In
libreria la monografia di TOMMASO CEVESE dal titolo SCIE con
prefazione di Nazario Pardini. Un volume che racchiude, come uno scrigno,
una scelta delle migliori fotografie d’autore
di Cevese abbinate a sue liriche.
Dalla prefazione
di Nazario Pardini“...
Nel limite si specchia / la storia d’ogni uomo / tradisce il corpo e
invecchia...” (Ascolta). È partendo
da questi versi di plurale significanza che possiamo agilmente immergersi nello
spartito musicale di Tommaso Cevese.
Sì, parlerei proprio di spartito musicale, dacché il poeta affida le sue
vertigini ontologiche a versi che con il loro procedere sembrano con-
cretizzare le emozioni, affidandosi a note di strumenti a corda o a fiato; a
romanze o sonate di Mozart, o di Chopin, come lo studio op.10 n.3, noto come
Tristezza, o il Notturno in fa maggiore. Versi
brevi, sempre controllati
da un animo che rifiuta stesure di prosastica positura, ma che si affida più agevolmente ad accessori di stampo settenario, ipotrofico, impreziositi
da assonanze, rime, e sinestetici allunghi.
C’è la vita, se ne incontrano immagini di elastica icasticità, momenti di
pensiero e riflessione, abbrivi di gioia e di malinconia: memorie, realtà
contingente, onirici voli, ripiegamenti esistenziali, radici, affetti
familiari, spiritualità escatologica, condivisione di dolore cristiano: “Verrà un giorno e non sarà giorno / un tempo e non sarà tempo / una luce e non sarà luce
/ ove tutti scopriremo / un uomo giusto e buono. / Scelse una morte atroce
/ per salvarci dal male / quotidiano e antico / una morte di croce /…/ e dopo
l’ultimo respiro / sbiancò, come petalo di giglio.” (Petalo di giglio). Ma tutto finalizzato a concretezze figurative, dacché i testi sono accompagnati da immagini che ne valorizzano i significanti; tante configurazioni naturali che danno vita e icasticità
ecfrastica agli input emotivi, ai pensieri, e alle meditazioni. Il discorso
corre snello e agevole; semplice nella sua euritmica stesura, tanto che ci
riporta a memoria una poesia di nostrana tradizione; di classica impostazione
metrica, dove il calcolo della versificazione si tiene su misure apodittiche e di accattivante sonorità, e dove
il naturismo offre contributi visivi alle riflessioni: “Di contrada in contrada
/ fra boschi e sentieri / che mi han visto bambino / si fan strada ricordi
di vita / l’infanzia
remota...” (Filo della vita). Come
non mancano rimpianti di un mondo scomparso dove valori e semplicità
costituivano il cuore della civiltà con-
tadina: “S’apriva un tempo / allo stupore di un bambino / un orto ricco / di
colori e di profumo. / Oltre la siepe di ligustro / e due castagni secolari /
alla fine di un giardino
/ scie di fiori variopinti / e verdura di stagione. / Ombreggiava un fico / il
lavatoio, ove i panni / si pulivano con cura...” (Il parco antico). Altra natura, altre persone. La
riflessione sul ‘tempus fugit’ si manifesta come un leitmotiv, come un sottofondo filosofico, tanto da porsi come elemento connettivo nell’insieme della silloge.
È questo stato d’animo a rendere umano e oggettivo lo stilema del canto. D’altronde è lì, in quei pensieri che
l’uomo rivela tutta la sua impotenza di fronte al tutto; che rivela quanto sia
caduco e fragile di fronte al pensiero dell’eterno. Disagi che sono avvertiti
in questi versi, come è normale
che sia; è proprio di fronte all’idea
della morte e del sempre che l’uomo misura la sua esilità,
anche se il Nostro riesce a fare della realtà
un piedistallo da cui partire
verso l’altezza del Cielo; verso l’eternità
che è in noi: “Se davvero eterno è l’ente / l’io sarà con noi per sempre / né
cadrà nel gorgo dell’oblio / nel nulla che cancella. /…/ La vita d’ogni uomo / è parabola
che ascende / nei gradi
di coscienza / all’Uno che si svela…” (Eternità). Silloge, quindi, plurale, proteiforme, umanamente polisemica, dove i patemi esistenziali trovano terreno fertile in una verbalità
disponibile a farsi contenitore di tanto sentire,
ricorrendo, spesso, a madre
Natura: “Vaga lo sguardo / sul
morbido colle / che alto s’eleva / sopra la valle. / Si posa sul fiore / dai
petali a stella / su ali di farfalla / che pare mi segua / con fare di festa...” (Incontri). È in questi momenti che il canto si fa liricamente più
scorrevole; musicalmente più morbido e piacevole.
TOMMASO
CEVESE, SCIE, immagini e poesie, prefazione
di NAZARIO PARDINI, GUIDO
MIANO EDITORE, pagg. 167, con riproduzioni a colori, Euro 20, Dicembre 2019.
GUIDO MIANO EDITORE – UFFICIO STAMPA - VIA EMANUELE FILIBERTO 12 -
20149 MILANO - 023451804 - 023451806 - mail:
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