PREFAZIONE
L’elegia
e il naturalismo, l’amore e la metapoesia nel viaggio di Sergio Camellini, GUIDO MIANO EDITORE
Poesia
morbida, onesta, verticale quella di Sergio Camellini, che, data alle stampe
per i caratteri di Guido Miano Editore,
si distende su uno spartito di elegiaco stupore introspettivo; di elegiaco
abbandono timbrico. Basta leggere alcuni titoli per rendersi conto della
influenza luziana soprattutto sul tema del memoriale 1)(“Noi siamo quello che ricordiamo/ il
racconto è ricordo/ e ricordo è vivere” (Mario Luzi) o sabiana su quello
delle minime occasioni a cui attingere:
Amore di padre, A te, Ghirlandaia, Canto musica e poesia, Eredi di Dante,
Felicità bambina, Genova tra le pietre, Il pennino malizioso, La danza delle
parole, La Grande Guerra, L’amicizia è poesia: proteiforme elaborazione
linguistico-contenutistica che fa di ogni momento vitale una tappa focale del
poièin. D’altronde lo stesso Mario Luzi (Castello di Firenze 1914-Firenze
2005), che negli anni delle prime esperienze poetiche (La barca) dà cenno di un
certo solipsismo di vocazione elegiaca, nelle opere a noi più vicine
intraprende una strada del tutto diversa, dalle espressioni più ampie di
prosastica fattura alla ricerca di un nuovo che rompa con la tradizione: 2)“… Sono gli anni, quelli
di Primizie del deserto, centrati nel cuore del Novecento, in cui si va
preparando, maturandosi in filoni sotterranei che lo sguardo frettoloso della
modernità non sempre riusciva a scorgere, lo scarto con il quale Mario Luzi,
all’inizio degli anni Sessanta, sembra entrare in un’altra orbita; ma era
proprio Invocazione a costituire il perno della sua “rivoluzione copernicana”,
come scrisse, con felice intuizione, Giancarlo Quiriconi. La raccolta che
pilota il nuovo corso della poesia di Luzi, come ormai esaustivamente
dimostrato, è Nel magma, (1963), il libro che, sino dal titolo, e poi nella
cifra colloquiale e, ma solo apparentemente, prosastica, e più ancora nella
scelta tematica e programmatica, infrange ogni residuo di solipsismo lirico e
di tentazione elegiaca, per inoltrarsi, con animo trepidante ma saldo, nella
selva oscura della storia, della vita, e,- ciò che d’ora innanzi costituirà la
sezione aurea della sua poesia – nel mistero di colpa e redenzione, salvezza e
perdizione della specie e della collettività…”. E così il Nostro che, pur
affiancando un’ispirazione di carattere elegiaco, in certi momenti si fa più
pensieroso, più esistenziale, più vicino a quelli che sono i motivi fondanti
della poetica contemporanea: “Vago/ di poesia in poesia/verso un cammino/di
pensieri,/ tra le pagine/ d’un libro,/ad inseguir/ parole/ con accelerazioni
emotive/ in libertà.” (Di poesia in poesia). Ma procediamo con ordine
rifacendoci ad una composizione che più ci avvicina allo stilema di Camellini: “In quello spicchio/ di
cielo blu/ quando il silenzio/ mi circonda/ e sul pentagramma/ del vento va
via,/ tu sai leggere/ oltre/ la mia penna,/ tu sai leggere/ oltre/ la mia
fantasia,/ perché tu sei Euterpe/ dea della musica,/ perché/ tu sei Calliope/ dea della poesia”.
Partire da questa citazione testuale significa immergersi a livello stilistico
formale e contenutistico esistenziale nel
mondo poetico dell’Autore: Silenzio,
cielo blu, pentagramma, fantasia, Euterpe, Calliope. Tanti elementi
simbolico-figurativi che contornano con euritmica partecipazione un animo tutto
volto a narrare in maniera elegiaco emotiva il suo abbandono alle soglie del
suono e del canto, anche con venature da mitopoieta più che da mitologo. E’
proprio il canto che libera l’animo, che lo alleggerisce da quei palpiti intimi
incuneatisi nei lacerti dell’esistere. Bisogna cantare, per dare sfogo al
nostro sistema emotivo; alla nostra complessità interiore. D’altronde l’uomo è
nato col canto nel cuore; con la musica addosso. Si è servito fin dal suo
ingresso sulla terra di ciò che gli capitava fra le mani per concretizzare i
ritmi che gli urgevano dentro; tipo ossa di animali da battere per terra o su
legni, per accompagnare l’amore, il sentimento dei sentimenti, il gioco dei
nostri contrasti impellenti; la categoria degli opposti che trova nella sua simbiotica fusione dei contrari il
senso della vita: Eros Thanatos, giorno notte, luce buio… Dare un equilibrio a
queste forze motrici significa scoprire i meandri del vivere; l’elegia che ci
sta attorno e che ci chiede di viverla con tutta l’intensità che richiede il
dilemma della vita e della morte; con quella misura ecfrastica e
naturistica che fa dell’uomo il soggetto
principale di una storia che inizia dalla letteratura greco-latina; quella di
Saffo, di Alcione, Catullo…. che con il loro lirismo emotivo erotico si
contrappongono per forma metrica e diversità argomentativa al filone epico
odeporico frequente in un periodo in cui si nutre il bisogno dell’eroismo paradigmatico.
