Sonia
Giovannetti: Tempo vuoto
Edizioni
Tracce. Pescara. 2013. Pg. 72
È il
tempo della poesia un tempo reinventato
Amo l’aria tersa
che si respira vicino alle
cime
innevate
o calve che siano.
Mi appassiona l’aria
trasparente
di quelle altezze.
Posso guardare l’insieme
delle piccole cose finite
e
l’infinito dello spazio.
Un’arrampicata
verso lo spazio etereo, vicino alle cime innevate o calve dalle quali l’occhio
e l’anima della poetessa possano aprirsi ad orizzonti vasti e luminosi per
ovviare alle aggressioni del tempo e del luogo. D'altronde la poetessa afferma: “… È il tempo della poesia
un tempo reinventato di cui il poeta ha bisogno per costruire paesaggi,
dimensioni, luci, significati che egli mette insieme in un nuovo orizzonte di
senso. In quello che, finalmente - direbbe Proust - è un tempo ritrovato, e
perciò amico”. Una spinta verso la libertà, un’apertura verso l’infinito
per sottrarsi alle ristrettezze a cui è vincolato il nostro essere terreni. Sta
qui l’elevazione spirituale, quasi ascetica di Sonia, in questo afflato di echi
e sussurri oltre la grezza materia:
Finestra aperta
su un universo da assaporare,
da ascoltare nei suoi echi e
sussurri,
nei suoi richiami che superano
la grezza materia
elevando lo spirito,
a che non resti a terra per
sempre (Tra queste alture),
pur
partendo sempre da una realtà, da una verità, che, contemplate dall’alto, ci
offrono una visione ariostea del mondo, rimpicciolita, ma non tanto da non
offendere, con le brutture sociali e con le aporie disumane, la sensibilità della Nostra:
Non sparare, non sparare alla
vita.
[…]
Intreccia le mani in un
girotondo
attorno al fuoco della pace.
Fai ardere la passione di ogni
puntino di luce
che attende dietro la porta
del futuro.
[…]
Ascoltami uomo
(Un’unica città).
Ma in Sonia prevale su tutto la voglia di
ricerca, l’urgenza di scoprire la parte di sé a lei sconosciuta. E si sa che
l’animo umano tende al di là del circuito stretto in cui il nostro vivere è
circoscritto. Da qui l’azzardo oltre il limen, oltre la siepe che traccia la
chiusura del nostro esserci. Un volo verso l’infinito dello spazio, verso
quella pluralità che ci completi, verso quella totalità da cui veniamo e verso
cui aspiriamo. Una completezza di difficile portata e assai improbabile da
raggiungere, dato che siamo destinati, noi mortali, ad una miopia congenita,
per cui il nostro sguardo non può superare orizzonti prestabiliti. Forse è
la poesia il tramite secondo il quale l’Autrice
può ambire a vincere la caducità del tempo e rendere il presente perpetuamente
afferrabile in uno abbrivo verso ambiti sublimati, al di fuori e al di sopra
dell’hinc e del nunc; dell’ “aria vacua e sospesa/ di chi non ama/ chiusa da
catene/ ignara della vita.”, per perdersi nell’“aria trasparente/ di quelle
altezze”. Un messaggio fortemente umano quello che esce da questa silloge, un
messaggio che arriva a noi tutti per la sua forza esistenziale. C’è l’amore,
c’è la coscienza della precarietà della vita, quella di una Bellezza verso cui
la Nostra aspira con tutta la sua energia creativa; c’è “l’amore per quel tempo
vuoto/ pieno di un nulla affollato di cose,/ di quelle che ho perdute/ e che
non mi perdonano/ di quelle che non ho ancora avuto/ e che non posso perdonare”;
c’è il memoriale con tutta la sua forza rievocativa; c’è la solitudine, quella
di un mondo che non si ritrova; c’è la fuga e l’ansia del ritorno (sarebbe
bello riavvolgere il nastro./ Ritornare al prima); c’è il viaggio di ogni
giorno, in cui “Tu viaggi con me/…/ Corri sui miei pensieri,/…/ Porti il mio
cuore nell’aria./ Cellula dissolta nello spazio/ Che perde luogo e tempo.”; c’è
il sogno; e c’è la Poesia, sì, quella maiuscola, quella a cui la scrittrice
offre tutta se stessa, perché sa che è l’unica cosa a non tradirla, ed è a lei
che affida il suo messaggio vicissitudinale; lo fa colle onde del mare convinta
che in ogni momento ed in ogni luogo possa riemergere per favorire la Bellezza del mondo, “Per non morire/ nel
frastuono./ Per vivere d’amore.”. Un messaggio di sapore foscoliano, che tende
a vincere il caduco con l’energia polisemica dell’arte. Un messaggio che si
renda eterno come eterno vuole che sia il suo canto:
Quando spingo l’altalena
che mi fa arrivare più vicina
alla luna
so che la poesia è libero
volo.
Ha le ali grandi
e forti.
E’ salvezza (Il
mio volo).
Un
libero volo che si traduce in aspirazione alla totalità e che si fa alimento dello
scandalo delle contraddizioni; dell’ossimorica e perpetua diatriba fra ciò che
non è più e quello che è stato. Fra il contingente temporale e l’avventura
verso la luna, fra il buio e il ritorno ad antiche primavere “quando tutto
sembrava eterno/ e ogni sorriso cullava il cuore./ Quando lo scatto del vivere/
aveva ancora lo scintillio del domani.”. Ed è qui la vita, in questa simbiotica
fusione fra il bello e il brutto, fra il male e il bene, fra la realtà e il
ricordo: un memoriale che riporta foto tanto soffici da edenico riposo, da
nirvana che spesso è il risultato di una realtà riveduta e trasformata.
