martedì 26 maggio 2020

MARIO SANTORO LEGGE: "NELLA TUA GIUSTIZIA MIO DIO" DI CLAUDIO COMINI




“Nella Tua giustizia mio Dio” di Claudio Comini:
un intenso percorso dell’anima tra natura, bellezza, fede

Recensione di Mario Santoro


Si percepisce, nella breve raccolta di poesie di Claudio Comini, un clima di calma tranquilla e di pensosa serenità ma al tempo stesso di consapevolezza piena dei valori autentici dell’esistenza, con la sensazione della continua ri-scoperta delle cose che contano in una ricorrente propensione allo stupore, al senso della gioia, alla relazione privilegiata con divino, attraverso un linguaggio poetico estremamente immediato, comunicativo, familiare, dialogico, diretto e sorretto da un ‘Tu’ confidenziale eppure sempre estremamente rispettoso e con un giusto velo di timore. Si tratta di un dialogo continuo, appena sospeso ad ogni poesia per consentire la riflessione e il ripensamento, morbido nei riferimenti, e, a tratti, tendente a farsi preghiera e sempre capace di esprimere, a tutto tondo, il senso della gratitudine per il dono della vita e per le promesse-certezze future, sicché anche laddove compare qualche vaga indicazione di disagio, dettata da certe incongruenze che nella vita affiorano e fanno dire all’autore che le “disuguaglianze / non dovrebbero esistere”, quasi subito essa tende al dissolvimento un po’ come l’ombra notturna che cede il passo alla luce del mattino.

L’autore privilegia un poetare breve se non anche sintetico, quasi trattenuto dal timore di abusare della parola. Allo stesso modo, immediati e rapidi. sono i rimandi efficaci agli elementi della natura che, di volta in volta, diventano oggetti di contemplazione e implicito canto al Signore, ma sovente anche ben manifesto, e fanno quasi da corona al lago Maggiore, di per sé straordinaria oasi di pace e di quiete con i tanti agglomerati urbani intorno alle sue rive e i monti in lontananza, le albe e i tramonti a susseguirsi, le notti con tanto di stelle, i profumi nell’aria e le testimonianze di vita umana. Pare quasi che Comini voglia privilegiare la parola schematica, spoglia di aggettivazioni preferendo affidarsi al sottinteso, al non volutamente detto, a certe evocazioni solamente indicate o addirittura alluse e consegnate al lettore insieme con l’idea di un sempre possibile oltre da raggiungere e con l’impegno di mantenere un tono basso, sulla linea dell’umiltà e della semplicità che non scade mai nel semplicismo, anzi! Di qui certi rimandi immediati ad altezze vertiginose da cogliersi nell’attimo e capaci di travalicare il cielo visibile, senza smarrimenti di sorta, e di aprire percorsi su sentieri inesplorati, mantenendo intatta la brillantezza delle notti stellate, quasi “bottoncini” di campaniana memoria.

Si tratta, quindi, di itinerari che perdono il carattere di neutralità e si ammantano di gradevolezza e di vicinanza alla natura e costituiscono un chiaro invito a lasciarsi catturare dalle meraviglie che ci circondano, dalla ripetizione continua del miracolo di bellezze, che incessantemente si rinnovano e permangono sotto i nostri occhi, qualche volta miopi, dal bisogno di recuperare quotidianità semplici o addirittura ordinarie. E tutto questo in un vero e proprio “itinerario di fede” per dirla con Guido Miano.  Appare evidente e radicata una sorta di concezione nuova dell’esistenza tra leggerezza gradevole e vaghezza di sensazioni che sfilano morbidamente e come vellutate, in vista di un’eternità felice e possibile, e in netta contrapposizione con l’idea di vita di tutto il Novecento, dominato dal pessimismo, dal cosiddetto male di vivere, dalla pena esistenziale, dal mestiere come artificio di sopravvivenza, da muraglie montaliane invalicabili e da tanto altro ancora. E alla delicatezza del tono, sempre misurato e controllato, sembra adeguarsi il verso, che non conosce fratture o frantumazioni ma si dispone piano, in una sorta di armoniosa simbiosi, e sovente si fa riposante, quasi un raccontare favoloso, dolce ma non mieloso, con il fascino dell’antico che si coniuga con il nuovo e con sempre l’invito a lasciarsi coinvolgere e magari avvolgere e, soprattutto, a non affannarsi alla ricerca delle futilità che il sistema sociale contemporaneo, sembra saper offrire.

