martedì 1 marzo 2016

GIUSY FRISINA: "DOVE FINISCE L'AMORE E IL CANTO DEL DESIDERIO"


 
Giusy Frisina collaboratrice di Lèucade







Giusy Frisina: Dove finisce l’amore

Un viaggio verso infiniti di purezza e di tensione orfica


Dove finisce l’amore

Chissà dove finisce l’amore
quando sembra impigliarsi
sull’orlo di una nuvola di passaggio.
E invece scivola via
al di là delle nuvole
proprio Là
dove le cose
non sono più cose.
Ho ricercato invano sulla Luna
la mia follia capovolta
che dicono sia saggezza.
Poi mi sono fermata
sul ciglio della ferrovia
ad aspettare un treno
che mi prendesse
e mi portasse lontano.
Chissà perché si dice
“prendere il treno”
se è sempre il treno che ci prende
e ci porta via.
Come l’amore quando ritorna
uscendo dalla galleria.

È partendo da questa poesia eponima che si giunge a penetrare, fin da subito, nella intensità epigrammatica del “Poema” di Giusy Frisina. Una poesia libera, apodittica,  dove si alternano misure brevi ad altre più ampie, per disegnare un iter sentimentale fatto di giochi intimistici: dolore, speranza, delusione, melanconia, sogno, meditazione, assenza-presenza. Assenza foriera di  immagini calde e sensuali; vere e vicine; feconde e reali; reali da confondersi coi riflessi dell’alba o con i chiarori delle lune. Tutti indici vicissitudinali che fanno dell’amore il sale e il pepe dell’esser-ci. Fino a cercare sulla Luna la saggezza, una follia capovolta; attendere un treno per vaghe lontananze, indefinite stazioni; un treno che ci prende e ci porta via come l’amore che torna uscendo dal buio di una galleria; dove finisce l’amore?

Chissà dove finisce l’amore
quando sembra impigliarsi
sull’orlo di una nuvola di passaggio.

Amore, inquietudine, ricerca di un Sole vicino e lontano, irraggiungibile, che cambia nel tempo, che marca la vita:

E tu
Irraggiungibile Sole
Eri già un altro
Eppure sempre tu
Più irraggiungibile ancora
Da non poterti più
Ritrovare.

Un canzoniere erotico

di grande coinvolgimento passionale; di grande portata emotiva che, attraverso strade tortuose, morbide e dolenti, si concretizza in una versificazione chiara, fluente, e articolata. In canti di arrivante ed euritmica musicalità, che, spesso, contrastando, ossimoricamente, col cuore di un triste sentire, si slarga in afflati di vita in cui Giusy Frisina vaga in sperdimenti di intima pluralità; in voli che rendono oggettivo, verticale e trasversale il suo pathos. Un viaggio verso infiniti di purezza, di tensione orfica, volti a sottrarre la bellezza agli annichilenti artigli del tempo. È umano traslare la nostra miopia oltre le carenze del nostro vivere, oltre le demarcazioni che fanno degli orizzonti Colonne d’Ercole da superare. Ed è umano fare di questo sentimento una polivalente valenza di spiritualità che abbraccia ogni lato della vita. E la Nostra trasferisce una vicenda umana in poesia; in una avventura di largo e intenso respiro; in pièces che incalzano il lettore, e una dopo l’altra lo invitano ad una lettura partecipativa, dove Eros diviene luce, si fa spazio attraverso ombre e penombre, porto, anche, che forse non c’è, non esiste o esiste solo nella nostra fecondità emotiva in simboli, cromie, o miti, che, con la loro  identità figurativa, con la loro accattivante e sfumata simbologia, si fanno vicini, accostando le nostre meditazioni in fuga verso volti persisi nel tempo; in fuga da mondi di ristrettezze e sottrazioni in cui è facile abbandonarsi a un odeporico intento verso lidi di difficile portata; ad una navigazione in mari di vastità smisurate per fuscelli alla ricerca di un approdo di azzurro e di libertà; dacché amore non significa solo e soltanto fatto erotico, ma voce polisemica, sentimento dei sentimenti, che abbraccia con la sua vasta significanza tutte le aspirazioni umane, quelle che tendono ad  oltrepassare la siepe che delimita i nostri orizzonti. E quale metafora più vicina? 

