domenica 12 ottobre 2014

UMBERTO VICARETTI SU "TERRA" DI UMBERTO CERIO




Umberto Vicaretti collaboratore di Lèucade

E’ un canto davvero appassionato quello che Umberto Cerio innalza alla sua terra, un omaggio che reca anche un’accorata richiesta “Tu portami l’erba nuova della tua sacra fonte, / i profumi della tua notte, / il respiro del tuo geranio rosso”. Un canto/preghiera che ripercorre trepidante le vie della memoria, fino a risalire a quel luogo indimenticato degli affetti che per primo vide e ascoltò “i flebili lamenti del bambino / ancora mezzo addormentato / nella sua culla di abete”. Era quella la terra primigenia delle “marine azzurre”, dei “nidi di allodole sui platani” e di “sinfonie di cetre e flauti”. Era la terra promessa, vagheggiato edenico giardino di “alberi / di limoni d’acanto e di salici”. 
Ma ben presto l’elegia si dissolve, oltrepassa i confini di quello splendente ‘topos’ dell’anima e si fa canto universale per abbracciare i più vasti confini di un’altra Terra, quella che tutti ci accoglie, il luogo dilatato dove “i lampi delle tempeste” e “i silenziosi giri delle lune / l’astronave della solitudine” rompono l’incantesimo, tracciando un solco profondo tra desiderio e realtà. Il poeta si mette così in ascolto e può distintamente sentire “l’urlo dell’uomo ferito”, registrare l’inquietante “fascino degli abissi marini / dove è bandita ogni pietà”. Il suo canto, perciò, ora diventa grido e denuncia per “il sacro sangue / sparso su pietre della Palestina / … / nelle moschee d’Israele, / negli arsi deserti iracheni”; ora si eleva a meditare sul mistero del vivere e dell’umana avventura: “Segnami i tuoi confini, e i miei, / il dramma e il canto dell’Occidente, / nel greve andare del mio tempo / in questo regredire della storia, / assurda incognita dell’esistenza”; si fa infine rassegnato specchio del vero: “Ora non c’è altra elegia /che l’atra somma dei dolori /accumulati nelle guerre / dove ci sono fiumi da riempire /del sangue, ancora, dei diseredati. / Ora non c’è più inno / che per l’avventura della speranza”. Preso atto della planetaria diffusione del male, sembrerebbe preclusa ogni via di scampo. Unica ancora di salvezza è allora, per il poeta, tornare alla sua terra e a lei, benché “musa infedele”, levare nuovamente il suo canto; a lei chiedere (sorta di risarcimento morale per le promesse non mantenute) “il delirio del paesaggio stellare” e “la chioma di Berenice”, il “girasole” e “la festa della luce”; e poi ancora “del mirto un ramoscello” e “le parole dei poeti”. Sì, le parole dei poeti. Perché solo le parole dei poeti possono vincere la solitudine, esorcizzare il male, riaccendere il sogno. E le parole di un poeta come Umberto Cerio hanno davvero questo potere, perché esse possiedono il raro dono della luce, la forza straordinaria e redentrice del ‘logos’.

Umberto Vicaretti

1 commento:

  1. Carissimo Umberto, ti ringrazio di cuore per questa tua lettura di "TERRA", che è profonda e penetra nel mio cuore e nella mia anima. Il tuo commento aggiunge poesia a poesia e si sente il tuo respiro e la tua adesione,che -ti assicuro- apprezzo anche come segno di amicizia. Se poi alla acutezza della tua lettura aggiungiamo la tua bravura, non solo di poeta ma di ermeneuta e critico, la tua apertura al canto, alla terra quasi comune che ci ha visto nascere e crescere e che ha nutrito le nostre anime, ecco la tua superba esegesi, molto più valida e gradita di un commento. il tuo tono mi rincuora e ti sento più che amico. Grazie ancora.
    Umberto Cerio

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