martedì 28 ottobre 2014

M. EBE ARGENTI: "NON TRAMONTATE STELLE"


OPERA SECONDA CLASSIFICATA AL PREMIO LETTERARIO 
SANTA MARIA IN CASTELLO CITTA' DI VECCHIANO





Recensione
a
Maria Ebe Argenti: Non tramontate stelle. Genesi Editrice. Torino. 2013. Pp. 80

La ricerca di una verità difficilmente rintracciabile 
sui tanti perché della vicenda umana.



L’opera trae il titolo dalla poesia eponima che, a inizio della silloge, mette da subito in evidenza quello che sarà il leit motiv, il filo conduttore di questo “Poema”: l’inquietudine del fatto di esistere: “Non tramontate stelle, rimanete/ a sollevare il velo di paura/ che un poco inquieta l’apparente quiete”. Sì, l’inquietudine che proviamo di fronte ad una realtà che, pur bella che sia, non dà sufficienti soluzioni ai nostri interrogativi. “Siamo solo corsari senza approdo”, afferma la Nostra, con un verso tanto vicino a quel “viandanti sperduti”, di voce cardarelliana. È divisa in tre parti: la prima di 5 composizioni, la seconda, la più corposa, di ben 40, e la terza di 5 sonetti rispettosi per architettura metrica e compositiva della più grande tradizione letteraria. E le tre parti si embricano fra loro espletando una poetica che scava negli angoli più reconditi della vicissitudine umana. Ho già avuto occasione di rimarcare con prefazioni e note critiche la caratura di questa importante autrice. E posso senz’altro affermare che Ebe Argenti ci ha abituati ad una grande poesia; poesia costruita su una versificazione robusta, lineare, organicamente controllata, ed espansa verso orizzonti a cui si azzardano vaghezze semantiche, e ardori allusivi di metafore. E quest’opera pone l’accento sulla continuità stilistica dell’Argenti, le cui occasioni poetiche sono di una plurivocità di marcata vis creativa: introspezione, slanci onirici, cospirazioni paniche di grande intensità emotiva, tratti di un reale disposto e disponibile a collaborare alla cristallizzazione degli stati d’animo. E sono gli endecasillabi, in tutta la loro potenza sonora, in tutta la loro varietà metrica, l’arma vincente di Ebe; misure che fluiscono in composizioni wagneriane a fare della sua poesia un significante ora di tensione orfica, ora dai toni epico-lirici. Qui c’è tutto la vita con le sue illusioni, le sue delusioni, la sua malinconia per una storia marcata da dicotomiche meditazioni fra il terreno e l’oltre; fra i limiti del tempo e del luogo, e le ampie aspirazioni dell’anima umana; fra il polemos dei contrasti di memoria pascaliana. Ed è il memoriale che spesso nella poetessa fa da contrappunto alla coscienza di esistere. Un memoriale in cui la Nostra indaga sulle irrequietezze del vivere e sulle sottrazioni del passato per un edenico riposo che le sfugge: ““Sono i giorni più amari che mi parlano/ dell’urna di memorie. Fughe d’ombre/ e di tempeste senza arcobaleni./
Con tutte le ingiustizie che ho patito/ nel disincanto per i bianchi petali/ che hanno reso incolore la mia vita,/ chissà che bella tomba, al camposanto…”.     
        Sì, è un motivo di melanconico sapore a rendere fortemente umana quest’opera. Lo fa con soluzioni da redde rationem, anche se l’atto onirico interviene con aspirazioni a sottrarsi ai vincoli terreni, a generare  spinte verso stelle che sanno tanto di libertà e di liberazione: “
“Poter sognare mentre in cielo albeggia/ affinché il sogno ci rimanga impresso/ tanto da continuarlo anche da svegli”.
        La coscienza della precarietà del giorno di memoria virgiliana: “sed fugit interea, fugit irreparabile tempus” (Geoirgiche III, 234), è altra nota che rende particolarmente umano il dipanarsi del ductus poetico. E anche se è espletato con tanta efficacia nell’accostamento de I fiori del male al fatto di esistere, e alle inquietudini, insuperabili inquietudini, del nostro esser/ci, quello che emerge con più continuità e che costituisce il valore aggiunto dell’opera, è il dispiego di un realismo lirico diretto ad un’analisi psicologica di perspicua e autoptica essenzialità. Lo si vede in quei sostanziosi explicit che fanno da corollario puntuale a tale scopo: “Dentro di me, insinuandoti, t’assiepi/ lungo le pene dell’Anima mia,/ fecondi il seme di malinconia,/ e voli via, come uno stormo d’ali” (Nebbia); “… ma l’Anima stasera ci guadagna,/ satura d’esaltanti, nuovi afflati/ e il canto dell’allodola accompagna/ l’arsura dei miei giorni tormentati” (L’arsura dei miei giorni); “Anima, che diverse cose senti,/ (…)/ … E m’insegni/ a soffiare con forza fra le nuvole/ fino a quando la linea d’orizzonte/ svanisca nell’immagine del cielo”. Versi da cui trapela con chiarezza una ricerca puntigliosa e sofferta di una verità difficilmente rintracciabile sui tanti perché della vicenda umana. Un’Anima che non si accontenta del quotidiano vivere, ma che vuole andare oltre, squarciare le nubi per aprire i vasti orizzonti del cielo. Da lì quel pathos esistenziale che deborda dalle miopie dell’umano vivere e dai limiti del nostro andare; quel pathos che da una parte è frutto  di sottrazioni di sere, di giorni, di primavere, di attimi fuggenti, dall’altra terreno fertile della poesia. È così che la Nostra si avventura in previsioni oniriche o immaginifiche sulla sorte ultima del nostro autunno: “Viole e amaranti avrò sulla mia tomba/ affinché intorno si sparga la fragranza/ e ruberò qualche favilla al sole,/ perché sia meno buia la mia  notte/ nel dolce sonno eterno”. Un sonno dolce, forse, proprio perché sopraggiunge a spegnere le tante malinconie del vivere. Lirica di grande intensità partecipativa a cui la poetessa consegna l’essenza della sua poetica ad invadere gli spazi sottostanti del pensiero da spleen di stampo baudeleriano: “Dans cette grande plaine où l’autan froid se joue,/ où par les longues nuits la girouette s’enroue,/ mon ame mieux qu’au temps du siècle renouveau/ ouvrira largement  ses ailes de corbeau”.
        Ma anche se l’Argenti, con la delusione di uno spirito fortemente leopardiano, si chiede che fine abbiano fatto le promesse di verdi primavere: “Dove sono quegli attimi fuggenti/ epifania di ogni pensiero umano,/  quell’essere che un senso dà all’esistere,/ quella fede che libera dal nulla/ e pace senza limite sa infondere/ nel cuore di ciascuno e nello Spirito?”, tuttavia sembra che riesca a sopperire all’inquietudine delle sue incertezze, affogando i pensieri nella vastità del cielo o in uno scacco di sole per naufragare oltre la siepe:

