"I dintorni dell'amore", di Nazario
Pardini
Dopo avere
paragonato la corsa del fiume che sfocia in mare alla corsa di ogni singola
vita (Bios) che si versa nell'oceano della
grande Vita (Zoe indistinta ed
indelebile, immortale) Nazario Pardini, autore de I dintorni dell'amore ricordando Catullo (Miano Editore, 2019), nella
sua iniziale Lettera ad un'amica mai
conosciuta, amplia la propria riflessione toccando il rapporto fra
Universale e Particolare, fra Materia e Spirito, fra Terreno e Divino. E si
chiede: "L'avrà (Pneuma) lo Spirito Santo questo potere di infondere tutta
la sua forza sulla materia per evolverla in bene?". La risposta è:
"Io ci credo. Sono un credente. E non mi pongo tanti interrogativi. Perché
questi dilemmi escatologici hanno bisogno solo e soltanto di fede. E non
possono essere materia di speculazione scientifica".
Bene, partiamo da
qui. Che cosa sia la fede per lui, il poeta lo dichiara fin da subito: "il
mistero dei cicli naturali, un tramonto, un'immensa sconfinata distesa di neve,
che tanto ci avvicina a quel senso di
libertà che è in noi; libertà che inutilmente cerchiamo nel campo umano".
E' un passo molto significativo, su cui vale la pena soffermare l'attenzione, giacché
se quel senso di libertà è in noi, ciò vuol dire che esso è
pienamente e assolutamente umano. E se poi quel senso di libertà viene
compresso e ostacolato proprio nel campo umano, ciò vuol dire che i nostri
meccanismi psichici si rifiutano di girare secondo ingranaggi naturali e
universali. In altri termini - senza voler forzare la mano a Pardini - ciò vuol
dire che gli uomini non hanno fede in se stessi ed amano nascondere a se stessi
la propria essenza, la propria arcana fonte battesimale, il divino della
propria stessa natura umana.
Così l'uomo diviene
la prigione di se stesso, di quel suo spirito che nel soma vorrebbe realizzare
le proprie più segrete aspettative. La natura dell'uomo è duale: materia e
spirito allineati (non fusi) tra di loro. Di tale equilibrio, Pardini è
poeticamente consapevole laddove sostiene che i valori dello Spirito
rappresentano una "fuga, grande fuga dalla materia verso il Cielo", ma
subito sente di aggiungere: "un Cielo che ci avvolga con tutta la sua
purezza", e dunque un Cielo che avvolga la Terra, la renda bella ed
amabile, giacché Cielo e Terra fanno tutt'uno, sono due in uno. "In me, sottolinea,
coincidono l'idea di Leucade e quella di Pneuma": Cesare e Dio. Il male
dell'uomo (di sempre) non sta nel cercare Cesare, ovvero i beni materiali, ma
sta nel non cercare Dio, fuor di metafora i valori spirituali.
L'uomo contemporaneo
(molto più dell'uomo di sempre) non crede in se stesso e si annulla, dice Pardini, "nella realizzazione di fini
materiali; agire solo e soltanto in funzione di tale scopo". In tal modo
salta l'equilibrio, quell'armonia che è molto cara al poeta pisano. La
spiritualità di cui egli parla è sanguigna, è incontro di sensi e d'anima. Non
a caso, in età matura, ora che "il fiume sta per fluire nel grande
mare", come lui stesso dice, subito aggiunge: "spero che mantenga
(quell'acqua) un po' di quell'aria sapida di terra e di pineta che ho sempre
respirata". No, non è un mistico, Pardini. Ascoltiamolo con attenzione: "Non
si deve accettare tutto passivamente come voluto da Dio. Bisogna lottare,
lottare, lottare. Con tutte le forze che la Natura ci ha fornite".
