giovedì 14 maggio 2020

FLORIANO ROMBOLI LEGGE: "NEL FRATTEMPO VIVIAMO" DI NAZARIO PARDINI


ROMBOLI FLORIANO, COLLABORATORE DI LEUCADE,
RICEVE IL PREMIO

Nazario Pardini, Nel frattempo viviamo, Milano, Guido Miano Editore, 2020, pp. 123


In una lirica compresa nella prima parte della recente raccolta poetica di Nazario Pardini si leggono versi elaborati con essenziale, significativa incisività: “ Là i tuoi campi,/ i tuoi monti,/ il tuo piano, la pineta (…) là il tuo fiume,/ la sua foce./ Metti le ali!/ vai!/ Ma attento agli strali del sole/ che annientano ogni lume,/ uccidono le stelle,/ creano ombre, penombre…” (Là i tuoi campi, vv. 1-3 e 5-12).
Ho segnalato nel testo con il mio corsivo quello che è un “movimento” ricorrente nella strategia formale-compositiva dell’autore, d’altronde indicativa di una disposizione intellettuale, di un abito etico ed estetico. Allo spunto conativo, alla sollecitazione vitalistica e partecipativa si accompagnano l’indugio riflessivo, l’invito alla concentrazione meditativa, che è premessa dell’attenzione analitica ed esplorativa.
Il primo momento esprime direttamente il motivo dell’ intenso amor vitae indubbiamente centrale in tutta l’ampia opera artistica pardiniana e che lucidamente Enzo Concardi ha messo in risalto nella bella prefazione a quest’ultimo volume. L’esemplificazione è agevole quasi ad apertura di libro, sovente in contesti dominati dai consueti riferimenti naturistici: “Eppure l’aria che ha mosso la pioggia/ m’invoglia/ a respirare fresco nella strada./ Ma il sole che squarcia le nubi/ è già pronto/ a rapire profumi, barlumi di vita,/ ricordi d’erbosi richiami/ e goccia brillante dai rami” (Eppure l’aria che ha mosso la pioggia) ;  e nella sottolineatura vivace della gioia “fisica” insita nel fatto stesso di vivere: “ Eppure quello strappo di cielo/…e il sole che prova le voglie/ di bersi le pigne stellanti di luce,/ immagini eppure si fanno,/ essenze di corpi/ per dirmi che l’anima un giorno/ era tatto, colore, profumo di fieno,/ sapore di bosco” (Eppure quello strappo di cielo, vv. 1 e 4-10) ;  “Il palato ha gustato/ comunque/ l’asprore/ di forza sanguigna/ che esplodeva la vigna dell’anima/ avanti che fosse novembre” (Ho sorseggiato grappoli di ricordi, vv. 4-9).
E’ altresì costantemente presente l’atteggiamento critico-riflessivo, interrogativo, che si obiettiva nell’indagine rigorosa intorno al significato autentico dell’incessante dinamica naturale, nella quale è arduo riconoscere un’istanza orientativa e finalizzante in grado di assicurare giustificazione ideale e ordine globale alle relazioni fra le molteplici specie e alla varietà conflittuale degli elementi: “Contro corrente/ remare/ con le piume/ nell’ora/ che il fiume/ si riempie!/ A che vale?” (Contro corrente) ; “Si muove il cielo, la terra,/ il sole,/ l’universo;/ ma dove andremo?/ Come mi sento sperso!” ( Si muove il cielo, la terra).
La densità problematica del discorso poetico di Pardini è conseguenza della tensione, dall’evidente valenza conoscitiva, che s’instaura nei testi fra la valorizzazione energica della libera, suggestiva e appagante vitalità naturale e umana, e l’osservazione sistematica del mistero sfuggente, dell’ambivalenza e della contraddittorietà anche acute e dolorose della realtà, così ricca di disarmonie, di aporie, di potenzialità distruttive: “ Uccide il cielo/ un altro giorno ancora;/ cadono frutti “paccoli”/ consunti poi/ da vespe e da formiche” (Uccide il cielo).
L’invito dello scrittore toscano a vivere con soddisfazione il tempo che ci è dato  - l’esortazione non potrebbe essere più esplicita nel primo componimento della seconda parte, caratterizzata da un registro stilistico maggiormente colloquiale, da cadenze metriche e ritmiche più popolareggianti : “ E’ come un lecca lecca, sai, la vita,/ finito non ti resta che lo stecco,/ non te ne fai di un becco, caro mio!,/ gustala bene prima che sia finita!”  -,  la sua adesione sincera alla vastità e alla complessità del mondo materiale e morale (“ Ma non sono divisi/ gli elementi;/ sono tanti gli strumenti/ che toccano i loro tasti,/le loro corde/ sotto le sorde note dei divisi”, Il rustico sul colle, vv. 9-14) che si realizza strutturalmente attraverso il frequente impiego delle enumerazioni e delle similitudini, non possono essere separati dalla considerazione turbata delle  occasioni invero numerose di indifferenza, di sofferenza, di infelicità: “In quella casa il funerale./ Nel silenzio/ si udiva solo/ il rimbombare dei calci di un ragazzo/ su un barattolo vuoto” (In quella casa il funerale) ; “Come è scaltro il tempo!/ Mi nasconde il suo passare (…) Da una parte è bene,/ almeno, distratto,/ con minor pene sopraggiunge il disastro”( Come è scaltro il tempo!, vv. 1-2 e 6-8, corsivi miei).
Se la morte è di certo un “disastro”, la vita nella concezione pardiniana si fonda sull’equilibrio faticoso e precario di tante situazioni antitetiche (“Abbarbicato al suolo/ il nostro corpo/disseminata l’anima/ alla carne/ tiene strinta”, Abbarbicato al suolo, vv.1-5, corsivi miei) che egli  - autore intimamente attratto dai contrasti e mai preso dalla necessità della composizione e della sintesi, poeta diadico e non dialettico – sa rendere nei suoi versi con efficacia davvero notevole.
D’altra parte è consapevole che la bellezza inconfondibile e irrinunciabile dell’esistenza degli uomini è nella sua imperfezione, nei limiti che da sempre la contraddistinguono, in quell’”immensità imprigionata” (v. il sintagma ossimorico nella poesia L’immensità, v. 4) che in una bellissima lirica, intitolata Tra un dio e l’uomo e accolta nella silloge L’azzardo dei confini (2011), suscitava l’invidia scoperta della divinità.
A distanza di quasi un decennio Pardini ribadisce le proprie convinzioni, scrivendo in Mi turba l’idea del Paradiso : “Mi turba l’idea del Paradiso/…è sempre domenica, là. Il vestito sempre nuovo/ non è mai nuovo./ Io amo molto casa mia/ ed è una casa/ ad uso e consumo dei mortali./ Là mi sentirei troppo osservato,/ Dio è onnipresente,/ e non consente intervalli./ Qui l’infinito è solo un’ambizione,/ l’ambizione che resta./ Là in che consiste/ l’ambizione?” (vv. 1 e 3-25).                                                                                                                               Floriano  Romboli


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