Ester
Cecere. Dall’India a Lampedusa. Soste di
viaggio. Racconti. Wip Edizioni. Bari. 2019
Ester Cecere, collaboratrice di Lèucade |
Scrivere sulla prosa o sulla
poesia di Ester Cecere non è semplice. O meglio lo è se si tenta di fare una
distinzione. Il fatto sta che la sua anima è sempre sul campo di battaglia, lì,
attanagliata; non molla la preda: fa suo ogni angolo di cielo o ogni frammento
di luce od ogni palpito di natura. Poi dopo una lunga decantazione rinnova il
materiale che, generoso e disponibile, collabora per essere tradotto in canto o
in narrazione. Perché difficile per un critico? Perché in lei tutto si fa
poetico, tutto immensamente vasto e ontologico. Per cui la sua prosa si
confonde spesso con la sua poesia. Ciò che le separa, naturalmente, è la
diversità dell’aspetto scritturale. La poesia è il frutto di una sintesi di
tutto ciò che di umano e oltre pizzica l’Autrice. La prosa è ampia, larga, più
vasta, atta a contenere le vertiginose scosse emotive che ha maturato nei suoi
continui viaggi. Sì, perché è importante; Ester viaggia dal nord al sud, nei
paesi più impensabili, e tutti le offrono gli spunti necessari a riempire la
saccoccia a cui attingere. Ed è così che la prosa si fa fluente, armoniosa, simpatica;
io la direi prosa poetica, tanto scivola via come un ruscello chiaro verso il
mare. Tanta realtà, tanto sociale, tanta immissione emotiva, e tanta capacità
di osservazione. E la sua è un’osservazione mirata, voluta, calcolata dacché sa
che da essa dipenderà l’esito delle sue opere. Ma tutto è reale,
autobiografico, strettamente simbolico; i personaggi in questione sono veri,
dacché la scrittrice non si avventura mai in voli fantasiosi; ha bisogno di
toccare con mano, e si fanno avanti nomi che vivono e operano nel suo
entourage. Ad esempio dell’India ha tenuto dentro folcrore, volti, paesaggi,
abitudini, magagne sociali e bellezze esotiche. Tutto quel groviglio di
fattori, tutto l’ensemble che ha giocato un ruolo determinante per la
formazione di un libro dedicato proprio a quel popolo. Una perla, un gioiellino
a cui resti aggrappato sino all’ultimo verso. Questo fa Ester: reifica immagini,
sentimenti, impressioni raccattati durante i suoi viaggi; e di questi vive, di
questi si nutre. Si potrebbe affermare, senza dubbi di smentita, che per lei
prosa e poesia si inanellano in un gioco di grande respiro poematico: pochi
sono coloro che riescono a fare della vita un‘opera d’arte, Ester ci riesce.
Tutto è poesia, e là dove l’intervento di Calliope non è sufficiente a definire l’immensità della sua
vicenda, interviene la prosa, mantenendo i soliti battiti cardiaci, le solite
scosse emotive, i soliti intenti epigrammatici. Si integrano, facendo della sua
attività letteraria un crogiolo di input esistenziali, che, direttamente o
simbolicamente, mettono a nudo la sua generosità contenutistica e formale.
Quella stessa che salta fuori, con ampie inclusioni partecipative, dalla nuova
pubblicazione data alle stampe per i caratteri di Wip Edizioni, di Bari. La narrazione fluisce morbida e paratattica,
senza perifrastiche addizioni o aggiunte epigoniche, tutto è franco e
personale. Mi piace riportare un lacerto tratto dalla sua ultima intervista per
Michele Bruccheri: ““Dall’India a Lampedusa. Soste di
viaggio” è la nuova opera letteraria della scrittrice pugliese Ester
Cecere. Sono diciotto racconti brevi, ma intensi e coinvolgenti. Sono storie,
parole, ma soprattutto sono emozioni, sentimenti, frammenti di vita. Firma la
prefazione Domenico Pisana. “Mi ha onorato di una prefazione profonda, erudita,
puntuale, esaustiva - racconta a La Voce del Nisseno (versione
online) -. Egli non ha solo recensito l’opera ma ha anche indagato nel mio
animo, cercando i motivi che mi hanno spinto a scrivere questa raccolta e
mettendo in evidenza il mio stato d’animo e le mie emozioni durante i viaggi,
come il senso di disorientamento e interdizione, il mio immenso amore per gli
animali, il desiderio di inculturazione nella realtà dei luoghi, sul quale non
mi ero assolutamente soffermata…”. Nella sua nota introduttiva, l’acuta e sensibile autrice tarantina
scrive: “Anni prima, Fernando Pessoa così mirabilmente aveva sintetizzato il
pensiero di Antonio Tabucchi: ‘La Vita è ciò che facciamo di Essa. I Viaggi
sono i Viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo ma ciò che siamo’”.
Qui c’è il senso del suo viaggiare, alla ricerca di sé stessa e degli altri. E
lo fa con determinazione, dolcezza, grande senso di umanità.
Ester Cecere, sessantenne di Taranto, è una ricercatrice presso il
Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Si occupa di biologia marina, è
sposata e madre di due figli. Scrive libri importanti e interessanti, capaci di
stimolare una profonda riflessione. Pubblicazioni che aiutano a crescere, libri
che diventano carezza e sostegno morale…”. Diciotto racconti, appunto, che
nascono dai viaggi di una vita. E quella
di Ester è folta, intensa, plurale volta ad un mondo còlto da un occhio che lo
vorrebbe migliore ma che ne sa apprezzare gli angoli più nascosti, quelli
facilmente tramutabili in narrazione poetica; in miraggio sociale; in ritratti
alla cezanne, che non mirano a una mera rappresentazione della natura, ma ad
afferrarne l’essenza. Questa la nuova pubblicazione della scrittrice che si
snoda su un percorso narrativo sul filo del romanzo: dallo shock di Alessandra
agli splendidi colori di Taj Mahal, dalla festa di Diwali ai tetti a forma di
tronco di piramide, fino alle parole con cui il piccolo Emanuele si rivolgeva a
colui che in realtà era il suo nonno. Una serie di vicende tenute insieme
magistralmente dalle occhiate di Alessandra e Michele, e di altri personaggi
vicini al mondo di Ester; tutti attenti osservatori e commentatori di paesaggi
antropici e naturali; di psicologiche
riflessioni sulla vita reale. Non vi
resta che acquistare il libro; ne trarrete esperienze umane e culturali di
grande valenza etica. D’altronde il compito del critico è quello di
introdurre e non di svelare. A voi la
lettura.
Nazario Pardini
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