Giusy
Frisina: Onde interne
Gruppo
L’Espresso. Roma. 2013. Pg. 98
Una sinfonia che lega tra loro nèssi
allusivi di impatto emotivo
Mi è
giunta stamani 1° ottobre la plaquette di Giusy Frisina “Onde interne”, editata con i caratteri della Cromografica, Roma,
per il Gruppo Editoriale L’Espresso. Un libro ben impostato per impaginatura,
composizione, copertina, caratteri e che ci sollecita, fin da subito, a
sfogliarne le pagine, a penetrare nella sostanza dei nessi comunicativi, a
scoprire il mondo dell’Autrice, gli intendimenti poetici, e, soprattutto, gli
slanci iperbolici di un canto che sospira in silenzio i turbamenti amorosi
all’amato; dacché di un poemetto tematico si tratta; un poemetto in cui si
sprigiona l’essenza erotico-spirituale,
il patema che ben si concretizza in un verso armonioso, di euritmica fattura,
distribuito su uno spartito che ne contiene tutta quanta la gamma
pentagrammatica. In certi passaggi non è azzardato avvicinare questo canto allo
spirito ora stilnovista, ora petrarchesco, ora sabiano, per la sua gentilezza,
il suo afflato neoplatonico, e i suoi cenni alla quotidianità. Ma pur sempre
canto nuovo, moderno, per l’originalità dei significanti, degli intrecci
metrici, del campo semantico-allusivo, e della varietà ispirativa che tanto sa
della problematicità dell’esistere. Già ebbi a scrivere a proposito di due
composizioni della Frisina (Viaggio in Grecia e Hydra): “Poesia che con voce
chiara e ammiccante riesce a tradurre un sottofondo di spiritualità
umanistico-classicheggiante in misure di moderna sonorità. Una sinfonia che
lega tra loro nèssi allusivi di impatto emotivo. Fughe verso mari che respirano
arie di mistero e di incontri mancati. Desideri di ambiti rigeneranti, di
onirica Bellezza. Contaminante dire poetico che con slanci
di euritmica fattura riporta acque di un Egeo zeppo di miti a scorrere in
argini di sapida novità verbale.
E c’è
la vita in questi versi con tutti i suoi sogni, con tutte le sue sottrazioni,
con tutti i suoi voli, pindarici voli verso mète che oltrepassano il confine
del nostro esistere verso l’ “Incantesimo
sul mar Egeo/ di fronte all’austero Peloponneso”…”. Ma qui è la grande cospirazione
sentimentale che ci coglie, evitando l’insidia dei luoghi comuni, mirando
dritto alla nostra sensibilità, e confessando a tutto tondo una passione, il
sentimento dei sentimenti, gli abbrivi di un cuore in piena conflittualità; nonché
i perché irrisolti e irrisolvibili per le nostre limitate possibilità che
tormentano e inquietano il nostro essere:
Sulla riva cerchiamo risposte
in attesa dell’Onda che avvolge (Onda
anomala).
Voli pindarici, sì, alla ricerca di un’isola
che rappresenta la compensazione delle sottrazioni del vivere. Sogni che si
mischiano ad un reale nutrito degli abbandoni della poetessa. D’altronde in
questo testo c’è tutta la ritmica effusione di un’anima volta a coniugare la
sua essenza in registri fonici di effusione lirica, specchio di irrequietezze
in cerca di edeniche spiagge oniriche, considerando il rapporto della vicenda
umana col tempo, e la storia di un amore lasciato in sospeso, indeterminato,
vago e agognato: sconfitte, sottrazioni, illusioni, delusioni di un’anima “del tutto prigioniera del più mostruoso
cervello calcolante”; quelle di un viaggio dove:
Dilaga il buio, pian piano, ineluttabile:
io resto qui, in attesa,
su questo strano treno che viaggia da
sempre,
senza riscatto e senza storia,
nella notte che avanza,
e dove
lo spirito si abbandona facilmente a fughe irrazionali, affrancatrici, liberatorie,
mentre la ragione frena, comanda, limita, impone.
Un
treno, una notte, un amore, che si fanno simboli di una vita che scorre senza
requie, di un esistere dove tutto è instabile, e fugace, dove, di fronte al tempo che fugge, siamo in
un’attesa perpetua di eventi che appaghino il nostro esser-ci. D’altronde la
coscienza della nostra inconsistenza terrena, e di tutto ciò che ad essa si
lega, compreso l’amore, fa parte della intimità di questa silloge; e ne
costituisce il leitmotiv. Una primavera che non arriva; tante parole non dette
e accumulate come neve che non si
scioglie. Una vicenda erotica di grande dualità emotiva: il desiderio, l’aspirazione
all’appagamento e un’assenza che si fa via crucis:
Questo amore ora
è silenzio prezioso
ed inutile
pensiero-non pensiero
di punti luminosi e insensati
nella pura coscienza del nulla.
(…)
Ancora stupido faro
nella nebbia di giorni lunghi
che si perdono indesiderati (Attesa).
