Lorenzo
Spurio: Neoplasie civili
Edizioni
Agemina. Firenze. 2014. Pg. 64
Le lacrime di un popolo
scivolano copiose, per un
momento;
quelle di una madre
non trovano fine (A
una madre).
È
da qui, da questo assunto che si deve iniziare per entrare nel focus, nella
plurivocità di questa polisemica plaquette.
Mi
tornano a mente alcuni versi di una mia poesia dedicata ai fatti di Nassiriya
dove furono trucidati diciannove soldati italiani in missione di pace:
Le diciannove bare
avanzano lentamente
su affusti di cannone
per le strade di Roma. Abbiamo
pianto.
Ma il pianto delle mogli e dei
figlioli,
delle madri e dei padri è ben
diverso.
Per noi sono un’idea quei ragazzi,
una fotografia. Ma quelle
donne
presero fra le braccia i loro
corpi,
li hanno partoriti,
strinti nella notte (da
Nazario Pardini: Nassiriya, in Scampoli serali di un venditore di arazzi. The
Writer. Milano. 2012).
Poesia
ampia, duttile, corposa, quella di Spurio, i cui versi, di arrivante nerbo
significante, abbracciano con forza plastica gli input socio-lirici, le
emozioni di un autore stupito e sconcertato di fronte ad un mondo zeppo di “Neoplasie” che lo rodono poco a poco e
lo consumano. Molti gli spunti: il suicidio di uno scrittore “per sdegnare il
tormento/ di gravosi e disoneste leggi/ contro natura, che spaccano/ la Sacra
Famiglia…”; Piazza Tahirir, fumo
denso e bambini che rubano il mare con occhi bagnati; il villaggio accecato dal
sole/ sporco/ demolito/ e asfissiante aria di morte in Kalashnikov d’estate; la resistenza del popolo ucraino in L’Aiuto non dato (Maidan) contro la
politica filorussa di regime; un bambino con strani lividi al volto presagente
futuri di morte e mari purpurei; Verità
talmente vere da non credere realmente di inciuci dorati all’ombra del
Palazzo; il fumo canceroso delle favelas di San Paolo; la nuda frontiera del
mondo che vede impavidi cecchini uccidere soldati amici; le bombe a Port Stanley, nell’isola delle Falkland;
la denuncia di stupri nella repressione militare in Turchia; il tragico
inabissamento di una nave nell’Oceano Pacifico. Insomma donne stuprate,
oppressioni, arroganze, ingiustizie sociali, vite trucidate, amori devastati,
madri nel cemento, popoli alla mercé di guide dissennate e autoritarie,
ambiente, natura degradata da un uomo che imperterrito continua il suo cammino
irrazionale ed egoista, credendosi immortale. Uno sguardo a tutto tondo, con
occhio critico, su ciò che avviene o è avvenuto da non molto sulla nostra
tormentata terra. E il tutto osservato con mente lucida e cuore palpitante,
zeppo di Humanitas e di passione; con la piena coscienza della vita e del suo
fuggire; dell’ora e del dove. Sì, della precarietà del presente, e di una
vicenda che gli uomini dovrebbero ritenere sacra, considerando i limiti entro
cui è stretto il nostro cammino. Un forte impegno civile che, partendo da dati
reali, da fatti storici, da accadimenti esiziali per errori umani, allunga lo
sguardo oltre la siepe che delimita lo spazio ristretto di un soggiorno e
considera la vita come un tempo prestato dalla
morte.
Il
linguaggio è incisivo, spietato, anche, nel tentativo di farsi corpo dei
subbugli emotivi. Nel tentativo di concretizzare emozioni e riflessioni
scaturite da bagagli vicissitudinali rimasti a macerare in un’anima sensibile e
scossa da disumani accadimenti. Qui tutto è fruibile e privo di quegli
armamentari retorici che, non di rado, fungono da orpello alla comprensione del
testo; ogni pièces va diretta al cuore, evitando l’insidia dei luoghi comuni, e
nutrendo lo spartito metrico di potenza e sostanza creativa, di versi dalla
solida tenuta; modulando e affidando la parola al supporto di intrecci di una
narratologia da labor limae di memoria oraziana.
Fino ad un atto finale in cui l’Autore
s’inginocchia e bacia la terra chiedendole scusa; un atto che ogni uomo
dovrebbe fare nel riavvicinamento alla
madre eterna:
M’inginocchiai e baciai la
terra
chiedendole scusa;
impastai terriccio e saliva
e nel mentre dall’alto
una pioggia acuminata
m’infilzò dappertutto
e mi rigenerò.
Poco più in là, Atropo
scorciava fili senza pietà
e stanca
si reggeva ad un fuso
impolverato
(Colloquio).
Una
rigenerazione che Spurio spera tanto nell’uomo.
Nazario Pardini
Nazario, come sempre la tua nota critica è focalizzante e significativa per l'autorevolezza delle tue impressioni e del tuo giudizio complessivo sull'opera.
RispondiEliminaAl suo primo volume di versi, Spurio non poteva trovare miglior recensore.
Ninnj Di Stefano Busà