Lievitata dentro noi dopo una lunga macerazione. Dopo un esistere che potrebbe
pur sempre approdare ad un’Itaca lontana e vicina; determinata ed
indeterminata; brumosa o lucente; ma che
la poetessa porta in seno, perché aspirazione al completamento, a quella fusione
empatica di cui il mare rappresenta il simbolo più visivo; una pace mai
raggiungibile non tanto per questioni
geografiche quanto per inquietudini interiori; per quelle conflittualità
che alimentano la sua storia:
Io lo so
cosa vuol dire avere un’Itaca.
E’ una pace che non riesco mai
a trovare.
La cerco, eppure
resto sempre sul bordo del
mare.
Metà del mio spirito
si inclina sulle onde per
partire.
Metà si ritrae per restare.
In mezzo il mio io
che non sa scegliere.
Itaca,
mio sogno certo (Itaca).
Un
sogno che tutti abbiamo nascosto nello scrigno più segreto della nostra anima;
il sogno della vita, che, in definitiva, rappresenta la vita stessa fatta di
fughe e ritorni; o meglio tentativi verso mète liberatorie spesso annullati
dalle profondità delle nostre radici.
Una
poesia totale quella della Nostra, che tocca, con la sua polisemica
significanza, tutti i tasti dell’umano vivere. E lo fa con una voce chiara e
genuina senza tanti ricorsi a costrutti retorici, a allusioni
simbolico-iperboliche, o a figure stilistiche di complicata lettura. Tutto
scorre con gentilezza e armonia, con forza attrattiva e generosità esplorativa.
Un linguismo naturale che, con alternanze di misure brevi (monosillabe,
trisillabe, quadrisillabe) a versi di più ampia stesura, forma uno spartito da
melodia lirica. Uno spartito che col suo variare cerca di farsi tatuaggio, amico
schietto e fedele di una tale potenzialità interiore da lasciare di stucco. Ed
è questo abbraccio che convince. Questo
avvinghiarsi del verbo ai subbugli creativi. Alle vertigini emotivo-sensoriali
di cui la Nostra è capace. Subbugli e vertigini che nascono da un sapore di esistere
consegnato a una parola portata lontano dal vento:
Se veramente fosse possibile
raggiungerei l’ascolto
m’impegnerei a lanciare la
parola.
E farla portare dal vento.
Lontano.
Farla scendere ad ogni
stazione.
Appoggiarla e vestirla di
senso.
Ma certi viaggi sono lunghi
(Canto di vita).
Sì,
la parola. E sembra che la poetessa sappia che la parola è uno strumento umano,
tanto umano da non poter seguire
pienamente i voli spaziali dello spirito. L’una è una creazione terrena,
l’altro è qualcosa di superlativo, e inarrivabile, tutto vòlto a raggiungere
gli slarghi azzurri del Cielo. Da ciò la ricerca lessico-fonica della Nostra.
Una ricerca attenta e instancabile per forgiare innesti e sintagmi adatti a
concretizzare l’ondulazione di un sentire cullato da un canto che dia senso a
una storia:
Basterebbe una melodia
ad accompagnare il mio sogno.
Un suono che non mi facesse
sentire la solitudine del
mondo.
Solo con il canto
potrei dare un senso al mio
volo
(Senza ali),
magari
in un luogo incantato:
C’è un luogo incantato
dove ci incontriamo.
Ho metà del corpo da portare.
E tu,
l’altra parte che manca.
[…]
Solo lì
siamo quell’insieme
che diventa uno.
Senza ruote che ci
trasportino.
Senza l’affanno di non sapere
il perché (Noi
insieme, come tutti),
magari
nelle ampie distese dei campi accompagnate da note di una canzone ballata col
suo lui:
Ti ho cercato
nelle ampie distese dei campi,
[…]
Ti ho aspettato.
[…]
Ti ho trovato.
[…]
E’ andare avanti, avanti,
avanti.
E’ sapere quanta speranza
resta
ora che vedo in un raggio di
sole,
ora che il tempo ha il tuo
nome
e le note di una canzone che ballo
con te (Musica del cuore),
o
magari nella grande avventura dell’esistenza:
E la luce si accende,
in questa grande avventura
che è la vita a cui vado
incontro (Tra queste alture).
Ma
è il mare che in definitiva visualizza la grande espansione della spiritualità
di queste poesie. Quel mare che da sempre ha significato l’aspirazione
all’infinito dell’animo umano. Ed è proprio qui il nocciolo tematico di Sonia
Giovannetti: in questa aspirazione che coinvolge il tempo, l’amore, il canto,
la solitudine, la memoria, la quiete:
Nel mondo
ci vorrebbe quel fiume
che conduce al mare (Attesa
di un fiume).
Mentre scorre il sole sulla
terra
alla notte quieta torno,
ritrovando il mare.
Seppur da sola vago (La
mia pace),
che
coinvolge la vita:
Amerò, semplicemente.
Sceglierò la vita,
ricordandoti (Un
ricordo).
Nazario
Pardini
Gentilissimo Professore, come sempre lei mi lascia senza fiato e mi commuove. La sua attenzione per la mia poesia mi onora e gratifica. Il saggio che offre ai miei occhi e a tutto il mio sentire è davvero "un'arrampicata verso lo spazio... vicino alle cime..." e vedo gli "orizzonti vasti e luminosi" delle sue parole.
RispondiEliminaNel ringraziarla infinitamente per i suoi preziosi e lusinghieri pensieri, mi permetto di dire che lei ha perfettamente ragione nel ritenere che in me "prevale su tutto la voglia di ricerca, l'urgenza di scoprire". E davanti alle sue riflessioni alimento questo bisogno. Scopro, imparo.
Sonia Giovannetti