E' l'Umano ciò che
veramente sta a cuore al nostro autore: un Umano con la U maiuscola che includa
la minuscola dentro la propria grafia. Temporalità ed eternità, carnalità e
spiritualità in un solo respiro. Spiritualità che non si tramanda pigramente nei secoli, ma che si trapianta miracolosamente nei secoli, morendo e rinnovandosi in
continuazione, come l'araba fenice. Essenza che "si perpetua nel tempo
senza bisogno di naftalina". Quando Pardini parla di antico non si riferisce al passato,
ma agli inizi perenni, a quel non/tempo che torna prepotentemente e
sempre nel tempo, informandolo, modellandolo, permeandolo e indirizzandolo secondo
i propri valori. Antico, dice
Pardini, è un "cuore che pulsa e
che torna a vivere; o meglio che non ha mai cessato di vivere", seppure
posto fra parentesi nella prassi quotidiana.
Antico è
ciò che non muore, ma che eternamente accetta di morire per darsi la
possibilità di rinascere a vita nuova. Antico
è ciò che sta nel tempo stando fuori dal tempo, e viceversa. Sarebbe davvero
riduttivo, parlando di questa poetica, confonderne in senso antiquario il vitale concetto di antico. Antica è l'humanitas di
sempre, eternamente attuale, è l'essenza immortale dell'ente, misteriosamente connessa
con la vita mortale. Connessione, dunque, relazione, in luogo di quella
scissione tra materia e spirito tanto cara ai materialisti e ai mistici di ogni
tempo e paese. Ed è qui che nel poeta s'innesta il tenero, fascinoso, intenso
ricordo della poesia catulliana. Che cosa sarebbe l'amore se uno dei due poli
venisse a mancare? Amore come congiunzione, come attrazione di sangue e pneuma.
Dove il fisico
ingabbia (imprigiona), lo spirito scarcera (sprigiona). Libertà nei
condizionamenti e non dai condizionamenti,
che sarebbe utopistico e fantasioso. E' questo l'amore, che da un lato è lieve,
fa volare, e dall'altro cattura con opprimente forza gravitazionale. E se è
vero che esso diviene "sempre più puro a mano a mano che le forze calano,
e viene meno, sempre meno la voglia del terreno", è pur vero che di sensi
terreni si nutre "per mantenersi vitale, attuale, e sapido di bosco, di
mare, di terra, di fiume, sapido di luoghi dove consumammo amore". La
Natura è al centro della poetica pardiniana: un Paradiso terrestre, una
spiritualità incarnata, dove i due piani si allineano, senza essere goffamente trascinati
l'uno nell'altro, come accade nel disperato e illusorio amore di Orfeo per
Euridice.
Ma senza neppure
essere separati l'uno dall'altro, come avviene nell'amore boccaccesco, che tira
verso il basso, totalmente disincantato, o nell'amor platonico teso verso
l'alto, con la visione della donna angelicata. Un amore del distacco,
quest'ultimo, miseramente destinato a fallire, a rivelarsi impossibile, come
quello di Petrarca per Laura, o quello di Leopardi per Silvia. O quello dei
Simbolisti, nato nel segno della svalutazione dei sensi e della Natura in
generale. Mi sovviene in proposito la collera di Baudelaire contro Catullo e la
congrega di "poètes brutaux et
puremente épidermiques", i quali "n'ont
connu que le pȏle
sensualité". Collera certamente
non condivisa da Pardini, che mostra di amare la donna autentica, nello
splendore angelico della sua presenza carnale: "Ma io ti
amavo, / ti rivolevo a terra, / no Madonna fra i Santi in mezzo ai canti"
("Secretum").
