“Ogni
raccolta rivela indubbia autonomia…, ma il discorso lirico si sviluppa con un
alto grado di organicità ideale e di coerenza problematica, nell’ambito di una
compatta costruzione intellettuale”. Così scrive Floriano Romboli nelle prime
pagine del libro L’azzardo e l’amore,
dedicato all’opera di Nazario Pardini. Mi sembra che queste parole sintetizzino
felicemente il modo con cui Romboli si pone di fronte ai testi degli autori
studiati. Vorrei soprattutto mettere in luce una parola che, con le opportune
variazioni, ricorre come un leit-motif per tutta l’opera dello studioso e che è
come la spia e il coagulo del suo metodo. La parola è “problematico”.
Sfogliando i volumi quasi a caso, troviamo, ad esempio, “Articolazione
problematizzante”; “problematizzazione della tematica erotica”; “autore
modernamente problematico”; “marcata problematicità”; “arricchimento
problematico”. Il testo e l’autore si
pongono dunque di fronte alla mente indagatrice dello studioso come problema,
cioè come realtà complessa che sollecita domande le cui risposte non possono
che essere altrettanto complesse. Ma da cosa si origina la problematicità e
complessità di un testo e di un autore? La risposta può essere trovata in un
importante libro di Romboli, che raccoglie saggi su Carducci, D’Annunzio e
Fogazzaro: La letteratura come valore,
pubblicato nel 1998. Parlare di “valore”, scrive Romboli nella prefazione,
significa pensare come “inconcepibile la separazione fra arte e vita, fra
ricerca estetica e globale esperienza umana”. Nessuna separazione: è la lezione
di Francesco de Sanctis, che Romboli accoglie pienamente, arricchendola poi con
ulteriori apporti critici, come quelli di Mario Fubini e Luigi Blasucci. Ecco
dunque la complessità, ecco dunque il problema. Ed ecco dunque la necessità di
individuare i nodi problematici di un testo o di un percorso letterario,
mettendo in luce come i vari elementi (formali, biografici, intellettuali) si
connettono, si articolano, entrano in tensione o magari tendono a divaricarsi.
Ho detto di “elementi intellettuali”. È l’aggettivo che significativamente ricorre nella citazione dal libro su Pardini con cui ho
iniziato questo discorso: “costruzione intellettuale”. Per Romboli lo scrittore
(narratore o poeta che sia), è in effetti ipso
facto un intellettuale: quando sia vero scrittore, quando sia nutrito dei
problemi della sua epoca, quando coinvolga nella sua opera tutto sé stesso con
tutti i suoi strumenti, quando concepisca la sua arte con profonda serietà e
non come decorativo orpello. “Intellettuale”
è qualificato specificamente Pardini. Di Fogazzaro Romboli dice che egli è
“scrittore di pensiero”; ma intellettuali sono anche gli altri autori studiati e analizzati, anche
quando sembra siano radicati in un humus circoscritto
e in un’atmosfera chiusa, come, ad esempio Bino Sanminiatelli. Per
Romboli la letteratura non è dunque solo esperienza di godimento estetico o di
contemplazione atemporale (al modo, ad esempio, di Croce), ma anche di
conoscenza: occasione per interrogarsi sul senso del mondo e della vita, e che
perciò richiede il nostro coinvolgimento, la nostra totale partecipazione.
La vasta produzione saggistica e critica di
Romboli, che si dispiega in un arco più che trentennale, procede
sostanzialmente in due direzioni. Da una parte lo studio di alcuni autori classici
della nostra letteratura (Tasso, Carducci, D’Annunzio, Fogazzaro); dall’altra,
lo scandaglio di autori toscani contemporanei (e talvolta viventi), come Bino
Sanminiatelli, Nazario Pardini, o i pontederesi Dino Carlesi, Francesco
Paciscopi, Pietro Giani.
