lunedì 4 maggio 2020

ANNA VINCITORIO: "IL NONNO E LA BAMBINA" RACCONTO


IL NONNO E LA BAMBINA

Anna Vincitorio,
collaboratrice di Lèucade



All’improvviso l’immagine di una bambina. È vicina alla gabbia dei conigli in una grande terrazza. Ogni tanto ne prende qualcuno dei più piccoli e lo stringe tra le mani; lo accarezza. È un po’ il suo baloccarsi di bambina sola. Silenzio intorno. Dovrebbe a poco venire il suo nonno, compagno di giochi. Si affaccia alla finestra e lo vede spuntare. Piccolo, con pochi capelli e grossi baffi ancora un po’ rossicci. Lo saluta di lontano con la mano e il sorriso prende l’intero viso. Si rintanano in una stanza per giocare. “Nonno, tu eri ingegnere vero? Me la fai una casina? La vorrei per le mie bambole”. Gli occhi azzurri sorridono alla bambina. Inizia a disegnare su un grande foglio una casa; poi ritaglia le porte e le finestre. La casa c’è; ora ci vuole la fantasia per animarla. Il contatto e la visione scompaiono. Fuga nel tempo di ricordi. Lo scoppio del carro a Firenze e lei che grida: “Andiamo via, c’è di nuovo la guerra”. Scappa serrando la mano del nonno e non aspetta l’arrivo della colombina.
Era una particolare simbiosi quella che li legava. Una bimba di nove anni
e un nonno di novanta. Gli fu preparata una grande festa al Forte dei Marmi; profumo di mare, di legno delle grandi cabine, quasi casette dove rifugiarsi nelle ore più calde. Tutto ha una fine. Il nonno Antonio muore a novantadue anni. Per la bambina, la scoperta della morte: un bacio sulla fronte del nonno e quel senso tragico di gelo sulla pelle indurita. Da allora ricercherà sempre una lampada nel buio della stanza e nella notte, nel dormiveglia, assaporerà tutti i ricordi legati a quel tenero amore. Gli anni ricchi di eventi, passioni, abbandoni, riempiono la sua vita. Rimpiange l’infanzia ormai lontana, reprimendo i singhiozzi per un amore finito. Una voce lontana chilometri che vorresti accanto, una voce che ti martella dentro ma che non udrai più. Ma è la volontà dell’uomo spesso e non la morte a privarti di una presenza. La vita però è attraversata da spazi aperti: apprezzi il fulgore dorato del grano sui campi prima della mietitura, e una fuga di nuvole in un cielo che si confonde con l’azzurro avvolgente di mari diversi ma sempre percossi da spume boccheggianti. C’è ugualmente solitudine ma è una solitudine amica. C’è intorno a te una moltitudine di attimi, ora belli, ora tristi. Ti accorgi del passerotto che beccheggia qualche briciola tra le auto in sosta e i luoghi esotici, puoi immaginarli a te vicini, vedendo la domenica pomeriggio Kilimangiaro. La vita è tante cose. Basta saper guardare e ascoltare. Confortare con la parola chi ha meno di te. Scrivere su un foglio le emozioni provate e dirsi: “Sono sola ma ho…” e soffermarsi sul frusciare del vento tra gli alberi, oppure la corsa del fiume nel suo fluire fino a quella piccola cascata tra le pietre. Punto di arrivo di una passeggiata e la sosta di qualche attimo davanti ad un altarino con una madonna sbiadita, qualche fiore secco e il ricordo di un nome.
Quanti una volta erano e più non sono; quanti ancora varcheranno la
soglia misteriosa dell’oltre. Sono ormai tanti i giorni sempre eguali ma diversi nel susseguirsi di notizie angoscianti. Siamo tutti preda di un nemico senza volto, non possiamo percepirne il contatto ma siamo tutti vittime potenziali e propagatori di questo male ignoto che uccide. Paura, rabbia, impotenza, ma anche attenta consapevolezza perché non c’è distinzioni di classi sociali e di etnia. Nell’ora del terrore con qualche ritardo, il pensiero si volge all’epidemia di tubercolosi e di malaria con milioni di vittime: erano soltanto bambini che non potranno più crescere nella carezza del sole. Andare col pensiero alle guerre in Iraq, Afghanistan, alla enorme povertà dell’India ma con distacco, come davanti alla proiezione di un film impegnato in una comoda sala cinematografica. Opprimente la costrizione che limita le sacrosante libertà dell’uomo ma, almeno, molti di noi sono in case riscaldate con televisione, musica e cibo. I meno anziani non hanno vissuto la guerra ma forse adesso ascolteranno con maggior attenzione i racconti dei nonni allora bambini, terrorizzati dai topi nei rifugi, enormi nella loro memoria e dai proiettili traccianti che attraversavano le case. Donne eroiche che per salvare i loro uomini in casa per sfuggire al nemico, trainavano pesanti carretti con sopra damigiane di acqua. Quella bambina che giocava col nonno, credeva, vedendo la mamma con le ginocchia piagate, che – i grandi – non sentissero male. Solo i bambini. Beata sprovveduta innocenza!
Adesso non ci sono bombe ma squillano le sirene delle ambulanze
assieme al suono delle campane. Piazze immense deserte nel loro splendore; penombre che anticipano un numero indefinito di morti. C’è un risveglio di sensibilità; ora lo sguardo avvolge con tenerezza quelle teste bianche per strada che avanzano con passo insicuro e il carrello della spesa. Qualcuno ripenserà a qualche mese avanti quando il nonno era definito un rompipalle che ripeteva vecchi fatti. Qualche altro, invece, con occhi umidi è consapevole che quel nonno o nonna non c’è più. Senza risposta il telefono e al letto saranno levate le lenzuola. Resta però nell’uomo una speranza: nella pioggia di un venerdì, gocce come lacrime bagnavano la maestà di un Cristo antico (1622 – la peste di Roma –), e un uomo vestito di bianco, sfidava il vento e la pioggia in una lunga accorata preghiera di misericordia. Siamo con Te, Francesco e, forse, se avremo un po’ di fede, potremo accettare la solitudine e aspettare che si rinnovi la vita. È sera: le ombre calano attenuate dalle luci che brillano nelle case. È pur sempre vita in una dimensione diversa che potremo accettare se non si spegnerà in noi la speranza.

