Scatole = Vivere Oggi
Edda Conte, collaboratrice di Lèucade |
E’ una storia tragicomica che segue il disegno della
vita di un uomo qualunque, di una di quelle persone che ogni mattina dopo il
consueto caffellatte si preparano ad affrontare la giornata di lavoro. La vita di un uomo che vive solo, perché ha
scelto di vivere solo o magari perché è stato lasciato solo. Comunque solo in
una casa per uno solo. Tutto secondo copione, finché una mattina…
Le pareti della cucina improvvisamente si
avvicinarono l’una all’altra, la lampada al neon cominciò a scendere lentamente
in una luce sempre più spettrale contro il bianco delle piastrelle del
pavimento. Nell’ambiente sempre più angusto, terrificante, l’uomo si sentì
incapace di muoversi, preso tra il terrore e il senso di soffocamento. Da un
momento all’altro sarebbe rimasto schiacciato. Ad un tratto il cellulare si
mise a suonare.
L’uomo portò
d’istinto la mano alla tasca dei calzoni, ma non riuscì a raggiungere il
telefonino che implacabilmente continuò a diffondere le note del suo assurdo
motivetto. Intanto il soffitto si era abbassato tanto che lui si vide costretto a strisciare verso la porta
per uscire. Appena fuori dalla stanza si guardò intorno e con un sospiro di
sollievo si riappropriò della tranquillizzante realtà: il suono del cellulare
era cessato e tutto pareva normale. Scosse la testa come per cancellare le
precedenti assurdità senza soffermarcisi neppure per un istante. Staccò il
giaccone dal gancio e si avviò alla porta, quando un impulso incontenibile lo
fece tornare sui suoi passi. Si affacciò sulla cucina dove la luce era rimasta
accesa. Guardò dentro: la scena solita: l’acquaio ingombro, i fornelli spenti,
il frigorifero chiuso nel suo familiare ronzio. L’isola della colazione con lo
sgabello alto davanti alla tazza vuota… Tutto come al solito,in un ambiente
dove ogni cosa trovava il suo spazio in un perfetto incastro come in un
puzzle. Spense la luce, con gesto
vivace, quasi di soddisfazione, e uscì nel cortile. La giornata splendida lo
invitava a ritardare il momento del consueto controllo sull’agenda degli
appuntamenti. A malincuore tirò fuori le chiavi dell’auto. La Smart aveva
un’aria da signora, la linea elegante, la carrozzeria esclusiva nei colori
ricercati… ma il costruttore chiaramente non aveva tenuto conto del suo 1,92 di
altezza. Con l’abituale manovra, che indicava anche una certa agilità, raggiunse il posto di guida. “Ecco, ancora
una volta sono dentro, e mi sento come in una scatola” fu il suo ultimo pensiero prima di affrontare
la giornata.
°°°°°°
Quasi le otto di sera. La stanza al quinto piano
del Polo Sanitario ristagna del riflesso del sole di un intero pomeriggio a
finestre chiuse. L’uomo è stanco, ha fame, ha la testa pesante le gambe
rattrappite sotto il tavolo –anche quello troppo basso per la sua altezza- e vorrebbe
che la giornata finisse lì.
Ma qualcuno ha ancora tanta voglia di parlare, ha
bisogno di raccontare i propri guai, di inventarsi o scoprirsi sintomi di
malattie lette su qualche rivista. E lui lì, ad ascoltare, a scrivere ricette,
richieste di esami. Anche a sorridere, tra una telefonata e l’altra di quelli
che gli chiedono una ricetta per
telefono. Poi deve ricevere l’informatore scientifico (una volta si
diceva il rappresentante). Bla Bla Bla… questo prodotto è il migliore… è appena
uscito… è il meno costoso… Già, lui, il
dottore, deve pensare anche ai tagli,
alle economie dell’Azienda.
-Le lascio
dieci scatole di X e dieci di Y… e anche tre di Z, che è un prodotto favoloso…-
La sua testa è
una scatola piena zeppa dove non entra più neppure un tubetto di analgesico.
Ingombro di scatole è anche il tavolo.
-A proposito,
ce l’ha una pasticca di C? Ho un mal di testa micidiale-
No,
l’informatore scientifico non ce l’ha la pasticca contro l’emicrania del
dottore.
Il sole ha
regalato alla terra un bel tramonto rosso dorato, ma quando l’uomo esce
dal Polo
Sanitario non resta nel cielo che qualche sentiero rosa.
°°°°°°
Le ventitré. Il
televisore è acceso a palla ma l’uomo sul divano dorme sonoramente. Ha
ancora addosso i vestiti della giornata.
Forse sogna,
forse no.
Domani è un
altro giorno, anzi è giorno di riposo. I pazienti avranno pazienza, il dottore
ha un impegno. La canna da pesca gli sorride ammiccante, forse anche lei sogna una bella giornata
sugli scogli della Foce. Lui ama la sua bella canna da pesca e più per lei che
per sé a quell’appuntamento non vuole proprio mancare.