Per quanto riguarda lo studio dei classici
(ricordiamo en passant che Romboli si è laureato con una tesi su Torquato
Tasso), l’interesse dello studioso si orienta soprattutto verso due autori,
Gabriele D’Annunzio e Antonio Fogazzaro, che operano dalla seconda metà del
XIX° secolo all’inizio del XX°, in anni particolarmente travagliati e
contraddittori della nostra storia, fra nuove spinte democratiche e tendenze
regressive o apertamente reazionarie; anni in cui esplodono idee nuove e
ardite, come il marxismo e il darwinismo, che coinvolgono drammaticamente anche
la Chiesa
cattolica, nel sempre problematico rapporto col mondo che cambia. Romboli cita
un passo de Il piacere, uno dei
romanzi più fortunati di D’Annunzio, nel quale lo scrittore, per bocca del
protagonista, Andrea Sperelli, caratterizza quest’epoca con l’espressione
“grigio diluvio democratico”, prendendone le distanze con l’atteggiamento
riassumibile nel termine di estetismo. Ebbene, l’opera dello scrittore
pescarese appare a Romboli ben diversa da quella consegnata a fortunate quanto
vacue formule, come, ad esempio, la crociana “dilettante di sensazioni”. Per
Romboli D’Annunzio è piuttosto un intellettuale aperto all’Europa e impegnato totalmente
nel dibattito culturale del suo tempo; uno scrittore animato da un saldo
progetto di “rifondazione estetica del mondo” e – da sottolinearsi – mosso da
un chiaro intento conoscitivo. Per D’Annunzio, infatti, il piacere dei sensi,
la piena libertà voluttuaria, è (come dice Stelio Effrena nel romanzo Il fuoco, citato da Romboli) “il più
certo mezzo di conoscimento offertoci dalla natura… e colui che ha molto
sofferto è meno sapiente di colui che ha molto gioito”. Orientamento
gnoseologico – è da notarsi – che ribalta l’eschileo Pathei mathos: conoscenza
attraverso il dolore. Con analisi testuali puntuali e chiarificatrici Romboli
mette in luce come a questo progetto di trasformazione in senso estetico della
società contemporanea si oppone l’imperativo dell’etica tradizionale, della
quale (cito dal libro Un’ipotesi per
D’Annunzio, uscito nel 1986), “D’Annunzio non disconosce la decisiva funzione
costruttiva e regolativa”. Da queste spinte opposte si sprigiona una drammatica
e insostenibile tensione, con la conseguente ricerca di un punto di equilibrio.
Tensione che Romboli sintetizza nell’antitesi della donna intesa ora come
amante, ora come sorella. Tale tensiva antitesi non solo percorre tutta l’opera
narrativa di D’Annunzio, ma viene arricchita di romanzo in romanzo conferendo
all’intera produzione dello scrittore quell’unità nella varietà che mi sembra
uno dei fari del complessivo atteggiamento metodologico di Romboli, e a cui ho
già accennato nella citazione iniziale. Questa tensione fra spinte antitetiche,
anziché a un equilibrio seppur precario, condurrà a una lacerante
divaricazione: da una parte la fuga verso l’avventura aviatoria (volo su
Vienna), dall’altra lo sprofondamento in un eros chiuso e morboso, segnato
dalla follia e dalla morte, come è testimoniato nel romanzo Forse che sì forse che no. Così,
nell’analisi acuta e puntuale di Romboli, il nicciano superomismo di D’Annunzio
e il suo atteggiamento elitario e antidemocratico, si manifestano nella loro
lucidità e serietà intellettuale ed estetica, in tutta la tumultuosa e
contraddittoria sorgente umana, in un – cito sempre da Un’ipotesi per D’Annunzio – “disegno ideale-culturale coerente e
impegnativo”, che risponde in modo originale,
non per questo condivisibile, alle
istanze conservatrici del ceto intellettuale del suo tempo.
Coerenza del disegno ideale-culturale che
Romboli riscontra anche in Antonio Fogazzaro, autore
nato a Vicenza due decenni circa prima di D’Annunzio e che opera in anni
in parte sovrapponibili a quelli dello scrittore pescarese ma dalla vita
errabonda, che contempla anche un trasferimento in Francia. Secondo Romboli,
anche in Fogazzaro agiscono due spinte antitetiche, che in vari modi percorrono
l’intera sua opera, da Malombra a Leila, passando per il suo romanzo più
fortunato, Piccolo mondo antico. Da
una parte (cito dalla monografia su Fogazzaro, pubblicata nel 2000) “la
tensione erotico- voluttuaria”, dall’altra la “coscienza dell’ingovernabilità
dell’eros, ove non subordinato da idealità moralizzanti e sublimanti”. Quel che
distingue radicalmente i due autori non è tanto il “paganesimo” (mi permetto
anch’io una etichettatura) dell’uno e il cattolicesimo dell’altro, quanto il