La Donna, la Terra
Madre: figura tutt'altro che morbosa o demoniaca, come è stata ingiustamente
raffigurata da tutti coloro che nella Natura vedono una potenza malefica, anziché
una fonte di lezioni morali. Lo sappiamo bene: un malinteso senso della libertà
induce a rifiutare i limiti che la Natura pone e che fanno indubbiamente
soffrire, ma è proprio attraverso quelle
forche caudine che è chiamata a passare la libertà dello spirito per potersi
potenziare. Le cosiddette passioni - che tra l'altro derivano dalla malsana mente
dell'uomo e non dagli istinti naturali, sempre purissimi - procurano sofferenze
che occorrono alla stessa mente come un vaccino per potersene immunizzare. Curare
il male con il male. Altro che nirvana! altro che fuga dai morbosi desideri che
procurano dolore! La vita va vissuta con forza d'animo e non vilmente rifiutata.
C'è
una enorme differenza tra Catullo e Saffo, la poetessa di Lesbo, cui il poeta
latino è stato paragonato. Nessuna disperazione in Catullo che vive con Lesbia un amore, si torbido, ma nobile e
vigoroso come raramente accade di incontrare. Possiamo trovarne conferma nel carme
8 (Miser Catulle, eccetera), da
Pardini giustamente citato. Carme di una limpidezza formale, ma soprattutto
morale, straordinaria, dove il poeta parla con se stesso da un'altezza di
spirito duramente conquistata: "Cessa di vaneggiare, e quel che, o misero
/ Catullo, ormai svanì, lascialo perdere. / Fulgidi soli a te un tempo risero,
/ quando a un cenno di lei correvi subito, / che tanto amasti quant'altra non
può essere" (nella versione originale è detto amata "nobis quantum amabitur nulla", dove il tu
iniziale si trasforma in noi, nel
segno di un'amicizia spirituale con se stesso e di un orgoglio ritrovati).
Ma
ciò che più è ammirevole lo troviamo sul finale del carme: "Ormai lei non
vuole più: anche tu, non padrone di te, non volere / e non inseguire colei che
fugge, e non vivere infelice, / ma con animo risoluto resisti, tieni duro. /
Addio ragazza, ormai Catullo tiene duro". E questo sarebbe il debosciato
poeta latino di cui parla un'insulsa tradizione perbenista e bigotta che si
vergogna di vivere e di essere come natura vuole! Nella prima sezione del
libro, l'autore, con accattivante eleganza formale, rivive e ripercorre nel
proprio spirito, autonomamente, gli stati d'animo catulliani, dedicando a
Delia, anziché a Lesbia, versi d'amore che fanno a gara con quelli del
celeberrimo poeta di Roma. Non sono traduzioni, ma rifacimenti a volte, e il
più delle volte geniali varianti liriche nei confronti di una donna amata e
odiata nello stesso tempo.
Nella
seconda sezione ("Di vita, di mare e
di amore") prende corpo un canto di dolorosa consapevolezza delle
offese arrecate dal genere umano alla Madre
che generosamente gli ha dato i natali ("E noi ti demmo morte / con
lame affilate nei fianchi / ... / dopo avere frantumato le campagne / ... /
senza nemmeno piangere, immemori / dei riti tramandati dai pagani / pietosi per
i cicli della vita"). La sacralità del Creato, i misteri del sacro
primordiale, la divinità della Natura (che uno sconsiderato spiritualismo
confonde con il Panteismo, secondo cui la Natura è Dio): tutto questo risuona
nell'animo di Nazario Pardini, con nostalgico vitalismo. Al Paganesimo,
infatti, è dedicata infine la terza sezione, "Canzoniere pagano", da pagus (borgo rurale), con una serie struggente di richiami alla
natura che il mondo, non da oggi purtroppo, ha voluto dissacrare.
