Pietro Catalano. La geometria dei girasoli. Edizioni dell'istituto italiano di cultura di Napoli |
Eppure quegli oggetti parlano di noi,
raccontano lo scorrere del nostro tempo,
le avidità e le corse verso l’ignoto,
le speranze e le attese d’ogni momento:
ma la vita è un soffio leggero
che accarezza lentamente
la volta del cielo, nemica
d’ogni idolo appeso al fico sterile
e lontana da mute cetre
come echi senza suoni e parole.
Una poesia onesta, agile, fluente dove il verso, con tutta
la sua portata ontologica, si fa ritmo e icastica equivalenza di un
sentire profondo e plurale; polivalente
e spirituale, dove i sinestetici allunghi e le varie intrusioni stilistiche di
simbolico impatto danno corpo al dettato lirico Si parte da riflessioni di ampio respiro, da
meditazioni umanamente oggettive; c’è la vita con tutto il suo bagaglio
esistenziale: le memorie, il tempo che fugge, l’amore, l’aspirazione alla
giustezza, e il rammarico per un mondo in balia delle aporie, delle storture,
delle anomalie che fanno soffrire. Partendo dalla poesia testuale già possiamo
entrare nel cuore della poetica di Catalano: gli oggetti, lo scorrere del
tempo, le avidità, le corse verso l’ignoto, le speranze: “ma la vita è un
soffio leggero”. Sì, la vita, la coscienza della sua fugacità, e di noi esseri
mortali legati ad un filo sottile. Per questo il Nostro insiste sui problemi da
risolvere per dare un senso alla nostra storia. La speranza è una gran cosa ma
certamente vale poco di fronte alle questioni che ci assediano: impegno, ecco
cosa occorre, volontà, voglia di dare tutto noi stessi per un contributo, anche se minimo, ma importante
se uniti nell’intento. Scrivere sulla
sua poetica è come decriptare il caleidoscopio, le sue innumerevoli
sfaccettature, le sue policrome sfumature; una poesia proteiforme che, coi suoi
versi di varia positura metrica, riesce a concretizzare gli empiti di un’anima
tutta volta a narrare le vicende del vivere; le latebre più nascoste; gli
angoli più segreti. Questo il diorama della sua narrazione: nostos, ricerca di
una quiete improbabile. Una navigazione non sempre liscia, la ricerca di un
approdo che soddisfi le inquietudini, i
sobbalzi epigrammatici, i parametri
da mortale. Ma si sa che per noi terreni, misurati dal tempo e dal luogo, non è
facile agguantare anche solo con la vista l’isola appagatrice; sì, è là, e
nella nostra coscienza esiste, come
esiste nelle nostre intenzioni, ma
quanto improbabile approdare alle sue sponde! In Catalano è vivo l’abbrivo
della ricerca, non solo spirituale, ma anche verbale: in un lavoro di scavo e
di assestamento topico per soddisfare le richieste di un animo zeppo di
immagini e sentimenti da rivelare. Ed è per questo che il suo cammino si fa
vario e articolato: ora oggettivo, ora autobiografico, ora narrativo, ora
descrittivo. Insomma un percorso poematico di intensa vicissitudine umana, dove
trovare parte di noi, delle nostre scottature o elevazioni, non è di sicuro impossibile.
Credo sia opportuno a questo punto dare la parola a Keats che nell’ode
l’Autunno scrive che nella vita, con la quale la poesia stessa è
inscindibilmente legata, prevale il desiderio di essere un “uomo” e di
ritornare un giorno “nelle radici..., da cui ci stacchiamo come frutti
sfacentisi, non per perire, per verdeggiare di nuovo... e respirare insieme con
la natura”. Sì, con la natura, quella maiuscola, la Madre Eterna, quella che ci
tiene e ci ispira, quella che ci dona albe, tramonti, sere, mari, monti, valli,
a ché diventino parole del nostro dire; oggettivazioni del nostro essere e del
nostro poetare. È essa che ci nutre e ci dà vita e anche se la maltrattiamo con
interventi malefici, alla fine, ci accoglie fra le sue braccia nell’ultimo
nostro respiro. Morte, vita; luce, ombra; ordine, caos; gioia, dolore... una
serie di contrapposizioni che trovano il posto giusto nel “poema” di Catalano,
perché è dall’equilibrio di tali contrapposizioni che nasce e si sviluppa il senso dell’esistere; dalla simbiotica
fusione di tali elementi il senso del viaggio. Un viaggio odisseico che
attraverso scogli e nuove scoperte si fa scheletro portante di una storia, dove
sono proprio le esperienze della vita, dell’esser-ci, positive o negative, a
rendere il nostro sguardo plurale, disposto ad allungare il tiro oltre certe