fatto che in Fogazzaro l’idealità sublimante assume un orientamento che Romboli
definisce “verticale”. Qui siamo a un punto
decisivo dell’opera dello scrittore vicentino, e di tutta la cultura
cattolica fin quasi ai nostri giorni: punto che Romboli illumina in modo
esemplare e con intensa partecipazione. Si tratta della conciliazione fra la
dottrina cristiana e l’evoluzionismo biologico, problema scottante a cui lo
studioso dedica anche un notevole saggio contenuto nel volume La letteratura come valore. Per Romboli
il Fogazzaro vede nell’evoluzionismo, inteso in senso filosofico più che
biologico, la legge stessa della vita, il dinamismo ascendente verso un progressivo perfezionamento, in cui trovi un positivo sbocco
l’antitesi, ben rimarcata da Romboli, buio-luce (cioè carne e spirito, istinto
e morale) che in vario modo travaglia pressoché tutti i protagonisti dei suoi
romanzi. Perfezionamento guidato da una Mente (con la maiuscola) che
“dall’imperfetto trae il meno imperfetto” e offre a quanti si dibattono nelle
tenebre la speranza, attraverso la catarsi degli istinti egoistici, di un
domani più sereno e pacifico. Più che precursore del cosiddetto e discusso “Disegno
intelligente” Fogazzaro, nota Romboli, precorre arditamente le teorie di un
grande e controverso paleontologo, filosofo e teologo cristiano, il francese
Theilard de Chardin. Fogazzaro, dunque, intellettuale coinvolto nelle battaglie
culturali – letterarie, politiche, filosofiche – del suo tempo, con un impegno costante
e tenace, che Romboli arriva a dire “eroico” (fra virgolette). Ho parlato di
“battaglie”, al plurale. Infatti Fogazzaro deve sostenerne un’altra e particolarmente
sofferta, quella in favore del modernismo, cioè della corrente che invocava una
profonda riforma della Chiesa cattolica tale da rendere l’annuncio evangelico
capace di parlare al cuore dell’uomo moderno. Il romanzo Il santo, posto all’Indice dalla Chiesa, contiene, scrive Romboli,
“il programma di rievangelizzazione della società moderna”. Con acume, Romboli cita un vibrante brano del romanzo in cui il
protagonista, Benedetto, si rivolge al papa concludendo con queste parole: “Io
scongiuro Vostra Santità di uscire dal Vaticano”. Dovremo aspettare Giovanni
XXIII° perché l’appello venga accolto in
tutta la sua potente carica liberatoria. Anche questa battaglia ci dice con
quanto appassionato fervore e con quanta lungimiranza il romanziere
partecipasse ai problemi culturali più vivi del suo tempo, testimoniando
proprio quel che dicevo all’inizio, e cioè che la letteratura, per Romboli, non
è puro fatto estetico, ma integrale realtà umana, cioè “valore”.
Valore che va dunque inteso non tanto come
pura validità letteraria, quanto come atteggiamento di fondo nei riguardi della
scrittura, e che perciò merita di essere analizzato e illuminato anche in
autori convenzionalmente chiamati “minori”. Ed ecco che dopo i “maggiori”
D’Annunzio e Fogazzaro, possiamo ora parlare, in parallelo, di due scrittori
toscani, ai quali Romboli dedica due importanti libri: scrittori che, pur nella
valorizzazione delle radici, hanno saputo aprirsi alla grande letteratura e, da
veri intellettuali, affrontare i nodi problematici più densi del nostro tempo:
Bino Sanminiatelli e Nazario Pardini.
Nel libro Le ragioni della natura, pubblicato nel 1991, Romboli esamina
l’intero percorso narrativo di Bino Sanminiatelli. Anche in questo caso –
seguendo una ben chiara linea critica – Romboli si preoccupa di liberare lo
scrittore di Vignamaggio da ripetitivi cliché, privi di autentico valore
critico, come, ad esempio, quello di “toscanità paesana e post-macchiaiola”,
mostrando invece (cito) “la densità culturale-filosofica del (suo) mondo”. In
questa prospettiva l’opera di Sanminiatelli non solo si rivela aperta ad
accogliere stimoli innovativi propri dell’avanguardia europea, dal futurismo al
dadaismo, ma, soprattutto, si mostra capace di affrontare in modo personale e
originale i “motivi problematici” più scottanti del nostro tempo. Mi sembra che
Romboli individui il principale di questi motivi nel rapporto natura-civiltà (a
cui egli ha dedicato un’interessante antologia, apparsa nel 2005), rapporto che
costituisce uno dei temi fondamentali e ricorrenti del dibattito culturale
europeo, fattosi più intenso negli ultimi due secoli, vale a dire dall’inizio
della civiltà industriale. Per Sanmniatelli (il cui notevole Fuoco a Monteluce vinse il Premio
Viareggio) la civiltà appare come un “universo parallelo e innaturale”.