L’autore mostra convinzione nel proporre come realmente possibile il sogno dell’al di là, quasi, quasi favola bella, senza l’illusione d’Annunziana e in sintonia con la chiusa della brevissima poesia pascoliana: “...il bimbo dorme e sogna i rami d’oro / gli alberi d’oro, le foreste d’oro...”. Il rapporto uomo-Dio risulta vero e più che maturo e non conosce dubbi o tentennamenti. Non ci sono i silenzi del Signore, che spesso tormentano i poeti e anche gli uomini di fede, gli attimi di scoraggiamento, i momenti di debolezza ed è sempre presente un senso di serenità e di fiducia nella dichiarata riconoscenza da parte del poeta che accetta di buon grado la legge divina, senza metterla in discussione e tentando di comprenderla fin dove glielo consente la sua limitata natura umana e alludendo sovente all’intervento di forze negative contro la giusta legge di Dio perché “per mano del maligno / c’è sempre chi vuole prevaricare” (La Tua legge mio Dio) sull’essere umano. Il divario tra il bene e il male, lotta pressoché perenne, è presente spesso nelle poesie con la contraddizione evidente tra la “Tua grande giustizia / che è nei cieli più infiniti e si connota sempre come “sorgente che disseta e le anime cadute in rovina, / per mano di quel maligno / che fa incetta di quella gente / che guarda in modo appariscente” (Sempre Tu nei cieli più infiniti).

Ed accade anche altrove che il male torni ad insinuarsi, motivo ricorrente di tentazione, con “la mano malvagia / del maligno, ma invano perché “nell’ora che verrà, non importa quando, sarà la luce divina a trionfare e a penetrare anche negli abissi. E così la poesia tende a farsi canto o meglio inno al Signore nella messa in evidenza della natura da Lui creata, con le placide acque del lago che rifulgono di luce al tramonto, con le onde leggere a frangersi dolcemente contro le rocce e l’eco delle voci che si rincorrono “tra le viuzze di un paese rivierasco / ancora vivo nei mesi estivi (Celestiale tramonto). E la lode riguarda anche le cose più semplici come la gioia armoniosa di una festa paesana ad Ascona, con il bel ricordo del poeta con tanto di “rintocchi / delle campane a festa, con il rimando della dolcezza di certi canti capaci di attrarre finanche la gente di passaggio.

E su tutto sembra dominare incontrastata la luce a cui Comini fa insistente riferimento con le placide acque del lago brillanti di luce, nel doppio richiamo alla esterna e, soprattutto a quella interiore, sia quando essa, come accennato, penetra “negli abissi più profondi”, sia quando si fa luminosa sul “profumo dei fiori”, sia, ancora, quando “tutto sul lago brilla della Tua vista / mentre le ultime luci del tramonto / invitano a una gioia senza fine” (Tutto nella Tua luce).
Luce fisica, dunque, ma anche spirituale! E quest’ultima non può che ritrovarsi idealmente alla destra del Signore, origine prima di tutto il Creato offerto come dono all’uomo che non sempre, anzi quasi mai o forse raramente, sa apprezzare la bellezza, sa comprendere la meraviglia del dono; addirittura talvolta sembra non rendersi conto della sua condizione di privilegio. Non a caso il poeta scrive: “Nell’incontaminata Tua dolcezza mio Dio / non tutto su questa terra / vien visto come un’opera buona” (Se Tu la vera luce). Eppure basterebbe poco per acquisire consapevolezza e soprattutto sarebbe più che sufficiente la lettura delle “Sacre Scritture del Tuo Vangelo. E Comini va anche oltre nella denuncia di una linea di evidente amarezza: “...oggi molti non credono / alla Tua celestiale luce divina, / tutto sta lentamente andando in rovina / e l’onda un domani distruggerà tutto / e del tuo grande regno mio Signore / resteranno solo pochi / che credono alle Tue Sacre parole / e al Tuo Vangelo” (Oggi soprattutto). Ma per fortuna la condizione di negatività dura poco perché, quasi nell’immediatezza, al pessimismo testé dichiarato, subentra la speranza della possibilità di salvezza. E così il “volo libero di gabbiani” ma anche “la dolce brezza” che spira sul lago, così come il suono melodioso dell’arpa, l’allegria serena della gente che passeggia, “il fiorito profumo della magnolia” e infine “un coro immenso di angeli / oggi sul lago”, tornano a dominare e a farsi sempre più simboli di bellezza e di splendore.