Quale più consona al vivere che l’estensione del mare? Quell’immensità che, illuminata da un faro di ristretta portata, lascia ai nostri occhi spazi neri, densi di misteri che condizionano la nostra coscienza. È da lì che nascono quei dubbi, quei perché di difficile soluzione. Alfredo Panzini definì i Poeti “simili al faro del mare”. Esseri che guardano lontano con in cuore la voglia di carpirle quelle lontananze per farsi tutt’uno con il creato; per completare la loro dualità in una unicità spirituale e compatta; dacché:  

È questo amore che ora prende
Ora abbandona
Il mio piccolo walzer tragico
Che il gatto nero della notte
Imbroglia e sbroglia
In un gomitolo di pensieri vani.        

In un gomitolo di riflessioni e congetture che si fanno vane in base ai nostri esistenziali walzer di fughe e ritorni;  di tragiche vicissitudini; di scottanti privazioni dove la solitudine, ed il dolore la fanno da padroni in tempeste di devastante tormento:

A volte arriva improvvisa
Con una tempesta di spilli
Dallo scrosciante silenzio
Traboccato dalle vasche del cielo
Fino a che martellante non si ferma
Sulle tempie nude di un pensiero
A fare stracci di sogni
E stampelle di solitudine
Con i resti vandalici
Di un devastante tormento…

Un’analisi ontologica di polimorfica intrusione umana e disumana; dove l’Autrice scava nella profondità del suo essere con impietosa perlustrazione psicologica, agguantandosi anche alle speranze, a promesse fatte alle stelle:

Ma ho fatto una promessa alle stelle
e ne verrò fuori
anche se non so come
dovendo scavare un tunnel
interminabile
attraverso la mia luna ingrata
e d’argento ribelle.

Dove finisce l’amore; sì, questo il titolo. E l’amore finisce quando il cielo trabocca luci di tempi passati. Quando tutto si fa immagine riposante, quietata da onirici ritorni che si traducono in poesia, in canto che dice di vita, di piacevole rivisitazione, anche; di volti sfumati dal tempo che tornano con arie lisciate da musiche nostre; è lì che finisce ed inizia l’eccelso vagare in rivoli, che vanno oltre il mortale conflitto tra Eros e assenza, dove

c’è un sentiero che giunge al mare
Giù per il varco della meraviglia,

di un lui, alter ego di un essere alla ricerca di sé:

E so che non posso perderti per strada
E so che senza te potrei impazzire…
Dovrò mandarti a casa i carabinieri
Se una volta per caso non rispondi.

Perché la Nostra sa, sente il suo amore; la sua forza devastatrice; la sua dolce e potente contaminazione. Sa che il tempo fugge, che il suo sentimento è umano e disumano e va oltre la caducità  del presente:

Io ti amerò per sempre
così è scritto su ogni pagina del romanzo
scavato nella tua corteccia.

Forse è nel sogno, nei momenti di onirico splendore, per lungomari chiazzati di luna, profumati di un volto; di frammenti di luce accesi a intermittenza nella notte, che la Nostra riesce a completare la sua navigazione; a trovare quel porto tanto agognato dopo tempeste e brume che interrompono la rotta. Sempre in un sogno; dacché il sogno fa parte della vita, ne è componente imprescindibile ed è ad esso che ci affidiamo quando vogliamo cullarci in alcove tessute di viaggi verso l’ignoto:  

Ho passeggiato con te
dopo un’estate esausta
sul lungomare di un sogno.
Perduta ancora una volta
in uno di quei frammenti di luce
accesi a intermittenza dalla notte.
Nel tempo vacillante
lo spazio si liberava
galleggiando sulle onde
di un interminabile romanzo.
E d’un tratto mi sono accorta
che le nostre ombre vivevano
di vita propria
mentre ci precedevano leggere
belle della loro altezza.
Erano le ombre della nostra luce
che da sempre scivola lungo il mare.
Erano le nostre anime di confine
inafferrabili presenze di passaggio
che proseguono il loro viaggio
verso l’Ignoto.