Posizione che potrebbe apparire regressiva, ma che, al contrario, alla luce
della densità culturale-filosofica di cui dicevo, si rivela ricca di profondi
significati antropologici. Nell’opera di Sanminiatelli, scrive Romboli
riprendendo un’espressione di Mircea Eliade, “la precaria storia degli uomini
si incontra con… il ‘tempo sacro’ della natura. Qui siamo davvero lontani dal
bozzettismo agreste, dalla chiusura provinciale di cui a volte Sanminiatelli è
stato frettolosamente accusato. Siamo piuttosto, seguendo
la lettura di Romboli, nel vivo dei problemi che riguardano tutti noi,
soprattutto, nota con acuto senso storico lo studioso, dopo “la crisi
formidabile delle sicurezze dello storicismo”. Lontani dunque dal bozzettismo.
E forse ancor più quando Romboli, analizzando il complesso concetto di tempo in
Sanminiatelli, colloca questo nodo problematico all’interno della cultura e
sensibilità che possiamo dire esistenziale. Non a caso
Romboli sostiene la propria argomentazione anche citando opportunamente
alcuni brani centrali di Essere e tempo,
di Heidegger, cioè il testo fondante della problematica esistenziale. Eccoci
quindi, dalla Toscana bucolica e apparentemente chiusa, proiettati in piena
Europa, nel centro della sua cultura più avanzata, più capace di interpellarci
e di gettare nuova luce su domande insieme storiche e sovrastoriche.
E ora, chiudendo il cerchio, torno a
Nazario Pardini e al libro a lui dedicato da Romboli, L’azzardo e l’amore, pubblicato nel 2018, da cui era tratta la
citazione da cui sono partito. Come in Sanminiatelli, anche in Pardini Romboli
rileva la “tensione problematica” natura-civiltà… due momenti da sempre
compresenti nella lunga e travagliata vicenda dell’uomo”. Ma diversamente da
Sanminiatelli, in Pardini il polo della civiltà si fa, nel corso della sua
ampia produzione poetica, via via più positivo (senza mai perdere, però, la sua
problematicità), con due connotazioni: da una parte il vitalismo naturistico
assume una “declinazione ecologista”, dall’altra si fa più intensa la
riflessione storica, fino all’aperto “elogio delle libertà democratiche”.
Romboli mostra che la tensione a livello ideologico è riscontrabile anche a
quello formale. Infatti la soggettività vitalistica del poeta viene
disciplinata dall’ars, nella ricerca di un equilibrio classico, oggi, rimarca
Romboli, sempre più perseguito, dopo la stagione romantica e novecentesca,
tutta tesa a valorizzare l’immediatezza soggettiva, fuori da ogni schema. Nell’analisi
delle liriche di Pardini, viene in piena luce un aspetto dell’indagine di
Romboli che ho più volte richiamato: il radicamento nei testi, il fondare le
argomentazioni partendo sempre dall’accurato accertamento delle specificità
stilistiche e antropologiche delle opere studiate. Così la poesia di Pardini
viene sviscerata fin nei minimi particolari, non per un vacuo gusto analitico,
ma per la consapevolezza che in poesia ogni particolare rivela il tutto. Un
tutto, quello di Pardini, nutrito dagli apporti più vitali della letteratura
europea, specialmente francese (Baudealire in primis), e nel quale Romboli nota
echi di Schopenhauer, Nietzsche, Heidegger, cioè pensatori capitali della
modernità. Anche nel caso di Pardini, il poeta è dunque uomo integrale, che parla agli
uomini, testimone di valori.
Vorrei concludere il mio intervento
rilevando che dai libri di Romboli – studioso di raro rigore e armato dei più raffinati strumenti critici – da
questi libri, dicevo, si ricava anche una preziosa lezione
di saggezza. Come abbiamo visto, gli scrittori di cui si è parlato (ma il
discorso vale per l’uomo in generale) appaiono travagliati da spinte opposte
che rischiano di disgregarne l’unità psichica e morale. A me sembra che per
Romboli la ricerca di un sempre precario ma indispensabile equilibrio sia uno
dei compiti fondamentali dell’essere umano, e che lì si giochi la possibilità
di una vita all’altezza della nostra dignità. Diversamente da quanto
affermavano i cosiddetti “maestri del sospetto” (Marx, Nietzsche, Freud), per
Romboli, la norma morale, che cerca di disciplinare e sublimare le pulsioni
irrazionali, non è affatto una sovrastruttura, ma, kantianamente, la sostanza stessa dell’essere. Ecco dunque
che l’opera di uno studioso va ben al di là del suo interesse specifico e
diventa strumento di arricchimento umano, per un nuovo e urgente umanesimo. E
forse a questo arduo e grandioso compito è chiamata oggi la letteratura: la
letteratura in quanto valore.
Nessun commento:
Posta un commento