mercoledì 24 luglio 2019

NAZARIO: "IL PORTICCIOLO. SOSTE DI VIAGGIO". DALL'INDIA A LAMPEDUSA DI E. CECERE





Ester Cecere. Dall’India a Lampedusa. Soste di viaggio. Racconti. Wip Edizioni. Bari. 2019

Ester Cecere,
collaboratrice di Lèucade
Scrivere sulla prosa o sulla poesia di Ester Cecere non è semplice. O meglio lo è se si tenta di fare una distinzione. Il fatto sta che la sua anima è sempre sul campo di battaglia, lì, attanagliata; non molla la preda: fa suo ogni angolo di cielo o ogni frammento di luce od ogni palpito di natura. Poi dopo una lunga decantazione rinnova il materiale che, generoso e disponibile, collabora per essere tradotto in canto o in narrazione. Perché difficile per un critico? Perché in lei tutto si fa poetico, tutto immensamente vasto e ontologico. Per cui la sua prosa si confonde spesso con la sua poesia. Ciò che le separa, naturalmente, è la diversità dell’aspetto scritturale. La poesia è il frutto di una sintesi di tutto ciò che di umano e oltre pizzica l’Autrice. La prosa è ampia, larga, più vasta, atta a contenere le vertiginose scosse emotive che ha maturato nei suoi continui viaggi. Sì, perché è importante; Ester viaggia dal nord al sud, nei paesi più impensabili, e tutti le offrono gli spunti necessari a riempire la saccoccia a cui attingere. Ed è così che la prosa si fa fluente, armoniosa, simpatica; io la direi prosa poetica, tanto scivola via come un ruscello chiaro verso il mare. Tanta realtà, tanto sociale, tanta immissione emotiva, e tanta capacità di osservazione. E la sua è un’osservazione mirata, voluta, calcolata dacché sa che da essa dipenderà l’esito delle sue opere. Ma tutto è reale, autobiografico, strettamente simbolico; i personaggi in questione sono veri, dacché la scrittrice non si avventura mai in voli fantasiosi; ha bisogno di toccare con mano, e si fanno avanti nomi che vivono e operano nel suo entourage. Ad esempio dell’India ha tenuto dentro folcrore, volti, paesaggi, abitudini, magagne sociali e bellezze esotiche. Tutto quel groviglio di fattori, tutto l’ensemble che ha giocato un ruolo determinante per la formazione di un libro dedicato proprio a quel popolo. Una perla, un gioiellino a cui resti aggrappato sino all’ultimo verso. Questo fa Ester: reifica immagini, sentimenti, impressioni raccattati durante i suoi viaggi; e di questi vive, di questi si nutre. Si potrebbe affermare, senza dubbi di smentita, che per lei prosa e poesia si inanellano in un gioco di grande respiro poematico: pochi sono coloro che riescono a fare della vita un‘opera d’arte, Ester ci riesce. Tutto è poesia, e là dove l’intervento di Calliope non è  sufficiente a definire l’immensità della sua vicenda, interviene la prosa, mantenendo i soliti battiti cardiaci, le solite scosse emotive, i soliti intenti epigrammatici. Si integrano, facendo della sua attività letteraria un crogiolo di input esistenziali, che, direttamente o simbolicamente, mettono a nudo la sua generosità contenutistica e formale. Quella stessa che salta fuori, con ampie inclusioni partecipative, dalla nuova pubblicazione data alle stampe per i caratteri di Wip Edizioni, di Bari.  La narrazione fluisce morbida e paratattica, senza perifrastiche addizioni o aggiunte epigoniche, tutto è franco e personale. Mi piace riportare un lacerto tratto dalla sua ultima intervista per Michele Bruccheri:   Dall’India a Lampedusa. Soste di viaggio” è la nuova opera letteraria della scrittrice pugliese Ester Cecere. Sono diciotto racconti brevi, ma intensi e coinvolgenti. Sono storie, parole, ma soprattutto sono emozioni, sentimenti, frammenti di vita. Firma la prefazione Domenico Pisana. “Mi ha onorato di una prefazione profonda, erudita, puntuale, esaustiva - racconta a La Voce del Nisseno (versione online) -. Egli non ha solo recensito l’opera ma ha anche indagato nel mio animo, cercando i motivi che mi hanno spinto a scrivere questa raccolta e mettendo in evidenza il mio stato d’animo e le mie emozioni durante i viaggi, come il senso di disorientamento e interdizione, il mio immenso amore per gli animali, il desiderio di inculturazione nella realtà dei luoghi, sul quale non mi ero assolutamente soffermata…”. Nella sua nota introduttiva, l’acuta e sensibile autrice tarantina scrive: “Anni prima, Fernando Pessoa così mirabilmente aveva sintetizzato il pensiero di Antonio Tabucchi: ‘La Vita è ciò che facciamo di Essa. I Viaggi sono i Viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo ma ciò che siamo’”. Qui c’è il senso del suo viaggiare, alla ricerca di sé stessa e degli altri. E lo fa con determinazione, dolcezza, grande senso di umanità.
Ester Cecere, sessantenne di Taranto, è una ricercatrice presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Si occupa di biologia marina, è sposata e madre di due figli. Scrive libri importanti e interessanti, capaci di stimolare una profonda riflessione. Pubblicazioni che aiutano a crescere, libri che diventano carezza e sostegno morale…”. Diciotto racconti, appunto, che nascono  dai viaggi di una vita. E quella di Ester è folta, intensa, plurale volta ad un mondo còlto da un occhio che lo vorrebbe migliore ma che ne sa apprezzare gli angoli più nascosti, quelli facilmente tramutabili in narrazione poetica; in miraggio sociale; in ritratti alla cezanne, che non mirano a una mera rappresentazione della natura, ma ad afferrarne l’essenza. Questa la nuova pubblicazione della scrittrice che si snoda su un percorso narrativo sul filo del romanzo: dallo shock di Alessandra agli splendidi colori di Taj Mahal, dalla festa di Diwali ai tetti a forma di tronco di piramide, fino alle parole con cui il piccolo Emanuele si rivolgeva a colui che in realtà era il suo nonno. Una serie di vicende tenute insieme magistralmente dalle occhiate di Alessandra e Michele, e di altri personaggi vicini al mondo di Ester; tutti attenti osservatori e commentatori di paesaggi antropici  e naturali; di psicologiche riflessioni sulla vita reale.  Non vi resta che acquistare il libro; ne trarrete esperienze umane e culturali di grande valenza etica.  D’altronde il compito del critico è quello di introdurre e  non di svelare. A voi la lettura.

Nazario Pardini 

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