Nazario Pardini




Poesia che con voce chiara e ammiccante riesce a tradurre un sottofondo di spiritualità umanistico-classicheggiante in misure di moderna sonorità. Una sinfonia che lega tra loro nèssi allusivi di impatto emotivo. Fughe verso mari che respirano arie di mistero e di incontri mancati. Desideri di àmbiti rigeneranti, di onirica Bellezza.Contaminante dire poetico che con slanci di euritmica fattura riporta acque di un Egeo zeppo di miti a scorrere in argini di sapida novità verbale.
       E c’è la vita in questi versi con tutti i suoi sogni, con tutte le sue sottrazioni, con tutti i suoi voli, pindarici voli verso mète che oltrepassano il confine del nostro esistere verso l’ “Incantesimo  sul mar Egeo/ Di fronte all’austero Peloponneso”. E tutto si fa ritratto di un’anima volta a raffigurarsi in quadri di classica memoria rivisitati da un verso fresco e sinfonicamente attuale: spiagge, calette, scogli, ciottoli variegati dai colori antichi,  il mare sempre diverso e sempre uguale, incontri impossibili per tempi che ci rendono diseguali. Un fremito di vento antico in un’anima che si rigenera in docili misure trasparenti come mari di greca memoria.

Aggiungo un’altra significativa poesia di Giusy Frisina a conferma della sua agilità ispirativa nel tradurre il mito in un canto di cristallina resa poetica (Il cuore di Hydra).  Sta qui la grandezza della poesia: nel fare del repêchage di miti e mitologie un’attualizzazione delle vicende umane. Un’elevazione all’universale.
Ben intonata, fra l’altro, al tema del blog: Lèucade.
E non me ne voglia la poetessa se, invogliato dalla freschezza del suo poièin, inserisco nella sua pagina un mio poemetto sulla mitica isola, un poemetto pubblicato in Alla volta di Lèucade.


Il cuore di Hydra

di Giusy Frisina

Potrei approdare su Lèucade
Dove la vinta poetessa
Si slanciò sulle acque
Dall’alta rupe
Per ritrovarsi immortale_
Ma il mio destino è più lento
E imprevedibile
Al punto da stancare
perfino il tempo che resta _
E l’isola giusta si cerca
Con ogni cura
Nelle nude spirali
Della sezione aurea
Di una sola conchiglia
Appena  immaginata
Nel cuore chiaro di Hydra.



Traduzione in inglese

The heart of Hydra


I could come at Léucade
Where the defeated poetess
Ran on the waters
From the high  cliff
Recovering the immortality  _
But my destiny is long and
Unpredictable  
So to get bored
The remained time _
And the right island is looked for
With every care
In the bare spirals of
A golden section  of
An alone shell
Just now imagined
In the clear heart of Hydra.




Fuga da settembre

di Nazario Pardini

E furono le le Eumenidi a portarmi
dove non vi è stagione. Ventilava
zefiro eterno l’isola di Lèucade                     
eternamente dolce di lavanda e di timo.
“Dallo scoglio”
mi dissero “Ove siedi ad osservare
gli ampi spazi del mare ricamato
da sciami di gabbiani, si gettavano
gli sfortunati umani per disperdere
reminiscenze estreme. Ed anche Venere
restò meravigliata nel sentirsi
serena dopo il volo.
Gli infelici in amore a  Lèucade accorrevano                       
dai più lontani luoghi. Preparavano
con offerte ad Apollo
la loro prova. Ed erano sicuri
coll’aiuto del dio di sopravvivere
all’eccelsa caduta. Proprio qui
ove tu siedi stette il piede tenero
dell’infelice Saffo che Faone
abbandonò. Nel cielo di quest’isola,
lucido ed armonioso, riscontrava
solo dolore; andava su altre sponde
ove il mare violento tormentava
gli scogli dissestati per rivivere
il suo triste destino. Dalla cima
della dimenticanza, si gettò
in quest’onde fatali. Ed Artemisia
regina della Caria ed altre ancora
raggiunsero la meta, ma scambiando
la vita con la morte.” “Mi sovviene
il mio settembre tanto logorante
nei palpiti di umana inconsistenza,
nei flebili lamenti di esistenza,
nei pallidi scolori di tristezza
di un borbottio leggero di rumori
quasi alla fine. Ma non so se vale
di più restare immoti nella stasi
di un eterno sereno che provare
il dolce senso del dolore umano.”
“Proprio il poeta, diciamo di Nicostrato,
gettandosi dall’alto della rupe,
non lasciò col patire
il respiro di vita. Forse il dio
volle che poesia perpetrasse
dall’anima pacata, dopo il salto,
il suo divino suono”.  Ed io fuggii                
scabro settembre, mese addolorato,  
dal sangue che si sperde in ogni dove
dell’ultimo respiro della vita.
Io ti lasciai e un salto nelle oniriche
acque di Lèucade non mi concesse
morte né oblio, ma solo la ricchezza
d’immagini feconde rivissute
da un’anima al di sopra delle povere
storie del giorno. E ti rivissi, vita,     
con un sentire lieve e tanto amato
che in ogni fatto lieto o meno lieto,
ma scampato, vidi un superbo dono.