E allora tanto il lago quanto la località Calde diventano cuori del mondo, luoghi privilegiati che, con la “moltitudine di vele” che si possono ammirare nelle acque tranquille, assumono il ruolo di ulteriori simboli della festa delle feste, quella della “Tua venuta”. E quando ciò accadrà nulla potrà fare “la mano malvagia / del maligno” destinata alla fine a soccombere anche se talvolta essa fa di tutto per portare “la gente / lontana dai Tuoi sacri luoghi / dove ancora regna la pace / che rianima i cuori” (Non tutto brilla come tu vorresti). Trionfa il senso della certezza del bene supremo e si connota come linea di normalità con la gioia semplice e serena, autentica e incontenibile, capace di cancellare le ombre coi canti e con il suono delle campane e l’immagine delle reti dei pescatori al rientro in barca. Ed è con questa carica di tensione emotiva che Comini chiude la prima parte del volume Nella Tua giustizia mio Dio e ci piace segnalarlo con la riproposizione dei versi dell’ultima poesia: “Tutto è nella norma”: “E’ una gioia, rivedere nel risvolto del tempo / la gente applaudire il Tuo passaggio sul Maggiore / come se nulla fosse successo nel tempo / mentre le reti dei pescatori giungono a riva sulla barca / tra canti e campane che suonano a festa, / in una gioiosa Stresa” (Tutto è nella norma). Dal Tiberiade al Maggiore, dunque, nell’annullamento dello spazio e del tempo. Ed è chiaro e lineare il filo conduttore, -filo d’Arianna per la salvezza- difficile da spezzare, sebbene quasi invisibile, che lega tutte le poesie della seconda parte estrapolate da altre raccolte: la stessa carica di spiritualità domina, la medesima tensione pervade i versi ed è sempre vivo il richiamo alla divinità attraverso la natura con particolare riferimento ad elementi specifici come la luce e il lago in atmosfere gradevolissime di attesa, di serena accettazione dell’esistenza terrena, di fiducia nella mano amorevole del Dio misericordioso.

Tutto questo consente all’autore di potersi soffermare, a lungo e volentieri, sulle rive del lago ad ammirare, con animo fanciullesco e disposto allo stupore e con gentilezza di cuore, “la schiuma delle bianche onde” lasciando liberi i pensieri e consentendo ai ricordi di riaffiorare alla mente e, naturalmente, non solamente a quelli belli e consolatori ma anche agli inevitabili tristi giorni vissuti prima che la parola poetica, quasi salvifica, apra spazi a percorsi lieti, a “immagini felici / che riempiono la mia vita / come il sole che risplende sul lago, / regalando giorni sereni” (Nulla verrà dimenticato). E, proprio la condizione di serenità che subentra e permane, consente la dolcezza del ricordo paterno, ripresa più volte, con il rimando al suo percorso di vita, estremamente positivo e permette di immaginare la sua anima in cielo al cospetto di Dio, tra angeli e santi: “La felicità è in me padre / al saperti tra gli angeli e i Santi in cielo / di fronte a Dio che dà luce alla tua anima. / Tutto il tuo percorso in vita / è stato quasi gioia pur sapendo e conoscendo / momenti tristi passati” (La gioia è in Dio).

E la figura paterna viene ancora richiamata nel ricordo, triste e sereno a un tempo, della sua dipartita: “La tua anima è oggi salita al Padre / tra i canti di gioia di una moltitudine di angeli” (Tutto al Padre). Impiacevolisce ma non sorprende tanta sicurezza, figlia di una fede sincera e incrollabile, che ha reso in qualche modo sopportabile la lenta agonia tanto più nella certezza del dopo: “Si apriranno i cieli / e uno stuolo di angeli / canteranno le lodi / del tuo trionfale ingresso” (La tua anima). E nulla, ma proprio nulla, sembra smuovere la fede in Dio dell’autore che chiede umilmente perdono per gli eventuali peccati commessi, magari inconsapevolmente come sembra indicare il ‘Se’ introduttivo che ha poco o nulla di dubitativo e che punta a trovare per l’anima rifugio certo tra le braccia del Signore; rifugio che Claudio Comini estende a tutti gli esseri viventi con la bella Preghiera:

“Nella Tua viva e stupenda
Immensità Celeste,
il mondo un giorno si piegherà
al Tuo vivo e splendido cospetto
per chiederTi perdono per i peccati commessi”.

E magari, nella Sua infinita misericordia, Dio non chiederà conto dei peccati.

Mario Santoro




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