mercoledì 8 gennaio 2020

NAZARIO P. LEGGE: "IL GIARDINO DEI SEMPLICI" DI LUCIANO DOMENIGHINI




Luciano Domenighini. Il giardino dei semplici. TraccePerLaMeta edizioni. 2019

Luciano Domenighini,
collaboratore di Lèucade

Oggi 3 gennaio 2019 mi è giunta la nuova opera di Luciano Domenighini. Silloge fine, ricercata, anche, sottile, delicata che volge lo sguardo ad una tessitura ampia, larga, plurale, e signorile, mi si passi il termine, secondo la stile del Nostro. Signorile nel senso raffinato, subito riconoscibile, dallo stile unico, dal vestito della domenica, dai comportamenti eleganti. Ictu oculi, scorrendo le pagine di questa corposa opera, è la molteplicità ispirativa di Domenighini, a colpirmi, a livello formale e contenutistico. Ci mette da subito in guardia sulle sue capacità versificatorie, sulle sue competenze rimiche; si va da versi quinari, a senari, a settenari, a ottonari, a novenari, a endecasillabi, a versi doppi, a metri barbari, a dimetri e polimetri, a versi liberi per terminare con i Collages leopardiani. E non è che tale quantità di note prosodiche abbiano vincolato la cosiddetta ispirazione dell’autore, dacché la sua forza espressiva si mantiene su livelli di alta spontaneità empatica e meditativa. Tutto gli viene facile, tutto per lui è semplice e fattibile; la poesia per lui è presenza, non assenza. Non si può dire di sicuro che si faccia contaminare da certi sperimentalismi di positura prosastica, dove l’io perde la sua funzione memoriale e storica. Sembra che l’autore giochi con il lettore, proponendogli delle narrazioni che si dilatano da una semplicità quasi cantilenante ad una abundantia verbale che mette in chiaro les connaissances e l’applicazione, il mestiere ed il lavoro del poeta. L’opera inizia con i versi  Quinari, dove Pene d’amor perdute, e  A onor del vero fino a L’amore il poeta gioca con quartine di quinari in rima, quartine di quinari a rima alternata, rime e consonanze su quinari sdruccioli, quartine di quinari rimati sul modo riflessivo; un lavoro di cesellatura sonora e ritmica, che attira e coinvolge il lettore portato a spasso da una carrozza che scivola su un  suolo vellutato. Segue il capitolo dei Senari che, introdotto dal Motto confidenziale, comprende un solo scritto dal titolo Per amor dei poeti. Anche qui Domenighini si sbizzarrisce con un sonetto di senari.  Poi è la volta dei Settenari che partendo da La canzone di nessuno si dilata fino a Reportage: da tre quartine di settenari a rima alternata, a ottava di settenari, a strofe di settenari, fino a quartina di settenari a rima alternata di Poetica.  Sette le composizioni del capitolo degli Ottonari, che dal Quinto reggimento alpini  si estende a La maggioranza deviante; da quartine di ottonari a rima baciata a una Ballatella in tre quartine  di ottonari a rima alternata. Tredici le composizioni del capitolo dei Novenari: da Riepilogo e sintesi a Zelig nessuno: da Quartina di novenari fino a Quartina rimata di novenari disgiunti con chiusa pucciniana. Per passare al capitolo degli  Endecasillabi, del verso nobile, austero e armonioso per eccellenza: da Oracolo fino a Rimostranza, da Collage foscoliano da tre sonetti fino a Quartina di endecasillabi a rime baciate. Seguono Versi doppi, Metri barbari (saffiche), Dimetri e polimetri, Versi liberi, e per ultimo Appendice (Collages leopardiani). On doit les lire ces poésies per  rendersi conto della maestosità del lavoro di Domenighini: ogni metro, ogni tipo, ogni struttura, ogni assemblage,  ogni misura è a lui familiare. E non è affatto uno sforzo racchiudere i sentimenti, i pensamenti, le emozioni in tanta varietà prosodica. Il titolo di questa opera è IL GIARDINO DEI SEMPLICI, un titolo che pare come un monito dell’autore: passeggiare per il giardino della poesia con scarpe semplici e maneggevoli, leggere e calzabili. Metaforicamente parlando, esprimesi con  parole masticabili lontane da ogni guizzo di pleonastica intrusione, di complicanza comunicativa. E il poeta lo fa proponendoci varianti senza mai perdere di  mira quello che deve essere il fine del messaggio: farsi intendere.
Molteplici le questioni esistenziali affrontate nell’opera,  intendimenti affidati a versi di armonica andatura, dacché l’armonia è uno dei punti focali della poetica del Nostro:

Dal tema dell’amore:

Rintocca facile
Campana l’ore,
nel cuore gracile
geme un dolore
(...)

A quello del vero

Non son poi tanto
queste poesie,
un poco incanto,
un po’ bugie.

Serve a qualcuno
La verità?
Tanto nessuno
Le leggerà.

Da L’Ode a Lorena

Lorena Glicine
Poetessa principe
Sempre partecipe,
Che fai difficile
Il carme facile,
Tu dal tuo vertice
Ci punti l’indice.
(...)

A Per l’amor dei poeti

(...)
Cantar la maceria
D’un povero cuore
Non è cosa seria...
(...)


Da la fugacità della vita (Album di famiglia)

Di questi eroici amori,
di quelle care vite,
altro non più che poche
sparse foto ingiallite.

Al senso della fine (L’ultima canzone)

(...)
L’orgoglio di esser stati,
Silenzi di carezze
E odor di gelsomini
Nel vento della sera...

Dove il poeta con un po’ di malinconia affronta il discorso del redde rationem concedendosi a tinte di lirismo, a sprazzi di malinconia.

Dal tema del sogno

Mi molce lusinghiero
L’effluvio dei rosai.
Il solo mondo vero
È quello che sognai.

Alla dedica alla donna amata (Alla donna che amo)

Sarò pure poco e indegno,
pure il mondo è dentro me;
nel mio cuore porto un segno
che vorrei donare a te.
(...)

Dal tema delle speranze (Speranze)

(...)
Che celano adesso le porte
Che immote depresso io scorgo?
Speranze, di là della morte,
M’arridono ignote nel gorgo.

Fino a Il tramonto degli ideali

(...)
Quel Dio che nell’oggi m’infonde
Ragione del tempo che fu.
E il dì che la mente confonde
S’appressa... E poi ... nulla più

Tutti i tasti dell’umana vicenda vengono toccati con leggerezza e onestà intellettuale; con partecipazione emotiva, per cui difficile non è ricostruire la filosofia o il pensiero poetico o il rapporto con la società o lo splenetico abbandono del poeta al fatto di esistere; al mestiere di vivere. E lo fa con eleganza senza inveire né intonare peana contro chi che sia. Il suo è un complesso pensiero esistenziale affidato ad una poesia fluente e spigliata, frutto di un certosino lavoro da giocoliere di verbi e di rime.
Ma mi piace chiudere con un argomento che senz’altro sta a cuore al poeta:

La terra delle madri:

Dove il tema delle radici affonda la lama nella polpa: quella della madre e quella della Patria:

Non si sceglie una madre
Non si sceglie una Patria
Perché c’erano prima di noi.
(...)
E poi verrà tutta la vita
Coi manifesti e le fanfare
E l’anima schiava d’amore.

Sì, l’anima schiava d’amore. Così mi piace chiudere questo mio scritto. 

Nazario Pardini



2 commenti:

  1. RICEVO E PUBBLICO

    La mente di chi legge fa a volte salti particolari, a modo suo...questo mi è successo leggendo “ Il giardino dei semplici”, di Luciano Domenighini , silloge poetica di rara bellezza. Leggevo poesie e pensavo :” dev'essere un gran medico!” e perchè pensavo questo dell'amico poeta, critico e, giustappunto medico? Perchè dalla lettura di questi versi esce un'anima pulita, buona, chiara, comprensiva!..come avrei potuto non fare un'istintiva associazione passando da
    Lidia Guerrieri (segue)