 Viaggio in Grecia

di Giusy Frisina

Atena Nike
Faro dell’intelligenza
E del coraggio guerriero
Regina di bronzo puro
Vegliami nella notte
Con la silenziosa civetta
Ed un ramo d’olivo
Occhio che guarda nel buio
E che non teme di accecarsi
Messaggera di pace
Tu che prepari la difesa
Di una città orgogliosa
Tu che non potrai mai vincere
Senza che Poseidone  ti sconvolga
Con il tridente d’oro
Ed una scia di pesci
Di rame e d’alabastro

Da “Il canto del desiderio”(Edarc 2013)


Traduzione in inglese


Journey  in  Greece

Atena Nike
Lighthouse of intelligence
And fighting courage
Queen of pure bronze
Take care of me over the night
Whit the silent owl
And with an olive’s branch
Eye looking in the dark
And not fearing
To blind itself
Bringing  of peace
You that  prepare  to defend 
A proud city
You that cannot win
Without Poseidon’s
Shocking strike
By a gold trident
And a swarm of copper
and alabaster fish


Hydra

di Giusy Frisina

Incantesimo  sul mar Egeo
Di fronte all’austero Peloponneso.
Qui  ti cerco senza cercarti
Tra spiagge e calette
Insolite e familiari
Di scogli e ciottoli
Variegati dai colori antichi.
E  il mare
Sempre diverso e sempre uguale
Racconta l’incontro mai avvenuto
E che mai potrà avvenire
Di due stranieri della Terra
Che in tempi diversi
Si cercano senza saperlo
Eternamente specchiati
 Nella trasparenza di un’acqua
Che sempre li rimpiange
E sorride

Da “Il canto del desiderio” (Edarc 2013)

Copertina realizzata con disegni dell'Autrice


Traduzione in inglese

Hydra

Charm on Aegean sea
In front of the  Peloponnesians austerity
I am looking and not looking for you
Among  unusual and known
 Rock  and cobble  beaches
In  the wonder of ancient colours
And the sea
 Always  different  always same
Tells the merge never been
And   that never will be
Of  two  earth foreigners
Who  in different  times 
Looks   for each other
Without  knowing it
Eternally reflected
In  the  water transparency
Forever regretting them
And  smiles        



 Canzone dell’amore  immaginario


Non  riesco a non pensare
Alla luna Biancaneve
E alle tue mani leggere
che scivolano come torrenti
Sulle corde di una chitarra
Più scura della notte
Che   la  musica rischiara
In gara  con la   dolce luna
E a quegli occhi sussurranti
E  un po’ allarmati
Ora socchiusi come fessure
Da  cui passa la luce
Ora  spalancati sul Nulla
E  sul Tutto

Mi dispiace dirtelo
Oramai  sei per sempre
Nell’immagine interna di ogni uomo cercato
Nel sogno musicale mai inventato
Nel tempo sospeso di  un cielo
senza deserto di tristezza
dopo la pioggia battente della sera

Ora  che il tempo ha già  iniziato
Il suo lavoro di allontanamento
Da quando avevo quindici anni
Da  un incontro non incontro
Che  resta  per sempre l’Incontro
Se riuscirò a salvare
 la  tua rischiosa immagine  artificiale
Non potrò più rimanere immersa
Nell’incredibile battito
Ma potrò  sempre camminare
Sui tuoi sentieri di luna
E sorridere negli angoli del mezzogiorno

Mi dispiace dirtelo
Ma ormai sei per sempre
Nell’immagine interna di ogni uomo cercato
Nel sogno musicale mai  inventato
E nel  desiderio più  lieve
Che porta luce in questo vuoto
Con il suo volo settembrino
  
Perdonami se non ti inseguo
So che non servirebbe
Ma penserò a te  comunque
come a un’onda improvvisa
O a un vento caldo di fine estate
O a una rara  cometa
Che attraversa rapida
Come   una  meteora nel buio
Il   volto fatuo di un sogno
O  di una notte insolita
Appena raccontata
A  chi vuole ancora ascoltare
O forse  soltanto  immaginata
Nei giorni solitari
Strana  certezza  che resta

Ora posso dirtelo
Oramai  sei per sempre
Nell’immagine interna di ogni uomo cercato
Nel sogno musicale mai  inventato
E nella  speranza  bambina
Raggio  interiore ricevuto in dono
Senza  alcun merito



