Valeria
Massari: Voci dall’ombra. Biblioteca
Dei Leoni. Castelfranco Veneto (TV). 2014. Pg. 80.
Un
limite da cui vorremmo librarci verso mondi che sappiano tanto d’infinito
Aggràppati alla vita.
Ricorda la tua felicità
e sappi che, qualcuno,
con te è stato felice.
Aggrapparsi
alla vita, a tutte le sue plurali occasioni, questa è la poesia che fa da
incipitario messaggio al fluire di canti freschi e generosi; armoniosi e
duttili; che, con guizzi figurativi, sanno agguantare i patemi di un’anima tutta
protesa agli slarghi del cielo, alle luci, pur ferita da ombre, e tristezze,
compagne delle ore più amare:
…
La gioia di allora
mai più può tornare.
Tristezza m’uccidi
io voglio scordare (Tristezza).
Aggrapparvisi
come il naufrago allo scoglio, come il montanaro alla roccia, come il partente
al paesaggio che sfuma. Ed è questo il focus centrale ed il leitmotiv di tutto
il percorso poetico. Perché è della vita che la Nostra ci parla ed è su di essa
che esprime tutti i suoi incanti o disincanti. Un parenetico avvio a ricordare
“… la tua felicità” e a sapere “… che, qualcuno,/ con te è stato felice”. Un sentito invito a inciderne le bellezze nel
cuore; in una memoria che vinca il tempo, e la brevità del nostro
esistere. Dacché c’è, qui, la voglia di proiettare
la forza di un polisemico sentimento oltre i giorni. Un sentimento che è stato
troppo grande, e lo è, per essere vinto dall’oblio: l’amore; ma soprattutto
quello per una sorte che ci è toccata; per tutto ciò che ci è stato donato, per la vita; è ad essa che la Nostra rivolge un
canto, che possa estendere il suo grido oltre le miserie del mondo. In questi
versi c’è tutta la consapevolezza di un percorso vicissitudinale dove, in un
mattino sonnolento, il sole si fa lama di bagliore a fendere il silenzio; dove
la luna, velata, attende la sera; dove si teme la bellezza come l’abisso; o
dove le lacrime, stelle cadenti, lasciano promesse che svaniscono nel buio. Una
natura sapida di dolci respiri, di avvincenti simboli, a cui la Poetessa ricorre
per dare energia ai suoi patemi esistenziali. A tutta la plurivocità del
vivere, con le sue ansie, i voli immaginari, le cadute, e le rinascite; con le
speranze e le delusioni. D’altronde ella sa che la nostra permanenza terrena è
un volo di rondine in uno spazio ristretto:
… Trascorre il tempo
e là si ferma
ove una campana
muove la quiete.
Ove lapidi bianche
s’ergono al cielo
(Trascorre il tempo).
Un
limite da cui vorremmo librarci verso mondi che sappiano tanto d’infinito.
Magari verso mari che cullino le nostre sottrazioni, ovviandole con azzardi di
vasta apertura:
Il mare mi culla
e all’infinito m’invita.
Intorno a me verdi-blu
sinfonie (Dalla boa).
Voci dall’ombra,
questo il titolo della plaquette, che, suddivisa in due sezioni - Luci ed Ombra
-, con intensità allusiva e con giochi di arrivanti nessi verbali riesce a dar
corpo ad un sentire di complessa metaforicità. Non c’è solo il ricordo vibrante
e duraturo di una felicità che agguanta l’anima, ma c’è il dolore, la morte che
attende guardinga, l’inquietudine del nostro essere umani:
I dolori,
fardelli invisibili,
oscurano il nostro cammino
e noi, ammalati d’ombre,
il capo mai alziamo
verso l’azzurro
(Destini),
finché:
E la morte attende,
guardinga.
E inganna il nostro sole
che rende le ombre sempre più
cupe
e il cielo sempre più
irraggiungibile.
E, alla fine,
più nulla sentiamo di avere,
a nulla più tendiamo
(ibidem).
Un
gioco di contrapposizioni fra eros e thanatos, fra vuoti e ricordi, fra
melanconie e silenzi, ove prima risuonavano voci. Un accorato richiamo di
antiche presenze che lascia dentro un nostalgico trasporto verso sorrisi chiari
in cieli forte-azzurri:
…
Più
non c’è
la mano fanciulla
che ti compose piano,
con il sorriso chiaro
nel cielo forte-azzurro
(Mosaico di vita).
D’altronde
la vita è fatta di contrapposizioni ed è proprio dalla fusione dei contrasti
che nasce la sua verità. Una verità fortemente sentita in queste pièces, ma che
la Nostra eleva agilmente dal soggettivo all’universale, dacché volge un monito
a tutti noi, invitandoci ad alzare lo sguardo all’azzurro e a non barare col
tempo e con le ortiche nell’anima:
Ma noi ce ne stiamo lì,
con le ortiche nell’anima
e le mani colme di freddo
a barare col tempo… (ibidem),
sì,
l’Autrice volge lo sguardo all’azzurro in un afflato di luce e di speranza:
Finché il cielo si riempirà
d’azzurro
un giorno,
finalmente solo per noi
(ibidem),
pur
sapendo di essere stata ingannata da un volo che sembrava non finire:
… Un cerchio chiude il volo
che sembrava non finire… (Il
giorno si chiude).
Ed
è in queste folgorazioni di urgente spessore lirico-emotivo che la poetessa si
abbandona, ora provando sollievo a sfiorare “la tua testa incanutita”, ora
percependo l’imperfezione di un mondo che ci ferisce, ora perdendo il pensiero
nei solchi del dolore, ma sempre in cerca del miracolo di un mattino che ci
faccia scordare la sera:
… Il mattino dei vaghi
torpori,
delle improvvise brezze,
dal momento incerto.
Il mattino
della preghiera.
Il mattino è un miracolo
che ci fa scordare la sera
(Mattino).
Amore,
illusioni, gioie, delusioni, incanti, sogni, memorie, tristezze, luci, ombre
tutto si miscela in questo dipanarsi di emozioni tatuate in parole, finché Il giorno si chiude nel buio di una stanza:
… Così la vita si chiuderà
quando niente avrà più da
dire.
Col rimpianto di non esserci
e di non esserci stati
abbastanza (Il giorno si chiude).
Finché
verrà il tempo di un fiore dal gambo reciso:
… Un fiore
dal gambo reciso.
E cenere spargeremo.
E noi
Più non saremo
(Verrà il tempo),
a
chiudere il sipario su una storia breve, ma intensa, in cui all’attore può
restare il rimpianto di non esserci stato
abbastanza.
Nazario Pardini
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