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  2. CONTINUA
    Domenighini poeta a Domenighini medico di fronte a considerazioni del genere “ ciascun poeta è un viaggiatore alato, anche il più acerbo, anche il più sgangherato che la Musa perdona se il suo cuore è sincero, se il suo canto risuona per le strade del vero” ? C'è una tale umana comprensione per tutti, una tale tenera pietas in questi versi, specie se li paragoniamo all'atteggiamento superbo di gente che circola nell'”ambiente” e che guarda più o meno tutti dall'alto, che la considerazione mi è venuta spontanea. Mi si chiedesse di definire questo poeta in due parole lo definirei come un “ uomo che ama “ perchè l'amore traspare da tutta la silloge, perchè per lui rinunciare ad amare , scelta che in nome di quel supremo bene che è la libertà è possibile fare, è tuttavia sempre un peccato (“ esser stati lontani, non aver corrisposto fu libertà e delitto”) e perchè il suo amore non è solo per la sua donna o per la famiglia o per gli amici, ma per l'umanità intera in quanto “ siamo tutti dei diversi...tutti rom, tutti dispersi” , tutti fratelli che “ Cristo giusto e condannato “ guarda dall'alto della Sua croce. Amore e libertà fanno binomio: sia nel rapporto umano che nel rapporto uomo-Dio perchè se Dio stabilisce per noi certe prove ( “ al nume la sua volontà”) l'uomo ha il potere della libera scelta ( “ all'uomo la sua libertà”) e il dono della libertà è grande per Domenighini: basta leggere i pochi, bellissimi versi di “ Poca brigata, vita beata” dove avvince il felice accostamento di “ fior di solitudine ( lo stare soli -che non è l'essere soli- : ritagliarsi momenti in cui, rispondendo ad un bisogno profondo e comune a tutti, ci guardiamo un po' dentro e meglio intorno) e , soprattutto, l'incantevole immagine dell'allodola ( già di per sé simbolo di libero volo) resa con la magica accoppiata “ festosa beatitudine” : felicità suprema, gioia innocente e limpida. Una poesia scritta da mano esperta quella di Domenighini: un lessico che attinge e alla semplicità del quotidiano ed alla preziosità della parola dotta e rara, ma comunque sempre nell'ambito di un eloquio misurato ed euritmico, una metrica che abbraccia formule rimiche varie, che spazia dal novenario pascoliano, al senario, dall'ottonario, al settenario, ai versi doppi e, naturalmente all'endecasillabo talvolta sposato armoniosamente a metri diversi, il tutto impostato in quartine, sonetti minori, ballate ed altro. Nè mancano lavori che prendono lo spunto da versi noti di Carducci, Pascoli, che il nostro rielabora con perizia, sensibilità e fantasia, quasi dotti divertissements così come certi “giochi “ di allitterazioni e bisticci, di insistenze sulla sdrucciola finale , di alternanze di sdrucciole e tronche.
    La poesia di Domenighini è poesia che rifugge da esternazione di eccessi: come composta è la forma, così composta è l'espressione del sentimento : l'esperienza ha posto le cose in una dimensione equilibrata, sì che l'amore per la donna in lui non è la passione travolgente e, diciamocelo pure, talvolta poco realistica di cui ci parla certa poesia, ma la solida, tranquilla, reale, concreta, confortante certezza che dopo l'arrivederci di stasera, ci sarà il ritrovarsi di domani. Pure, è l'amore la radice di tutto...come dice il Poeta, “ in fine non resta alla vita / che un cesto di gesti d'amore.” Una visione serena, e direi perfettamente cristiana: quel che conta è avere amato. Che resterà di tanto aver lottato, sperato? La vita è una lotta “ si nasce indifesi” e di tutto il nostro darci da fare, anche dell'affannarsi di chi insegue chissà quale gloria, non resteranno che “ voci fugaci in cortile”. E' chiaro e forte questo senso di fugacità, ma è talmente limpida e tranquilla la maniera di Domenighini di guardare tutto, anche l'ultima soglia, che non ne proviamo angoscia; solo la lieve malinconia che viene dalla fine di un sogno.
    Lidia Guerrieri

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