lunedì 1 luglio 2019

NAZARIO P. PREFAZIONE A : "IL CANTO DELLE MUSE" DI SERGIO CAMELLINI, GUIDO MIANO EDITORE


PREFAZIONE

L’elegia e il naturalismo, l’amore e la metapoesia nel viaggio di Sergio Camellini, GUIDO MIANO EDITORE


Poesia morbida, onesta, verticale quella di Sergio Camellini, che, data alle stampe per i caratteri di  Guido Miano Editore, si distende su uno spartito di elegiaco stupore introspettivo; di elegiaco abbandono timbrico. Basta leggere alcuni titoli per rendersi conto della influenza luziana soprattutto sul tema del memoriale 1)(“Noi siamo quello che ricordiamo/ il racconto è ricordo/ e ricordo è vivere” (Mario Luzi) o sabiana su quello delle minime occasioni a cui attingere: Amore di padre, A te, Ghirlandaia, Canto musica e poesia, Eredi di Dante, Felicità bambina, Genova tra le pietre, Il pennino malizioso, La danza delle parole, La Grande Guerra, L’amicizia è poesia:   proteiforme elaborazione linguistico-contenutistica che fa di ogni momento vitale una tappa focale del poièin. D’altronde lo stesso Mario Luzi (Castello di Firenze 1914-Firenze 2005), che negli anni delle prime esperienze poetiche (La barca) dà cenno di un certo solipsismo di vocazione elegiaca, nelle opere a noi più vicine intraprende una strada del tutto diversa, dalle espressioni più ampie di prosastica fattura alla ricerca di un nuovo che rompa con la tradizione: 2)“… Sono gli anni, quelli di Primizie del deserto, centrati nel cuore del Novecento, in cui si va preparando, maturandosi in filoni sotterranei che lo sguardo frettoloso della modernità non sempre riusciva a scorgere, lo scarto con il quale Mario Luzi, all’inizio degli anni Sessanta, sembra entrare in un’altra orbita; ma era proprio Invocazione a costituire il perno della sua “rivoluzione copernicana”, come scrisse, con felice intuizione, Giancarlo Quiriconi. La raccolta che pilota il nuovo corso della poesia di Luzi, come ormai esaustivamente dimostrato, è Nel magma, (1963), il libro che, sino dal titolo, e poi nella cifra colloquiale e, ma solo apparentemente, prosastica, e più ancora nella scelta tematica e programmatica, infrange ogni residuo di solipsismo lirico e di tentazione elegiaca, per inoltrarsi, con animo trepidante ma saldo, nella selva oscura della storia, della vita, e,- ciò che d’ora innanzi costituirà la sezione aurea della sua poesia – nel mistero di colpa e redenzione, salvezza e perdizione della specie e della collettività…”. E così il Nostro che, pur affiancando un’ispirazione di carattere elegiaco, in certi momenti si fa più pensieroso, più esistenziale, più vicino a quelli che sono i motivi fondanti della poetica contemporanea: “Vago/ di poesia in poesia/verso un cammino/di pensieri,/ tra le pagine/ d’un libro,/ad inseguir/ parole/ con accelerazioni emotive/ in libertà.” (Di poesia in poesia). Ma procediamo con ordine rifacendoci ad una composizione che più ci avvicina allo stilema di Camellini: “In quello spicchio/ di cielo blu/ quando il silenzio/ mi circonda/ e sul pentagramma/ del vento va via,/ tu sai leggere/ oltre/ la mia penna,/ tu sai leggere/ oltre/ la mia fantasia,/ perché tu sei Euterpe/ dea della musica,/ perché/ tu sei Calliope/ dea della poesia”. Partire da questa citazione testuale significa immergersi a livello stilistico formale e contenutistico esistenziale nel  mondo poetico dell’Autore: Silenzio, cielo blu, pentagramma, fantasia, Euterpe, Calliope. Tanti elementi simbolico-figurativi che contornano con euritmica partecipazione un animo tutto volto a narrare in maniera elegiaco emotiva il suo abbandono alle soglie del suono e del canto, anche con venature da mitopoieta più che da mitologo. E’ proprio il canto che libera l’animo, che lo alleggerisce da quei palpiti intimi incuneatisi nei lacerti dell’esistere. Bisogna cantare, per dare sfogo al nostro sistema emotivo; alla nostra complessità interiore. D’altronde l’uomo è nato col canto nel cuore; con la musica addosso. Si è servito fin dal suo ingresso sulla terra di ciò che gli capitava fra le mani per concretizzare i ritmi che gli urgevano dentro; tipo ossa di animali da battere per terra o su legni, per accompagnare l’amore, il sentimento dei sentimenti, il gioco dei nostri contrasti impellenti; la categoria degli opposti che trova  nella sua