lunedì 6 ottobre 2014

M. G. FERRARIS E N. PARDINI SU "INEDITI DI G. LINGUAGLOSSA"




Maria Grazia Ferraris collaboratrice dio Lèucade

Una piazza Winckelmann metafisica eppur così romana, dove lo squallore dell’aiola di ghiaia e l’ovvietà quotidiana di panchine di legno, con orchestrina e giostra convivono in una apparenza lieta e nel contempo raggelante. Il gatto con gli stivali è suonato per ordine della Lubjanca, forse nella versione primitiva antica di Johann Ludwig Tieck, da un’orchestrina ridicola che nasconde l’orrore raggelante attraverso la comicità, o l’ironia. Nondimeno ci si può perfino divertire. La giostra ruota lentamente, l’ocarina singhiozza, il sultano Salhaheddin, con la scimitarra sguainata, è solo un’immagine di carillon….La nostalgia ha un sapore acido e solitario. Un film in bianco e nero.
La giostra continua a girare e tutto si trasforma, cambia di posto: Beatrice sbaglia il suo posto, si innamora senza speranza di Orlando, l’Ippogrifo è solo un innocuo cavallo a dondolo, l’Inferno una foresta incantata come quella di Ariosto…lo spazio è solo immaginazione nel tempo inventato che è sempre e solo eternamente presente, dove l’io si dissolve.
Come nei migliori film di Bergam il signor K lavora contro l’umanità nella noia ripetitiva del male, il signor Cogito non sa uscire dal suo presente immobile senza interpretazione e senza futuro. Sopra di loro Achamoth, un imbecille!, ‘sapienza inferiore’ generata da Sophia, vorrebbe dare razionalità alla storia: un illuso.
Mondo colto, complesso e senza speranza quello di Linguaglossa, dove come in un ben problematico film le immagini si dissolvono ironicamente dopo che gli attori ci hanno mostrato le chiavi, ma senza concludere né darci la possibilità di appropiarcene. E intanto la giostra ridicola continua a girare in Piazza Winckelmann, una piazza di Roma….

Maria Grazia Ferraris


 
Nazario Pardini fondatore e collaboratore di Lèucade

L’azione è fissata qui ed ora, ed il passato, il presente e il futuro si condensano in una visione che fa del particolare un tassello di un’universalità hors du temps in cui siamo incasellati; un’azione senza tempo, dove il mélange fra realtà e cultura, fra piccoli fatti e grandi questioni, si dipana oggi e sempre. Il poeta fa di tutto per arrestare l’attimo fuggente e con stratagemmi di generosa vis creativa si rende attore, non volendo, attore primo di un film in bianco e nero dove:

Una signora col parapioggia si ripara dal sole.
Il suo bambino ride sul cavallo a dondolo.
Orlando si è innamorato di Beatrice,
torna indietro, prende posto nella Divina Commedia,
«ma è il posto sbagliato – dice – non è qui che volevo entrare».
Per giunta, Beatrice si è innamorata di Orlando
e cavalca con lui sull’Ippogrifo verso la luna.
Ariosto e Dante si scambiano di posto,
Ariosto si prende la Divina Commedia e Dante l’Orlando furioso.
Sono entrambi scontenti: l’Ippogrifo è un cavallo a dondolo dipinto
e l’Inferno è una foresta incantata…,

dove il poeta con il suo infinito bagaglio di conoscenze si permette di cambiare le carte in tavola,  estrapolando personaggi dallo stretto circuito in cui sono delimitati, per renderli veramente durevoli, presenti ovunque, oltre ogni siepe e non più limitati dallo spazio ristretto di un soggiorno o da una vicenda di giorni o di anni. Perché è Linguaglossa che lo vuole; è lui che sottomette alla sua poetica o alla sua filosofia innovativa il distendersi dei fatti. La vicenda del poeta va oltre la categoria dell’esistere, oltre quel fugit irreparabile tempus che tanto tormenta ed inquieta la gran parte dei poeti contemporanei, rendendoli contagiati da uno spleen, che non di rado si fa buon alimento di un poièin, ma spesso lamento stucchevole ob mortem. Sì, c’è la vita reale, spicciola, con i suoi piccoli accidents, ma ci sono anche i grandi simboli di una letteratura tradizionalmente storicizzata, che si mischiano in una attualità gorgogliante e promiscua, perché lo vuole il canto al di fuori e al di dentro del tempo. Un “Poema” che contiene l’esistere con le sue contrapposizioni, e con la simbiotica fusione del polemos tra gli opposti: il bene e il male, Caino e Abele, la cattiveria e la bontà, la voracità e la dolcezza. D’altronde è proprio l’esistere che richiede le due facce della medaglia per farsi vero; privo delle infrastrutture del sogno o della rievocazione che secondo il poeta intralciano il percorso di una rappresentazione diretta del mondo; del mondo così come è. Ma Linguaglossa, magari contro le sue intenzioni, evidenzia tutto il suo modo di pensare e di credere. Perché in questi versi plurimi, in questi versi espansi che non sentono per niente la  necessità dell’andare a capo, c’è tutta la musicalità lirica, direi sabiana (spero che il poeta non mi prenda per pazzo) di un artista che, con ogni sforzo, vorrebbe apparire anti. C’è tutto un sentimento che riguarda il rapporto con se stesso, con l’altro di sé, fra  la vicenda terrena e  la precarietà dell’essere. Dacché la sinfonia è nella parola che cerca ogni soluzione in se stessa. Dacché in questo  abbrivo de abolizione temporis, leggo lo stato di un malessere per una vita che non c’è. Per qualcosa che il poeta vorrebbe esistesse, e non passasse. Per questo gioca con i giorni e con gli anni; con gli eroi e gli antieroi, con le Beatrici e gli Orlandi,  frugandoli e fregandoli. E lo fa con un verbo, che, con nessi iperbolici di generosa resa poetica, arriva con visività e vitalità.