Un tipo di letteratura che attraverso i grandi del nostro panorama tipo
Petrarca trova posto in casa dei poeti del primo novecento. Vedi Umberto Saba
ad esempio, il poeta delle piccole cose, alle quali si è rivolto con animo
diverso da quello dei crepuscolari 3)“non cercò in esse un rifugio
oblioso, ma le raccolse come presenze simboliche attraverso cui la vita
racconta alla poesia il segreto della sua verità”. Natura e amore, sentimento e
liricità, immagini fenomeniche a cui affidare i palpiti emotivi: reificazione
di sentimenti, propositi e suggestioni in Saba: 4)“… La mia vita mia cara/ bambina,/ è l’erta solitaria, l’erta
chiusa/ dal muricciolo,/ dove al tramonto solo/ siedo, a celati miei pensieri
in vista./ Se tu non vivi a quei pensieri in cima,/ pur nel tuo mondo li fai
divagare;/ e mi piace da presso riguardare/ la tua conquista…/ (A mia figlia).
Una struttura sintattica che tanto richiama lo stile di Camellini: versi brevi, conclusivi, apodittici dove la
parola è sufficiente a se stessa, sia a livello sonoro che ontico; che
ontologico; e dove l’ondulazione ritmica del diagramma tanto dice del
susseguirsi delle emozioni nel corso della narrazione. Mentre in Vittorio
Sereni (1913 Milano-1983), sebbene la prima fase del suo percorso artistico sia
distinta dal gusto ermetico, più precisamente ungarettiano, la seconda risulta
caratterizzata dal rifiuto dell’intimismo elegiaco per un interesse sempre
più lucido e sofferto ai problemi esistenziali: 5)“La giovinezza è
tutta nella luce/ d’una città al tramonto/ dove straziato ed esule ogni suono/
sin spicca nel brusio/…./ E tu mia vita salvati se puoi/ serba te stessa al
futuro/ passante e quelle parvenze sui ponti/ nel baleno dei fari” (Periferia
1940, da Diario d’Algeria). In un tracciato metrico-stilistico che riporta alla
tradizione classica nostrana di settenari e endecasillabi, dove non è difficile
rinvenire venature di inquietudine del dove e del quando che ritroveremo nei
poeti a noi più vicini, ma anche in certi momenti della poetica di Camellini:
“Sai che la vita/ non muore,/ non potrà giammai/
morire,/ varcata la soglia/ della notte/ al primo raggio di sole,/ se si
riflette/ sull’acqua, non imbrattata,/ sorgente d’amore/ che nutre la Terra/
ove sei tu./ Ricerca la luce/ tra le nebulose dell’ingrato mondo,/ che non
comprende/da chi venga “sfamato”/ ed amato,/ falla brillare
sulla coscienza” (La terra ove sei tu). Anche se la versificazione tanto
riflette lo stile sabiano, fatto di enunciati brevi e secchi, non è raro
imbatterci in quegli interrogativi esistenziali sul vivere e morire o sul
tempus fugit della poetica di Vittorio Sereni. Permane tuttavia nel Nostro una
plurima connotazione ispirativa; una plurale effusione di richiami affettivi ed
erotici che lo fanno moderno e distaccato dalle contaminazioni scritturali
della prima metà del novecento. Come non è di sicuro improbabile leggere nei
suoi versi l’euritmica sonorità di un pentagramma di note fluenti e musicali,
che il poeta stesso definisce asse portante del suo iter: “La vita dev’essere
il germoglio del futuro, la luce per l’uomo, il sale per la terra, la musica
per l’anima”. Pace, amore, sogno, società, visioni oracolari, amicizia,
uguaglianza, affetti, sono i molteplici input emotivi che covati in seno del
poeta chiedono poi di essere tradotti in canto; in un poema dove la parola
spesso si fa fulcro portante dello scheletro epigrammatico: “La sinfonia
del nostro essere/ perde l’acuto/ della solidarietà/umana,/ quando i muri/
sostituiscono i ponti/ e l’io s’avvita/ su se stesso,/ senza vedere/ il
noi,/senza sentire/ il voi./ Se v’è rispetto/ reciproco,/anche nelle
differenze/ saremo sempre amici;/ pur con orizzonti/diversi,/ faremo luce/ alla
parte di buio/ che crea barriere.” (Tra muri e ponti). D’altronde è il poeta
stesso che attraverso interventi di sano panismo ci dice quale sia per lui il valore della poesia; la contaminazione spirituale; il
