Il Pasolini allegro e provocatorio di “Comizi d'amore”, in un’inchiesta
televisiva sulla sessualità e il costume in Italia, interroga Ungaretti
chiedendogli se esista dal punto di vista sessuale la normalità e l’anormalità.
Ungaretti, anziano seduto su una sdraio in una non ben definita spiaggia, con
un'aria furbetta, risponde che ogni uomo è diverso perché ogni uomo a suo modo
nasce facendo un gesto contro natura per il solo fatto di far parte di una
civiltà. Soprattutto è interessante che dica che il poeta per primo è un uomo
che va contro natura; questa affermazione a me pare geniale, soprattutto perché
non è in un contesto impostato o teorico, ma è spontanea. Ungaretti, nonostante
le vicissitudini biografiche, mi sembra testimoni la ribellione del poeta. Il
dolore di vedere la morte da vicino durante la tragedia della prima guerra
mondiale è stato il banco di prova della sua umanità. Lì, nelle distruzioni
innaturali della guerra, ha costruito un'estetica che gli permettesse di restare
umano, acquistando una grande profondità nell'osservare il mondo. Sono convinto
che l'essere poeta sia una ribellione, per quanto riguarda i poeti ribelli
l’elenco diventa facile: G. Lorca, P. Neruda, A. Blok, Pasolini, N Hikmet da un
lato ma dall’altro Brodskji, Acmatova, la Scapigliatura, E. Regazzoni. Pochi
muoiono nel loro letto, pochissimi vecchi. Eppure di fronte ai poeti dove sta
la visibilità e la forza che ha normalmente una ribellione? Dove la
trasformazione profonda provocata nella società? Non è da ascrivere alle ideologie
cui hanno aderito, spesso divenute poi loro nemiche.
Per spiegare quello che penso userò un paragone. Per un periodo ho
lavorato in una grande basilica romana, mi sono occupato della manutenzione
degli immobili e dei beni artistici che vi erano contenuti. Mentre lavoravo lì,
una delle colonne della navata laterale si è cominciata sbriciolare. Quest'enorme
cilindro di granito cominciò a perdere da un lato granellini di silicio
trasformandosi in una sabbietta rossonera. Allarme! La soprintendenza del Ministero
dei Beni Culturali viene, studia, dopo molte vicissitudini e molte osservazioni
altamente tecnologiche e costose, la conclusione è stata questa: probabilmente
quella colonna prima di essere utilizzata per la Chiesa era rimasta riversa nel
terreno per qualche secolo, in quel terreno pascolavano degli animali i quali con
le urine rilasciavano ammonio, così la colonna si è intrisa di questa sostanza.
In un certo momento, per un motivo misterioso hanno cominciato a formarsi minuscoli
cristalli di ammonio all'interno della colonna minandone la compattezza e trasformandola
nella sabbietta che dicevo prima. Il tecnico che fece questa teoria mi spiegò
che la forza di cristallizzazione di un elemento è una forza meccanica
gigantesca, una delle più forti in natura dal punto di vista meccanico. Lo
sbriciolamento, per fortuna s’interruppe, non so se per le preghiere dei fedeli
o per gli impacchi fatti dai restauratori della soprintendenza, comunque la
colonna è ancora lì con un lato un po’ sbreccato.
La poesia mi sembra abbia un effetto simile a quello della
cristallizzazione. I pensieri trasmessi nell'atto poetico producono una
minuscola pressione all'interno della coscienza degli uomini. Questa pressione,
a volte lenta a volte sopita per molto tempo poi improvvisamente risvegliatasi,
ha un effetto di forza incalcolabile in una società, ne causa una mutazione
profonda. Il linguaggio è luogo dove la poesia ha i suoi effetti, ma è anche il
luogo della comunicazione di tutte le parti di una società. In questo il poeta
è un ribelle, ribelle al linguaggio esistente, ribelle perché aggiunge qualcosa
che prima non c'era e poi c'è. La poesia crea un'alternativa, squarcia il cielo
della realtà, ne riconosce dei particolari prima invisibili, è microscopio e cannocchiale,
non limitata da nessuna delle regole naturali, le sue regole sono faticosa
creazione dell'uomo durata secoli. Essa, nella sua accezione più vera, non ha
sacerdoti detentori di una verità, al massimo monaci o sparuti eremiti che ne
vivono l'essenza spesso in segreto, quasi sempre con povertà di mezzi.
Luca Giordano
Caro Luca, sono d'accordo con te quando affermi che il poeta è un ribelle. Ma ribelle verso cosa, mi chiedo? Io non credo verso l'ordine naturale, nei cui riguardi, anzi, nutre un amore viscerale (lo sa bene Pasolini, nelle sue poesie sulla sacralità della terra e della cultura contadina). Se è vero, come io credo, che la poesia ha il potere di nominare per la prima volta il mondo, pur nel cuore della babele in cui è immersa la civiltà (in particolare la nostra civiltà), allora ogni vero poeta ha in mente l'Eden, l'innocenza e la vertigine del primo giorno che la terra fu. Non mi trovo d'accordo, pertanto, con Ungaretti quando sostiene - come tu dici - che "ogni uomo nasce facendo un gesto contro natura per il solo fatto di far parte di una civiltà". No. Quando nasce un uomo è un essere naturale, un animale nudo e libero che soltanto dopo viene assorbito e plagiato dalla civiltà.
RispondiEliminaSe Pasolini avesse rivolto a me quella domanda, avrei risposto che normalità e anormalità sono contemplate entrambe nell'ordine naturale, dove ogni regola ha le proprie eccezioni e dove le eccezioni confermano la regolarità. La separazione è sempre e comunque il frutto di uno schematismo culturale, mentre chiunque ami la natura, non può che amare la varietà, la diversità. Ritengo che i poeti non siano trasgressivi nei confronti della natura, ma nei confronti delle sovrastrutture culturali e dei pregiudizi imposti dalla civiltà. Quando Pasolini (omosessuale) si scagliava contro l'ideologismo gay, non è certo per omofobia, o perché vedesse nell'omosessualità un comportamento innaturale, bensì perché in ciò intravedeva il pericolo di un imborghesimento e di un'odiosa omologazione culturale.
Franco Campegiani
Rispondo a Franco Campegiani per fugare un equivoco riguardo al vocabolo " Natura". Nel mio caso è intesa come meccanismo, piano inclinato che tende a far andare le cose sempre allo stesso modo. Potrei dire che è la forza che crea le sovrastrutture. La paragonerei all'entropia, la cui etimologia viene dal greco en- dentro e tropé trasformazione (Non riesco a inserire le lettere greche). L'entropia ci dice che il massimo disordine è ciò che è tiepido, in cui le particelle calde e fredde sono confuse - non è simile all'omologazione tanto odiata da Pasolini, ma anche da Franco e da me? Non oso addentrarmi nelle considerazioni leopardiane sulla natura perché non ne ho la competenza, ma per me c'è una parte della natura cu noi ci ribelliamo. Non è la natura che descrive Rilke, magnifica fonte dell'ispirazione poetica, ma è la morte, l'ingiustizia, la violenza, anc'esse presenti in natura. La mia ribellione, riecco Leopardi, è quella delle ginestre, anch'esse parte della natura.
RispondiEliminaLuca Giordano
Ti sono grato, Luca, per le riflessioni profonde e importanti che induci a fare, ma per me la natura non è unidimensionale. In essa c'è tutto, Rilke e Leopardi, il Bene ed il Male, in un equilibrio sconosciuto alle umane civiltà.
RispondiEliminaFranco Campegiani