“Ma non è troppo tardi per sognare
uno scacco di sole che, sbucando,
vuole mettersi in gioco e farsi palpito.
Poi, sarà dolce il canto del silenzio”.

Nazario Pardini






1 commento:

  1. Carissima Maria Ebe, che splendida sorpresa trovare la Silloge che mi donasti a Cattolica sul prestigioso blog del Caro Professor Nazario! D'altronde Opere come le tue meritano ogni genere di tributo. Rappresenti una Voce poderosa della nostra Poesia!
    Ricordo che osai scriverti qualcosa. Oso ancora e la posto sul blog, sperando di non essere inadeguata.
    La straordinaria Silloge di Maria Ebe Argenti, dal titolo che evoca l'
    atmosfera dell'opera
    puccinianana Turandot, è un omaggio a Ugo Foscolo e al lirismo dell''800,
    che sa porre
    forti radici nella storia universale dell'uomo e nell'era in cui viviamo. Il
    testo, dal timbro classico, anche in virtù della scelta metrica adottata - endecasillabi spezzati da settenari -, è permeata di filosofia
    e di riflessioni che vanno oltre ogni forma intima, spalancando l'uscio alla
    condivisione con i lettori.
    I versi della nostra Autrice consentono di attuare un trasfert emotivo,
    ritrovandosi a tu per tu con la poetessa e con se stessi.
    "Non tramontate stelle" è l'invito ai poeti e agli uomini in genere, a
    tornare a volgere lo sguardo al cielo trapunto di stelle e a vibrare in sintonia con l'orizzonte poetico dei grandi artisti dell''800.
    Vi sono moltissimi riferimenti al Foscolo dei Sepolcri e delle Grazie, ma
    anche ai cantici danteschi, al versificare leopardiano e, come sottolinea, Sandro Gros- Pietro, allo spleen di Baudelaire. E sono riscontrabili riferimenti altrettanto vividi a filosofi, come Schopenauer, che asserva che "il mondo è un ingannevole 'velo di Maya', che copre le cose; lacerandolo si colgono le cose stesse nella loro realtà autentica".
    "Ho appena cominciato a percepire
    che i pensieri hanno tante dimensioni
    e talvolta si bloccano
    per l'interporsi di strutture d'ombra
    che turbano l'incanto di un bel volo..."
    versi tratti dalla lirica "Vedere oltre il visibile"
    Il descrittivismo nei versi di Maria Ebe Argenti ha tocchi di lacerante
    leggerezza; è lo strazio dell'uomo dinanzi ai turbamenti, alle incertezze, alle paure e, al tempo stesso, l'urlo muto alle stelle, le stesse di ieri, di oggi, di domani,spettatrici delle umane traversie e dell'esistenza della poesia. Nessuna pietra tombale potrà coprire la magia del Creato,
    l'afflato che consente al cielo di alleviare il peso dei giorni
    "E m'insegni
    a soffiare con forza tra le nuvole
    fino a quando la linea d'orizzonte
    svanisca nell'immagine del cielo"
    versi tratti dalla lirica "Anima, che diverse cose senti"
    Una Silloge "Non tramontate stelle" che dimostra quanto l'estetica del bello e il sistema delle belle lettere possano congiungersi con un moderno impianto concettuale.
    Maria Rizzi

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