travaglio emotivo: è essa che lo abbraccia e lo porta in atmosfere di edenico
abbandono: “Poesia, sei levitazione/
dell’animo,/ fornisci forza vitale,/ ti collochi/ al più alto grado/ di
consapevolezza/ e creatività.// Ti sollevi viepiù/ al di
sopra/dell’indifferenza,/ offrendo/ un’ampia prospettiva/ con palpitante
emozione,/ nell’immensità.// Fai ricongiungere/ il soma,/
all’essenza
spirituale/ dell’essere amore/ nei rivoli di pensiero,/ per donare/ serenità.” (Poesia, essenza spirituale (dell’essere
amore)). Il poeta crea e intarsia, cuce e assembla, lasciando soli certi
etimi che rifulgono nel contesto del lessema. Sono quei singoli segni, quegli
acuti di romanze wagneriane a reificare i patemi di un animo che abbraccia
l’universo nel suo slancio verticale. E quando la potenza del sentire non trova sufficienti involucri etimologici, si
affida alla natura che puntuale ambasciatrice volge il fianco a ché il
sentimento trovi posto nelle policrome caleidoscopiche fusioni: “Costeggia i
prati/ e le acque/l’abbraccio del bosco/
del mio caro Appennino,/ dipinto di erbe/ selvatiche/ ed alberi secolari/ con
ombre ristoratrici,/ poste sui silenzi/ la poesia della vita.” (L’abbraccio del
bosco). Forse è proprio Sandro Penna (Perugia 1906- Roma 1977) che con la sua
castità di linee figurative e melodiche spesso ricorda l’elegia degli antichi
lirici greci, molto vicina ai moduli ispirativi dei momenti più felici di
Camellini. Anche nel poeta perugino la
natura appoggia con naturalezza e fluidità visionaria i reconditi flussi
sentimentali: 6)“Mi adagio nel mattino
di primavera./Sento/ nascere in me scomposte/ aurore. Io non so più/ se muoio
oppure nasco.” (Non so più). Ma dobbiamo dire che nonostante gli accostamenti e
i parallelismi fra il Nostro e i vari poeti trattati, permane, comunque, a
primeggiare la netta personalità di ognuno. Quanto agli elegiaci, per così dire,
è facile individuare il nesso naturistico-intimistico che fa da ponte. Ma mi
piace terminare questo mio scritto rimarcando l’individualità di Camellini, la
sua complessa semplicità formale, e il tratto originale del suo marchio di
fabbrica. A differenza dei poeti tirati in ballo, il Nostro si propone come
poeta moderno, attuale, comunicativo. Il suo leitmotiv, il filo rosso che lega
insieme tutti i suoi componimenti è costituito da una visione bucolica del
paesaggio che li ispira. E’ in esso che trova l’amore per la donna amata, o i
colori che configurano il suo essere; e in ciò sta la sua modernità, la sua
proiezione verso un mondo nuovo che lo identifica e lo definisce; proiezione
verso cui l’Autore si lancia partendo
dalle cose più semplici, anche se in questo ci ricorda la travagliata ricerca
luziana. C’è in lui la tensione umana che lo eleva al di là del terreno. Una
condizione spirituale che caratterizza la poesia contemporanea; quella
dell’uomo inquieto di fronte alle aporie del contingente. Ma nella silloge,
alla fin fine, quello che primeggia è il superamento di tale stato d’animo con
il concedersi alla bellezza della poesia o ai richiami dell’amore: Canto, musica e poesia (una magia…): “Musa delle arti/ facci
alzare/ in volo;/ accompagnaci,// ove/ la luce/illumini le menti;/
accompagnaci,// ove/i sentimenti/ alberghino davvero;/
accompagnaci,//ove/l’umanità/ percorra quel sentiero;/ accompagnaci,// ove/ i
sogni/ accarezzino la realtà;/ portaci là.”.
Nazario
Pardini
NOTE
1) Alfredo
Luzi. Sulla poesia di Mario Luzi.
Editore Fondazione Mario Luzi. 2016
2) Mario Luzi.
Colloquio. Un dialogo con Mario Specchio.
Garzanti Editore. 1999
3) Renato
Filippelli. L’itinerario della
letteratura nella civiltà italiana. Il Tripode. 1990. Pag. 803
4) Umberto
Saba. Poesie scelte. Mondadori
Editore. 2018
5) Vittorio Sereni. Diario d’Algeria. Prefazione di Giovanni
Raboni. Einaudi. 1998
6) Sandro Penna. Poesie. Oscar Mondadori. 2019
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