Nazario Pardini


Giorgio Linguaglossa



Una ridicola orchestrina a piazza Winckelmann

Roma. Piazza Winckelmann. Aiuole di ghiaia.
Giardinetti, panchine di legno verniciate in verde.
La Lubjanca ha allestito una ridicola orchestrina,
ordina di suonare “Il gatto con gli stivali”.
E l’orchestrina strimpella un’aria allegra.
I bambini ridono, anche gli adulti si divertono
e si scambiano commenti.
Una giostra con i cavallucci di legno dipinto
ruota lentamente. Singhiozza un’ocarina.
Tintinnano campanellini e carillon,
c’è il sultano Salhaheddin con la scimitarra sguainata,
le macchinine a pedali…
Una signora col parapioggia si ripara dal sole.
Il suo bambino ride sul cavallo a dondolo.
Orlando si è innamorato di Beatrice,
torna indietro, prende posto nella Divina Commedia,
«ma è il posto sbagliato – dice – non è qui che volevo entrare».
Per giunta, Beatrice si è innamorata di Orlando
e cavalca con lui sull’Ippogrifo verso la luna.
Ariosto e Dante si scambiano di posto,
Ariosto si prende la Divina Commedia e Dante l’Orlando furioso.
Sono entrambi scontenti: l’Ippogrifo è un cavallo a dondolo dipinto
e l’Inferno è una foresta incantata.
Il Signor K. siede sulla sedia rossa.
Sorseggia un Campari.
«Veda, Signor Cogito, in fin dei conti,
il montanaro, sì, quello del Cremlino,
non era poi male, e che dire di Hitler?,
veda, lei ha tentato ma ha sbagliato i conti.
Il mio capolavoro? È stato quello di metterli
l’uno contro l’altro. Avrebbero potuto
spartirsi l’Europa, e invece no. Sa, a volte
mi annoio, e mi diverto a rimescolare le carte,
il re di denari con il cavaliere di spade…»
«Achamoth?, oh, lui è un imbecille, vorrebbe
il Tutto regolato come un orologio di Spinoza:
di qua il bene di là il male; che vuole è un razionalista,
un illuminista, forse, un illuso. Per fortuna
ci siamo noi Cogito, io e lei, dico…»

(inediti, da Risposta del Signor Cogito)


  

La felicità è scritta su un’elica doppia e sulle foglie degli alberi

Dürer ha finito l’incisione: “Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo”.
Il cavaliere galoppa verso il limite del quadro.
Il diavolo gli sussurra qualcosa di sconveniente all’orecchio,
la morte, invece, sub specie di un caprone cornuto,
in un angolo, aspetta il suo turno, ma il cavaliere galoppa verso il futuro,
manifesta disprezzo e alterigia. Ha il volto corrucciato.
Il cavaliere non sa che tutto comunica con il tutto.
Che c’è un prisma, un Aleph da qualche parte.
Che la felicità è scritta su un’elica doppia e sulle foglie degli alberi
e viaggia sulle ali di una farfalla.
Intanto si alzano in volo gli aeroplani carichi di bombe.
Enceladon tira fuori dalla borsetta lo specchietto,
si passa il rossetto sulle labbra, il fard sul bellissimo volto ovale.
Il Signor Cogito si affaccia al finestrino del treno blindato.
Parla della bellezza di Enceladon.
Distesa di abeti su un cielo lurido.
Il re delle blatte esce da una botola del pavimento del treno.
«Le parole non servono per comunicare»
ammette Cogito. Dice: «Mi limito a rispondere alle Sue domande».
«Ogni Sua parola può essere rivolta contro di lei»,
replica il Signor K.
Gli eserciti sono in marcia. L’armata bianca,
l’armata verde e l’armata nera.
Il cavaliere galoppa verso il futuro. Ha il volto corrucciato.
Città raggiale. Una folla irreale, o forse troppo reale
si precipita fuori dalle stazioni della Metro. L’allarme delle sirene.
Il Signore in frac rientra nella botola.
Ha smesso di cercare il musicista
che è morto disperato.
Salieri odia Mozart, lo ha avvelenato. Prende l’aereo per Vienna,
si è innamorato di una hostess dell’Alitalia, ogni mese
le versa un bonifico mentre Vivaldi
ha abbandonato a Venezia la sua sgualdrina,
non scrive più musica per i soprani maschi
non scrive musica affatto per la Primavera o l’Inverno
adesso fa il maggiordomo a Milano
presso i duchi Aldobrandi, tiene i conti in ordine
ed è felice così.
Il violinista dorme, sogna che è sveglio
e suona ancora il violino, Marlene in décolleté
accoglie in salotto gli ufficiali della Wermacht,
il pittore, di spalle, dipinge ancora il profilo
di Simonetta Vespucci.
   
(inediti, da Risposta del Signor Cogito)

1 commento:

  1. Sono debitore di un vivo ringraziamento a Maria Grazia Ferraris e a Nazario Pardini per i commenti puntuali e profondi che hanno fatto alle mie due poesie. Davvero, non posso che esserne fiero.

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