni
Giuseppe Verdi riuscì solo alla fine della sua vita a comporre un capolavoro buffo (Falstaff), ma non per questo fu considerato un autore "triste", anzi!
RispondiEliminaVerdi compose il suo unico capolavoro buffo a fine carriera, sugli ottant'anni, eppure non passò per un Autore "triste"!
RispondiEliminaCarla mia, è vero, il tuo Poema non è ottimistico, ma innanzitutto è davvero un'Opera di statura maestosa, com'è nelle tue corde di Poetessa dal talento straordinario, che attinge al metro classico per autentica ispirazione e modella i versi con disinvoltura e modernità impressionanti. In secondo luogo non è facile tendersi ad arco verso la speranza considerato l'anno surreale che stiamo trascorrendo e che non sembra volgere al termine. Mi ritrovo spesso a pensare che un evento come il Covid vorrei averlo solo sognato, in quanto è stato ed è una sottrazione straziante di vite e di vita. Complimenti e speriamo di leggerti presto in un nuovo Poema di rinascita! Un abbraccio a te, a tutti i lettori e al nostro Nazario.
RispondiEliminaQuesto poemetto si segnala per una visione della realtà ora paradossale ora onirica ora addirittura apocalittica, che genera effetti inediti, cospirando a ciò un impasto linguistico ad andamento straniante, in quanto risultato della collaborazione/opposizione di stili e registri diversi: i quali oscillano dal parlato al dotto e al letterario, ma con naturalezza (mi è parso di cogliere nella decifrazione di alcune strofe poste verso l'inizio della composizione un po' di echi pascoliani che vengono dritti dritti dai Poemi Conviviali).
RispondiEliminaÈ una prova, questa di Carla, meritevole di ulteriori indagini e approfondimenti.
Pasquale Balestriere
Ben venga la tristezza, Carla, quando è sostenuta da una così serrata autocritica e da un desiderio così autentico di riscatto. Il pessimismo è un'altra cosa: è il blocco totale e la totale inerzia di fronte all'avanzare del Male nel mondo. Qui interviene il "pentimento": "Il giocatore / non si ferma se ha perso la partita. / Altre ne vuole a riscattar la perdita / finché rimasto senza un soldo in tasca / si pente dello stolido suo fare". Ma la tua analisi va avanti, Carla, è molto profonda: "C'è stato sempre / un desiderio forte di rivincita, / di oltrepassare il limite, di andare / al di là della siepe del già noto"; "Si, fummo ciechi, ebbri solamente / di questo nostro avvicinarsi all'Oltre / senza capire, senza mai sapere / qual limite ci fosse al nostro andare". Perché andare verso l'Oltre, quando l'Oltre è già qui e ci vive accanto, in questo nostro paradiso di terra che facciamo di tutto per deturpare? Grazie per questo tuo splendido canto.
RispondiEliminaFranco Campegiani
RICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaCari Amici, grazie, grazie, grazie non solo dei vostri commenti molto lusinghieri ma soprattutto di avermi letto sino in fondo.
Questo minuscolo poemetto è stato ispirato non tanto dalla pandemia in corso, quanto
dai molti eventi naturali inquietanti -ghiacciai che si staccano dal Polo, foreste che bruciano ecc. ecc.- a cui assistiamo quotidianamente quasi con indifferenza.
La tecnologia avanza in progressione geometrica e si è giunti a dei risultati assolutamente inimmaginabili agli inizi della nostra stessa esistenza ossia in un arco di tempo piuttosto ristretto. Se si pensa - tanto per fare un esempio molto banale - che quando ero bambina io gli alimenti venivano refrigerati con un pezzo di ghiaccio acquistato giornalmente da un venditore ambulante che percorreva le strade cittadine con un carrettino trainato da una bicicletta, forse ci si rende conto dell'enorme cammino percorso in questi ultimi anni.
Ma più si raggiungono mete apparentemente impossibili, più, al contrario, è rapido il generale degrado della natura. Papa Francesco ha detto recentemente: “Dio perdona sempre, noi perdoniamo qualche volta, ma la natura non perdona mai.” Ed è proprio da questa considerazione che nasce il mio attuale sconforto: il pensiero che tutto quello che abbiamo creato e che ancora creiamo faticosamente, possa, in un futuro molto prossimo, scomparire.
Questo era il messaggio insito nei miei versi: accorgersi dei segnali che ci vengono dati per cercare di ovviare, per quanto ci è possibile, ad un evento catastrofico.
Troppo pessimistico? Forse, ma è necessario, talvolta, farsi Cassandra anche se la profetessa è tristemente nota per non essere stata mai ascoltata.
Ancora grazie a tutti voi.
Carla Baroni