NAZARIO PARDINI LEGGE
“TUTTO PASSA” DI MAURIZIO ZANON
Guido Miano Editore, 2019
mianoposta@gmail.com
πάντα ῥεῖ: tutto scorre,
tutto passa. Già il titolo di questa plaquette ci dà il via, facendoci da
prodromico ingresso alla narrazione poetica di Maurizio Zanon;
al suo mondo ontologicamente vissuto e dato al verso con euritmica andatura:
vita di poesia e poesia di vita; è cosciente, il poeta, del suo essere in campo
e di vivere ogni abbrivo emotivo, sapendo che il nostro è un tempo
circoscritto, un tempo breve e precario, un momento che appare come un lampo di
fronte all’eterno, quasi un tratto donatoci dalla morte, ma sa anche che tale
tempo è una cosa sacra, fatta di affetti, di passioni, di memorie, di impegni
familiari e sociali e di bellezze che con le loro potenzialità cromatiche ci
elevano sino a toccare l’inverosimile. E Maurizio Zanon sa gustare tali
unicità, le sa amare, a tal punto da farne oggettivazioni del proprio pensiero,
della sua umanità. La natura, ad esempio, compie quasi un miracolo agli occhi
del poeta: lo prende per mano e coi suoi impatti visivi lo trascina nei meandri
della sua pulcritudine, della sua potenza trascinatrice: il risveglio della
primavera equivale a quello luminoso dell’amor vitae: “S’alza
silenzioso il magico biancore dell’alba / inconfondibile lucore che l’animo
risveglia / e il nuovo giorno somiglia al lieto gemito / d’un bimbo appena
nato. In questa luce unica e profonda / tutto ricomincia in gocciolii di
rugiada. / Pian piano poi il cielo vedi schiudersi / a un impareggiabile azzurro” (Risveglio di
primavera). Tutto si
fa luce, tutto tende all’azzurro, e gli amori si impossessano degli esseri che
tornano a vivere con grande vigore. Il poeta fa suoi i colori e i barlumi
della stagione, se ne impossessa per tradurli in versi, in concretizzazioni di emozioni. Sa che è “Un sorso la vita / un sorso che
fatichiamo a degustare” (La vita),
ma che noi dobbiamo affrontare in tutto il suo splendore. Una filosofia
positiva, essenziale, umanamente aderente, questa del Nostro, che riconosce
tutte le difficoltà che incontriamo durante il tempo concessoci, la stessa filosofia
che il fatto di esistere comporta, generando quella inquietudine che ci
accompagna in ogni luogo e in ogni tempo: hic et nunc. Sì, possiamo spegnere il
patema che ci perseguita trasferendo il nostro essere nei prodigi di Pan,
facendo delle sue bellezze una specie di panacea medicatrix, dacché,
confondendoci nelle latebre delle stagioni, dimentichiamo per un attimo il
destino della nostra permanenza terrena, D’altronde è proprio dell’uomo
trovarsi in difficoltà di fronte all’idea dell’eterno o della morte. Ma è forse
nel confronto tra il prima e il presente che il poeta trova un motivo valido
per fare del passato un aggancio al bello e il buono, considerando che certi
valori si sono spenti come la rugiada al sole: “Invecchiato, sono un uomo
d’altra epoca. / La mia generazione s’accontentava di poco / anche perché v’era
poco. Aveva i suoi difetti / ma veniva sempre in soccorso / di chi chiedeva
aiuto. / Non ha conosciuto bullismo la
mia generazione! / E se qualcosa socialmente non andava / montava la protesta”
(La mia generazione). Una corposa silloge
che con 47 poesie tocca tutti gli àmbiti del vivere; ogni situazione vitale, i
problemi di una vicissitudine con versi vari e articolati: ora ampi e distesi
ora più brevi e di apodittica verbalità, per tenere dietro ai molteplici stati
d’animo; c’è la coscienza del tempus fugit, della caduta dei valori che un
tempo ritenevamo incrollabili: “Procediamo in caduta libera / nella crisi di valori
/ che credevamo consolidati per sempre. / Il sole conta le ore. / La vita
scorre e si scioglie.” (Tutto passa), c’è la reificazione dell’essere nello
splendore della natura: “Al primo schiudersi dell’aurora / quando a poco a poco
s’illuminano / i profili delle montagne / odi il canto irregolare delle
coturnici…” (Al primo schiudersi dell’aurora), c’è l’antitesi vita-morte che ci
accompagna, riducendo la voglia di
vivere: “Odoro di morte / e non so che sto vivendo / come non mi rendessi conto
/ della vita, pronta e generosa / nel porgermi quotidianamente / le sue
tentazioni…” (Odoro
di morte), ma c’è
anche la sindrome di Sthendal, l’estasi della creatività di fronte alla mano di
Dio: “Vi sono al mondo / capolavori letterari, musicali / o delle arti
figurative / lasciati da uomini creativi / accarezzati, per un attimo della
loro vita / dalla prodigiosa, mirabile mano di Dio” (Capolavori), e le riflessioni sulle malefatte
dell’uomo su la Madre terra: “Ci distendiamo sul nostro vivere / e Madre Terra /
ci guarda e ci ascolta. / Ma non ci riconosce più come suoi figli. / L’abbiamo
prima osannata e amata / poi tradita e ferita” (Madre terra). Come ci sono le città violente, con
gli anziani sempre più soli: “Città violente / anziani sempre più soli…” (Città violente), e il senso della fine che piano piano ci aggredisce: “E così
muoio piano piano / tra le salse pietre di questa città / umida e sonnacchiosa,
che mi trattiene / e m’impigrisce. Avrei voluto viaggiare / dedicandomi
completamente allo scrivere! / E invece sono qui a marcire/ nella puzza dei
canali…” (E così muoio piano piano).
Rimpianti,
nostalgie, tristezza di una stasi, amare riflessioni sul tempo ed il luogo; ma c’è anche la luce e l’orizzonte di un
tempo d’estate: “Arrivo al mare / e il vento soffia caldo e leggero. / Il
sole picchia a mezzogiorno / sulla distesa d’acqua che per me / è da sempre di
casa. / Ho amato questo mare fin da bambino / quando ancora non conoscevo il
senso della vita...” (Un giorno d’estate), come c’è la poetica delle radici, la
poesia dell’home, il desiderio del ritorno: “Torno a scrivere di te / mia città
sulla laguna / venduta e ferita, ti sei ridotta a museo…” (Torno a scrivere di te), assieme ad un auspicante presagio di
vita e di amore; di speranza e di luce in un futuro migliore: “Nel magico
rituale / al canto dell’upupa / e dell’allodola / giungerà d’incanto / una
nuova, bianca alba / e con essa / un diverso germogliare / di luce, di vita” (Pensiero per domani).
Insomma
un’opera complessa e articolata che fa della vita un profondo pozzo a cui
attingere per concretizzare gli stadi emotivi dell’esistere, spiattellandoci in
un vassoio d’argento emozioni da vendere, riflessioni, rimpianti, e meditazioni
su tutto ciò che questo viaggio ci propone; e Maurizio Zanon lo fa con padronanza
linguistica, con intuizione prosodica, con accorgimenti metrici che trovano
nelle sinestesie e nelle metafore la scalata per accedere al regno di
Orfeo.
Nazario Pardini
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