colonne; a fare di noi degli esseri comprensivi, umanamente inquadrati, e
socialmente inseriti. Visto che si tratta proprio della società in cui viviamo,
in cui affondiamo le radici, e che spesso condanniamo per mancanze o soluzioni
di ineguaglianza. Volgere lo sguardo al sociale, alla realtà in cui il poeta
vive, è un bisogno di cui Catalano non può fare a meno, dato che il senso
dell’umano esondante dai suoi versi si
fa voce determinante nel gioco della poesia. Con ciò non vogliamo trascurare la
riflessione che il poeta fa sui tanti perché e sui quesiti di difficile
soluzione che contornano il fatto di esistere; sa il poeta che la sua storia
come quella dell’uomo in genere è soggetta a naufragare nel nulla; e ciò che lo
turba è il destino delle sue memorie; quel patrimonio che torna e ritorna per
dire che c’è e per significare da una parte lo scorrere del tempo e dall’altra
la voglia di vincerlo quel tempo riportando a galla momenti e fatti ingoiati
dalla clessidra. Non è certo inappropriato riportare un aforisma che molto ha a
che vedere con la struttura portante dell’opera del poeta: John Donne, di cui è celebre il sermone Nessun uomo è un'isola, scriveva:
“La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce perché io sono parte dell’umanità. E
dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”. È proprio
questo sentimento di pluralità sociale, di coinvolgimento umano, che
caratterizza l’empito ispirativo del Nostro; le sue meditazioni contemplative:
dalle confessioni di simbolica
metaforicità:
Sono un albero vecchio,
profonde radici che succhiano
memorie in umide zolle,
fusto freddo, sordo rumore secco,
m’angoscia non sapere
il destino del nido fra i rami,
coppia di passeri che cinguettano
fino a sera, incurante del freddo
nella prossima notte... (L’albero),
alle estensioni emotive di carattere
erotico:
è sempre là,
l’amore,
basta abbracciarlo (È sempre
là),
dai ritorni
memoriali di affetti familiari:
Vorrei avere gli occhi di mia madre
(...)
Con i suoi occhi vorrei vedere
gli occhi di mio padre
che la fissano
mentre canta fanciulla alla fontana,
io prima di nascere
ero in quello sguardo (Gli
occhi di mia madre),
alle pulsioni
umanitarie di fronte a naviganti senza meta:
La barca di gomma era troppo piccola
per quarantasette donne e uomini
fuggiti dalla fame e dalla paura,
a cacciare dalla mente e dai cuori
le notti senza luna e senza sogni... (Il tuo nome è Fortuna),
da Ai
bambini di Aleppo:
Cantano ancora i
bambini di Aleppo
ora che la coperta è
calda nella notte,
il rombo cupo non fa
più paura
è suono che prelude al
temporale,
le ombre s’allungano
nella stanza
senza avvolgere il viso
delle bambole.
fino al simbolico imbrunire della notte:
Vedo adesso l’imbrunire avvicinarsi,
ascolto il suo respiro sfiorarmi i capelli
e m’accorgo che la luna
rischiara la notte appena iniziata.
Ma oltre la luna
il sole m’aspetta ancora per giocare
a dadi col nuovo giorno (Oltre
la luna)
Una storia, tante storie in un racconto fluente e
realisticamente lirico, dove l’anima, di ritorno da una perlustrazione, rincasa
vibrando di battiti cardiaci; e dove la geometria perfetta dei cromatici girasoli
contrasta con un mondo lontano, irregolare, spigoloso; con un mondo in cui
ognuno è solo dentro abiti fabbricati da sconosciuti:
Ognuno è solo dentro abiti
fabbricati da altri sconosciuti,
eppure siamo tutti così vicini,
stretti negli aliti
dei vetri appannati la mattina,
ma così lontani
come mondi sconosciuti
Ma Catalano ama questa vita, l’irripetibile fatto di
esistere, l’afflato di questa vicenda; ama il sacrosanto mistero di tale
occasione ed è per questo che ne critica gli aspetti negativi, dacché la
vorrebbe più vicina, più umana, più pulita, più sana, a ché gli umani potessero
giocarsi il futuro più uniti, più disponibili all’incontro con gli altri; più
coscienti del valore della pace:
I lupi sono ritornati, come millenni fa:
al posto di pelli d’animali
indossano caldi vestiti
con effigie dei potenti della terra
e comode scarpe griffate
per calpestare suoli anonimi altrui.
I vecchi abbracciano i bambini
non più per tramandare
semi di memoria:
essi non germogliano più
nei campi bruciati dal napalm;
li abbracciano per nascondere
lo sguardo vuoto di speranza.
Nazario
Pardini
Grazie, carissimo Nazario, per la preziosa prefazione con la quale hai voluto onorarmi.
RispondiEliminaFelice di ritrovarmi nell'Isola.