simbiotica fusione dei contrari il senso della vita: Eros Thanatos, giorno notte, luce buio… Dare un equilibrio a queste forze motrici significa scoprire i meandri del vivere; l’elegia che ci sta attorno e che ci chiede di viverla con tutta l’intensità che richiede il dilemma della vita e della morte; con quella misura ecfrastica e naturistica  che fa dell’uomo il soggetto principale di una storia che inizia dalla letteratura greco-latina; quella di Saffo, di Alcione, Catullo…. che con il loro lirismo emotivo erotico si contrappongono per forma metrica e diversità argomentativa al filone epico odeporico frequente in un periodo in cui si nutre il bisogno dell’eroismo paradigmatico. Un tipo di letteratura che attraverso i grandi del nostro panorama tipo Petrarca trova posto in casa dei poeti del primo novecento. Vedi Umberto Saba ad esempio, il poeta delle piccole cose, alle quali si è rivolto con animo diverso da quello dei crepuscolari 3)“non cercò in esse un rifugio oblioso, ma le raccolse come presenze simboliche attraverso cui la vita racconta alla poesia il segreto della sua verità”. Natura e amore, sentimento e liricità, immagini fenomeniche a cui affidare i palpiti emotivi: reificazione di sentimenti, propositi e suggestioni in Saba: 4)“… La mia vita mia cara/ bambina,/ è l’erta solitaria, l’erta chiusa/ dal muricciolo,/ dove al tramonto solo/ siedo, a celati miei pensieri in vista./ Se tu non vivi a quei pensieri in cima,/ pur nel tuo mondo li fai divagare;/ e mi piace da presso riguardare/ la tua conquista…/ (A mia figlia). Una struttura sintattica che tanto richiama lo stile di Camellini:  versi brevi, conclusivi, apodittici dove la parola è sufficiente a se stessa, sia a livello sonoro che ontico; che ontologico; e dove l’ondulazione ritmica del diagramma tanto dice del susseguirsi delle emozioni nel corso della narrazione. Mentre in Vittorio Sereni (1913 Milano-1983), sebbene la prima fase del suo percorso artistico sia distinta dal gusto ermetico, più precisamente ungarettiano, la seconda risulta caratterizzata dal rifiuto dell’intimismo elegiaco per un interesse sempre più lucido e sofferto ai problemi esistenziali: 5)“La giovinezza è tutta nella luce/ d’una città al tramonto/ dove straziato ed esule ogni suono/ sin spicca nel brusio/…./ E tu mia vita salvati se puoi/ serba te stessa al futuro/ passante e quelle parvenze sui ponti/ nel baleno dei fari” (Periferia 1940, da Diario d’Algeria). In un tracciato metrico-stilistico che riporta alla tradizione classica nostrana di settenari e endecasillabi, dove non è difficile rinvenire venature di inquietudine del dove e del quando che ritroveremo nei poeti a noi più vicini, ma anche in certi momenti della poetica di Camellini: “Sai che la vita/ non muore,/ non potrà giammai/ morire,/ varcata la soglia/ della notte/ al primo raggio di sole,/ se si riflette/ sull’acqua, non imbrattata,/ sorgente d’amore/ che nutre la Terra/ ove sei tu./ Ricerca la luce/ tra le nebulose dell’ingrato mondo,/ che non comprende/da chi venga “sfamato”/ ed amato,/ falla brillare sulla coscienza” (La terra ove sei tu). Anche se la versificazione tanto riflette lo stile sabiano, fatto di enunciati brevi e secchi, non è raro imbatterci in quegli interrogativi esistenziali sul vivere e morire o sul tempus fugit della poetica di Vittorio Sereni. Permane tuttavia nel Nostro una plurima connotazione ispirativa; una plurale effusione di richiami affettivi ed erotici che lo fanno moderno e distaccato dalle contaminazioni scritturali della prima metà del novecento. Come non è di sicuro improbabile leggere nei suoi versi l’euritmica sonorità di un pentagramma di note fluenti e musicali, che il poeta stesso definisce asse portante del suo iter: “La vita dev’essere il germoglio del futuro, la luce per l’uomo, il sale per la terra, la musica per l’anima”. Pace, amore, sogno, società, visioni oracolari, amicizia, uguaglianza, affetti, sono i molteplici input emotivi che covati in seno del poeta chiedono poi di essere tradotti in canto; in un poema dove la parola spesso si fa fulcro portante dello scheletro epigrammatico: “La sinfonia del nostro essere/ perde l’acuto/ della solidarietà/umana,/ quando i muri/ sostituiscono i ponti/ e l’io s’avvita/ su se stesso,/ senza vedere/ il noi,/senza sentire/ il voi./ Se v’è rispetto/ reciproco,/anche nelle differenze/ saremo sempre amici;/ pur con orizzonti/diversi,/ faremo luce/ alla parte di buio/ che crea barriere.” (Tra muri e ponti). D’altronde è il poeta stesso che attraverso interventi di sano panismo ci dice quale  sia per lui il valore della  poesia; la contaminazione spirituale; il travaglio emotivo: è essa che lo abbraccia e lo porta in atmosfere di edenico abbandono: “Poesia, sei levitazione/ dell’animo,/ fornisci forza vitale,/ ti collochi/ al più alto grado/ di consapevolezza/ e creatività.