Sembra
dominare nel canto della Nostra il termine attesa: sa tanto di spleen, di malum
vitae, di profonda conflittualità interiore che si fa alimento fecondo di una
poesia affidata al supporto di intrecci narratologici volto a ricuperare la
noia del quotidiano con scalate e sperdimenti romantici; a immergere l’altro
ego in mari senza fine per spegnere estati che parlano di solitudine e morte:
Io… non posso che rinascere.
O lasciarmi sommergere
del tutto
(Incantesimo).
Un
canzoniere d’amore zeppo di vibrazioni, di abbrivi, di commistioni fra sogno e
vita, fra eros e thanatos, fra intimità e naturismo; un naturismo di cui va in
cerca la poetessa per concretizzare i suoi input emozionali:
Al tuo albero è stato tagliato un ramo
mentre il mio da tempo è sradicato.
(…)
Siamo sulle soglia fra due mondi
e forse non ci incontreremo,
poiché io ho chiesto di rinascere.
Si può vivere
soltanto se si sa di morire (Alberi).
Dove
alberi, nebbie, torrenti e valanghe, acque mutevoli, ora chiare, ora cupe…, si
fanno involucri corposi ad abbracciare i più reconditi segreti di una scrittrice
che, cosciente del mistero dell’esistere, va in cerca di se stessa, della sua
identità in un percorso fatto di andate e ritorni, di vita e di morte per
completarsi in una simbiotica fusione in cui l’eracliteo polemos tra gli
opposti si fa focus generatore di unioni inscindibili:
È la stessa cosa il vivo e il morto… disse Eraclito.
Tu sei morto e non lo sai
quando credi che l’abitudine ti salvi
da un inutile prezioso amore
ormai rimosso (Controluce).
Ed io ti aspetto,
fantasma interiore, ti aspetto ancora,
dolce sogno,
perché…
non puoi vivere senza di me (Al
fantasma interiore).
Fino a
che, in una storia vera mai scritta, stanno insieme lui e lei, leggeri e senza
tempo, immersi nella luce dorata… e
nella verde immagine disegnata di ogni possibile amore:
Lì stiamo, tu ed io.
Come nella storia vera
che non sappiamo scrivere
(Storia mai scritta).
Barbagli
e folgorazioni che con forza partecipativa arrivano a ciascuno di noi per la
loro urgenza comunicativa. Poesia i cui versi, con la loro eufonica soluzione,
con il loro movimento ondulatorio, riescono a dare corpo a tutto il climax di
un sentimento disvelante luci ed ombre. Di
una storia dove eros si affaccia, mentre gira la ruota del tempo, col desiderio
di udire parole d’amore:
Parlami d’amore,
sempre,
anche quando il vento del nord
soffia più forte
e il tuo sguardo non arriva
ad accarezzare il mio sguardo (Parlami
d’amore).
Nazario
Pardini
Ringrazio infinitamente il professor Pardini di questa sua illuminante chiave interpretativa.Sono più che mai convinta che i grandi commentatori siano in grado di cogliere i sensi più profondi di una scrittura, più di quanto lo stesso autore ne sia del tutto consapevole. E ora cerco di comprendere questo mio percorso, che credevo quanto mai frammentario e "ondivago", alla luce dell'attenta e appassionata critica ricevuta. Qui certo c'è la ricerca e l'attesa di un amore che sfugge sempre e che vorrebbe essere tutto, il filo rosso ( metafora quanto mai calzante) che attraversa tutto il libro, e Pardini lo ha inteso molto bene, al punto da rivelarne l'unità poematica - una rivelazione di cui sono lusingata, anche per i paragoni alti da lui gentilmente fatti - nonostante l'intermittenza di considerazioni teoriche sull'esistenza dovuti alla presenza di una sorta di "ratio" filosofica (una deformazione professionale, visto che insegno filosofia) che vorrebbe controllare, anche se la mia filosofia è anche, per fortuna, platonicamente immersa nel "mithos" ( cosa che Pardini stesso mi pare abbia ben colto, ritrovandola soprattutto nelle poesie del'altra mia raccolta, "Il canto del desiderio".) Quello che mi sembra di aver capito, leggendo il suo mirabile commento, è che la vicenda esistenziale proposta non è poi così "marziana" nel senso di non poter essere condivisa da chi la legge.La mia più grande preoccupazione è di non rimanere, con la mia poesia estremamente interiorizzata, rinchiusa in un guscio di solipsistica malinconia che poco possa interessare agli altri che mi leggono. Perchè la poesia non può che essere una forma più alta di comunicazione. E spero si noti il mio tentativo di uscire anche fuori dalla mia riflessione privata, non solo rivolgendosi ad un "tu" rappresentato per lo più dall'interlocutore amoroso (pur nella possibilità di una trasfigurazione ideale)cosa che si rivela anche nei testi in cui mi rivolgo ad eventi drammatici del nostro tempo. Certamente il tema principale, concordo, rimane quello dell'Amore "che solo salva", dalla banalità del quotidiano, dall'indifferenza, dal non senso della malattia mortale che è il male di vivere,ovvero la depressione.E non a caso cito il filosofo Kierkegaard, inquieto ricercatore di una verità soggettiva in cui potersi ciascuno rispecchiare.
RispondiEliminaAncora un immenso grazie al professore, con cui potrei dialogare all'infinito..