Ecco il rito:
monta le varie parti, mette l’esca, accarezza l’impugnatura e… via… un bel
lancio con i rituali scongiuri di accompagnamento. Lui e la canna si intendono
perfettamente, l’uno sa bene quello che si aspetta dall’altra. Un affondo
elegante, preciso, e giù nell’acqua verdastra della Foce. Abbocca, abbocca,
dice lui tra sé. Poi un sussulto.
Sul video è
cambiato il programma. Alti e bassi di volume disturbano il sonno. L’uomo apre
gli occhi confuso e pesto. Si guarda attorno: è notte. Barcollando va a
spegnere il televisore e si avvia a letto.
-Giornata
bestiale- esclama a voce alta, e mentre si spoglia pensa con soddisfazione che
domani è il suo giorno di riposo.
“Andrò a pesca…
ma… come farò a uscire dalla scatola?!
Non ricordo nemmeno se sono un antispastico o un digestivo…” .
Edda Conte
Edda, che meraviglia leggerti! C'è il 'relalismo magico' di Calvino e di Borges nel tuo scrivere e un senso dell'umorismo, che come sempre accade, cela le ansie, le paure, le insoddisfazioni. La 'vita in scatola' del tuo medico rispecchia quelle di ognuno di noi. Siamo prigionieri di riti, di abitudini e diveniamo rotelle di ingranaggi difficili da fermare. Il surrealismo amplifica le sensazioni, rende la casa, la macchina, il lavoro una serie di scatole che tolgono ogni forma di libertà al protagonista e, al di là del lavoro, quanto lo schiavizza la piccolissima 'scatola' che è divenuta il prolungamento della vita di tutti? Alludo allo smartphone, alla dipendenza che in troppi hanno instaurato dal mondo virtuale, precludendosi la gioia dei contatti umani, del vedersi, guardarsi negli occhi, abbracciarsi.
RispondiEliminaComunque, Edda mia, sei una magica fabulatrice ed è stato un dono entrare nelle 'scatole' e riflettere con te... Un Abbraccio.
Maria Rizzi
Buongiorno cara Maria Rizzi, tu sei sempre generosa nei commenti,(lo sei per natura!) eppure in quello che scrivi sotto i miei racconti sento sempre un messaggio di vera partecipazione...e di questo ti ringrazio di cuore, perché il fine primo nel mio scrivere, sia in prosa che in versi, è proprio la comunicazione.
RispondiEliminaCon stima e tanta simpatia ti abbraccio.
Edda.
L’uomo qualunque di Edda Conte, “solo in una casa per uno solo”, tranquillo finchè le cose consuete che lo circondano non assumono una vita propria…facendolo sentire in scatola.
RispondiEliminaLavora al Polo sanitario. … “ lì, ad ascoltare, a scrivere ricette, richieste di esami. Anche a sorridere,…: un’altra scatola, anzi una serie di scatole che si ripresentano con variabili diverse….
Ma si può sognare la libertà. “Domani è un altro giorno, anzi è giorno di riposo. I pazienti avranno pazienza, il dottore ha un impegno.” Davvero? La sua giornata bestiale è solo un incidente?
“Andrò a pesca… ma… come farà a uscire dalla scatola? Non ricordo nemmeno se sono un antispastico o un digestivo…” pensa confuso . L’uomo qualunque ha smarrito anche la speranza.
Il racconto metafora ci dice impietosamente la verità del nostro vivere. Forse l’ingranaggio quotidiano che ci abbrutisce è più forte delle nostre timide speranze di libertà e dei nostri frustrati sogni.
....è proprio così, cara amica! E tu cogli sempre il pensiero più profondo quello che forse neppure lo scrittore ritiene di avere espresso. Ahimè. anche quando mi illudo di avere scritto una leggerezza vedo che invece è uscita la solita indigesta realtà..... Anche lo scrittore ha perso la speranza di raccontare storie amene. Però....in fondo.... evade !
RispondiEliminaTi ringrazio del commento mia cara e ti saluto con un abbraccio.
Edda.
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RispondiEliminaEdda Conte ci offre con il consueto spessore espositivo un racconto emblematico e ironicamente progettato per interpretare la condizione esistenziale della contemporaneità umana. Tutto il sistema "autonomo7interdipendente" di incubi circoscritti in spazi solitari e singolarmente singoli. Dalla casa ristretta in progressione (dove le pareti mobili o le lampade o le piastrelle o un cellulare sigillano il limite dell'essere quotidiano) all'isola della vita incardinata in un vero puzzle; dalla Smart impietosa nella sua lacuna dell'altezza al polo sanitario di lavoro chiuso e irriverente... Oggetti, personaggi, situazioni a rappresentare un uomo solo, un dottore, ovvero la sua "scatola" intellettiva identitaria "ingabbiata" te senza scampo che invano cerca la salvezza di un "bel tramonto dorato" o di un sogno (forse?) in una canna da pesca tanto anelata quanto irreale... Ecco le "scatole" invalicabili nel lavoro nello svago, asservite in un contesto spietato, tanto incompatibile con la "libertà" dell'essere umano, quanto inaccessibile ai ritualismi istintivi o immaginari di un televisore o di un giorno di pesca. Ma senza dimenticare che ogni comportamento umano attivo/passivo non può prescindere dalla guida suprema del Essere.
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