// Ti sollevi viepiù/ al di sopra/dell’indifferenza,/ offrendo/ un’ampia prospettiva/ con palpitante emozione,/ nell’immensità.// Fai ricongiungere/ il soma,/
all’essenza spirituale/ dell’essere amore/ nei rivoli di pensiero,/ per donare/ serenità.” (Poesia, essenza spirituale (dell’essere amore)). Il poeta crea e intarsia, cuce e assembla, lasciando soli certi etimi che rifulgono nel contesto del lessema. Sono quei singoli segni, quegli acuti di romanze wagneriane a reificare i patemi di un animo che abbraccia l’universo nel suo slancio verticale. E quando la potenza del sentire non  trova sufficienti involucri etimologici, si affida alla natura che puntuale ambasciatrice volge il fianco a ché il sentimento trovi posto nelle policrome caleidoscopiche fusioni: “Costeggia i prati/ e le  acque/l’abbraccio del bosco/ del mio caro Appennino,/ dipinto di erbe/ selvatiche/ ed alberi secolari/ con ombre ristoratrici,/ poste sui silenzi/ la poesia della vita.” (L’abbraccio del bosco). Forse è proprio Sandro Penna (Perugia 1906- Roma 1977) che con la sua castità di linee figurative e melodiche spesso ricorda l’elegia degli antichi lirici greci, molto vicina ai moduli ispirativi dei momenti più felici di Camellini. Anche nel poeta perugino la  natura appoggia con naturalezza e fluidità visionaria i reconditi flussi sentimentali: 6)“Mi adagio nel mattino di primavera./Sento/ nascere in me scomposte/ aurore. Io non so più/ se muoio oppure nasco.” (Non so più). Ma dobbiamo dire che nonostante gli accostamenti e i parallelismi fra il Nostro e i vari poeti trattati, permane, comunque, a primeggiare la netta personalità di ognuno. Quanto agli elegiaci, per così dire, è facile individuare il nesso naturistico-intimistico che fa da ponte. Ma mi piace terminare questo mio scritto rimarcando l’individualità di Camellini, la sua complessa semplicità formale, e il tratto originale del suo marchio di fabbrica. A differenza dei poeti tirati in ballo, il Nostro si propone come poeta moderno, attuale, comunicativo. Il suo leitmotiv, il filo rosso che lega insieme tutti i suoi componimenti è costituito da una visione bucolica del paesaggio che li ispira. E’ in esso che trova l’amore per la donna amata, o i colori che configurano il suo essere; e in ciò sta la sua modernità, la sua proiezione verso un mondo nuovo che lo identifica e lo definisce; proiezione verso cui  l’Autore si lancia partendo dalle cose più semplici, anche se in questo ci ricorda la travagliata ricerca luziana. C’è in lui la tensione umana che lo eleva al di là del terreno. Una condizione spirituale che caratterizza la poesia contemporanea; quella dell’uomo inquieto di fronte alle aporie del contingente. Ma nella silloge, alla fin fine, quello che primeggia è il superamento di tale stato d’animo con il concedersi alla bellezza della poesia o ai richiami dell’amore: Canto, musica e poesia (una magia…): “Musa delle arti/ facci alzare/ in volo;/ accompagnaci,// ove/ la luce/illumini le menti;/ accompagnaci,// ove/i sentimenti/ alberghino davvero;/ accompagnaci,//ove/l’umanità/ percorra quel sentiero;/ accompagnaci,// ove/ i sogni/ accarezzino la realtà;/ portaci là.”.

Nazario Pardini

 NOTE

1) Alfredo Luzi. Sulla poesia di Mario Luzi. Editore Fondazione Mario Luzi. 2016
2) Mario Luzi. Colloquio. Un dialogo con Mario Specchio. Garzanti Editore. 1999
3) Renato Filippelli. L’itinerario della letteratura nella civiltà italiana. Il Tripode. 1990. Pag. 803
4) Umberto Saba. Poesie scelte. Mondadori Editore. 2018
5) Vittorio Sereni. Diario d’Algeria. Prefazione di Giovanni Raboni. Einaudi. 1998
6) Sandro Penna. Poesie. Oscar Mondadori. 2019

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