 Firenze, 29 marzo 2020
 Anna Vincitorio

2 commenti:

  1. Superbo racconto, questo di Anna Vincitorio. Si parte dalle dolcissime fantasie di una bimba, assecondate da un nonno novantenne la cui dipartita lascia nella fanciulla un vuoto apparentemente incolmabile. Perché "apparentemente"? perché, dice la scrittrice, "è la volontà dell'uomo spesso e non la morte a privarti di una presenza". E a questo punto la riflessione si amplia, giungendo all'oggi, al coronavirus in particolare, ma anche alle guerre, alle povertà e alle tante altre aberrazioni purtroppo esistenti nel mondo. Oggi come sempre, con la differenza tuttavia che la soglia del dolore sembra oramai essersi abbassata vertiginosamente, fino a rasentare lo zero. Molto bella la chiusa, che insiste sull'enorme importanza della fede: "forse, se avremo un po' di fede, potremo accettare la solitudine e aspettare che si rinnovi la vita". Riflessione che faccio mia nel profondo, pur non essendo io un religioso.
    Franco Campegiani

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  2. Intenso, ispiratissimo e ricco di pathos il racconto chiaramente autobiografico di Anna Vincitorio, che con abilità da scrittrice autentica compie un salto acrobatico tra il passato e il presente e, funambola delle parole, consente al lettore di proiettarsi nel fascino della sua infanzia con il nonno; negli anni della guerra; nel tempo dell'età matura diviso tra gioie e dolori; e nell'attuale, insospettabile fermo - vita causato dalla pandemia. Il testo della nostra Amica si potrebbe dire che è strutturato come un romanzo breve. Raccoglie le stagioni della vita e le semina colorandole con il sapore delle emozioni, i profumi e il canto della natura, il suono assordante del silenzio e della solitudine. Un racconto concepito e scritto con i cinque sensi e con nerbo narrativo di rara incisività. Il fuoco creativo dell'Autrice è alimentato dalle sofferenze, forse rappresentano un atto catartico. Sono ammirata da tanta capacità di 'essere' letteratura senza ricorrere a virtuosismi stilistici, con semplicità e purezza.
    Grazie di cuore, Anna e un abbraccio.

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