Da
dove nasca questo civile e spirituale terrore per gli istinti non è
dato sapere. Essi, se puri, non hanno, né possono avere colpe di alcun genere,
perché sono sempre alleati dello spirito. Se così non è, la responsabilità non
ricade su di loro, ma sulla mente che
interrompe e devia l'allineamento tra i due poli. Soltanto la mente, infatti, può mentire, e mentire in primis a
se stessa, come testimonia la radice (mens)
che i due termini hanno in comune. Pensiamo alla ricchezza di un mondo dove
tutto è ritenuto divino (l'acqua, la roccia, i vegetali, gli animali, il sole,
gli astri, la luna, le stelle) e poniamo a confronto questa ricchezza con il
povero e desolato pianeta che ci hanno lasciato le sconsiderate filosofie
successive, nate e cresciute all'insegna della separazione tra materia e
spirito. Da qui il corpo maltrattato, quello femminile principalmente (stante
la relazione della materia con la mater. Per non parlare della terra
inquinata, dei mari e dei cieli, verso cui i Pagani - si proprio loro - avevano
una devozione sacrale.
Franco Campegiani
Ritorna, dopo molto tempo, la presenza e l’interpretazione filosofica di F. Campegiani, di cui si sentiva la mancanza. Franco analizza, da par suo, il tema della fede in N. Pardini, riflette sulla natura duale dell’uomo (“materia e spirito allineati (non fusi) tra di loro. Di tale equilibrio, Pardini è poeticamente consapevole…”), e sulla “ spiritualità sanguigna” di incontro di sensi e d'anima, lontana da ogni forma di misticismo (“E' l'Umano ciò che veramente sta a cuore al nostro autore: un Umano con la U maiuscola che includa la minuscola dentro la propria grafia”), per cui la vita va vissuta con forza d'animo e non vilmente rifiutata, la ricerca dell’umanità antica di sempre, eternamente attuale, e l’amore con la sua complessa storia letteraria, per concludere con “La Donna, la Terra Madre”: figura tutt'altro che morbosa o demoniaca per cui può affermare: “ Pensiamo alla ricchezza di un mondo dove tutto è ritenuto divino (l'acqua, la roccia, i vegetali, gli animali, il sole, gli astri, la luna, le stelle) e poniamo a confronto questa ricchezza con il povero e desolato pianeta che ci hanno lasciato le sconsiderate filosofie successive, nate e cresciute all'insegna della separazione tra materia e spirito..” Una lettura originale e consapevole di cui ringraziamo il filosofo.
RispondiEliminaCarissima Maria Grazia, ti sono molto grato per queste tue lusinghiere considerazioni. L'attenzione che dedichi ai miei scritti, ma non solo a quelli (che sono povera cosa), mostra la generosa dedizione del tuo animo verso tutto ciò che ha a che fare con il pensiero e con la poesia. Ti abbraccio.
RispondiEliminaFranco Campegiani
L'esegesi dell'Opera di Nazario, che ebbi la fortuna e l'onore di leggere e di provare a recensire, del caro amico Franco, è un capolavoro di originalità, di slancio vitalistico - per adottare una sua frase -, di vibrante sentire. Ha colto gli aspetti della Silloge con acume e con la poderosa fierezza intellettuale, che lo rende un grande Filosofo. Maria Grazia, come sempre, ha saputo scandire l'essenza dei vari passaggi del tributo, io mi limito a complimentarmi con l'amico per il suo pensiero visionario,nell'accezione di utopico e al tempo stesso legato fortemente alla realtà. Vorrei possedere i suoi strumenti di analisi per avvicinarmi anche solo un poco a questa capacità di lettura. Tutti i miei complimenti e un forte grato abbraccio, che estendo alla cara Maria Grazia e al nostro Nazario.
RispondiEliminaGrazie a te, Maria, per le amichevoli e sempre incoraggianti parole. Sai quanto sia importante per me il tuo parere e quanto io stimi la tua esplosiva carica vesuviana, da autentica pasionaria della cultura e della poesia. Ricordo di avere ammirato a mia volta la tua recensione di quest'opera di Pardini, anche se non sono riuscito a commentarla (e di questo ti chiedo perdono). Ti saluto con affetto, unitamente al grande nocchiero che ci ospita sul suo veliero.
RispondiEliminaFranco Campegiani