Luce vulcanica

Sotto il vulcano tu cerchi – quasi cieco
Immerso nel tuo mare di nebbia
Trasformato  in nube
Abbagliante 
Il  piccolo fuoco che ti ha generato
E  sommerso nella notte
Nell‘esplodere  di un sole
Sotterraneo  e immortale
Come  ogni divinità infera
Che  nel suo cerchio nero contiene
Il   riscatto eclissato
Di  una moneta nascosta
Dissolta  nella luce
Di un immagine corporea
Dall’ espressione perfetta
Che  talvolta la tua mente
Ha potuto  toccare




Giusy Frisina è nata in Magna Grecia.  Si  è laureata in Filosofia all’Università di Messina ed ha successivamente conseguito una specializzazione in Psicologia  presso l’Università di Siena. Abita a Firenze e  insegna Filosofia al Liceo Classico Galileo. Ha scritto vari articoli e racconti per la rivista online Domani Arcoiris TV diretta da Maurizio Chierici.  Diverse sue poesie sono state selezionate e pubblicate su antologie come Poesie del nuovo millennio, Habere Artem  e Parole in fuga, a cura di Aletti editore. L’amore per la poesia e la musica di  Leonard Cohen hanno dato origine alla raccolta bilingue Il canto del desiderio(Edarc, 2013). Un’altra sua raccolta, già segnalata al Premio Letterario Ibiskos 2012, è  stata recentemente pubblicata col titolo  di Onde interne (ilmiolibro, 2013). Di prossima uscita la sua ultima silloge dal titolo Dove finisce l'amore, a cura di Teseo editore .

3 commenti:

  1. Dopo la magnifica esegesi del Professor Pardini è davvero difficile provare a commentare l'Opera di Giusy Frisina, che rappresenta un'attrazione irresistibile con la sua capacità di coniugare la terra che le ha dato i natali, la saudade e gli aspetti filosofici, che immancabilmente si sposano con il lirismo di questo genere.... "Il canto del desiderio" sembra essere un richiamo al mare, eterno scrigno di infiniti misteri, Nazario lega a i Poeti, citando Alfredo Panzini, che li definì “simili al faro del mare”... Attrazione irresistibile per una come me, non più poeta, ma convinta che le origini dei versi siano tra le onde: "uomo libero, amerai sempre il mare/ il mare è il tuo specchio/ contempli la tua anima nello svolgersi infinito della sua onda" C. Baudelaire. E la nostra Autrice ha origini greche... viene dal mare, è mare, come la sua Hydra, che ho avuto la fortuna di visitare, e che è isola azzurra, tesa al cielo e ricca di
    "... spiagge e calette
    Insolite e familiari
    Di scogli e ciottoli
    Variegati dai colori antichi".
    Un mondo di ricami, botteghe, bar dai parquet antichi, di luci che sembrano assorbire i colori del mare e di uomini dolci che ripetono con calore che gli italiani e i greci sono 'stessa razza stesso sangue'... Le origini di Giusy, come sottolinea nella lunga disamina Nazario, sono legate alla storia del lirismo, hanno malinconiche nostalgie, desideri arditi, eppure sempre sublimati, musicalità e calore.In qualche punto i suoi riferimenti orfici lasciano viaggiare con la fantasia verso i miti a noi cari e anche verso il surrealismo di Jorge de Lima in Invencao de Orfeu... L'autrice unisce nei suoi versi una disintegrazione della forma, sempre rintuzzata da una melodia che elimina asprezze di ritmo e di sintassi a favore di una musicalità ampia e fluida... Leggerla, aiutati dalla poderosa recensione del Professore, è sentirsi proiettati in nuova, arricchente dimensione. La ringrazio di cuore e la stringo forte!
    Maria Rizzi

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  2. Si può dire solo poco, poiché ci si ammutolisce per l'emozione dopo così tanta bellezza di versi e l'esposizione del Professore Pardini!!!
    Versi armoniosamente vivi che vengono offerti su di un piatto aureo -
    Non ho che ringraziare di questa opportunità meravigliosa che mi ha arricchito -
    Grazie al Professor Nazario Pardini.
    Grazie a Giusy! Un cordialissimo saluto.
    Grazia

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  3. Ringrazio le amiche che colgono così bene con.la loro sintonia artistica e mediterranea le onde dei messaggi che mi arrivano dalla luce e dal mare! Un caro abbraccio mentre sto partendo per un altro lido del Mare Nostrum!

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