Rossella Cerniglia, collaboratrice di Lèucade |
Nuova
impennata creativa di Rossella Cerniglia in un testo dal titolo MITO ED EROS, ANTENORE E TESEO CON ALTRE
POESIE, editato per i caratteri di Genesi Editrice, nel maggio 2017, dove
il verso con determinata apertura ad un pulito neoclassicismo concretizza
emozioni e vicissitudini di un momento focale di una storia: “… I fulgori
della giovinezza sono ormai lontani, gli ardori acquietati, la vita è rimasta
fuori di noi come un fiume che dispiega le sue acque tranquille sulla nostra
contemplazione…” (dalla Nota dell’Autrice).
Ella ha navigato per mari non sempre tranquilli, dove scogli improvvisi
hanno ostacolato un tragitto lungo e pieno di tramagli. Importante era navigare, andare, continuare imperterriti
alla ricerca di un faro luminoso piuttosto che arrivare. L’isola un traguardo lontano e improbabile. Ma proprio
la voglia del viaggio, l’aspirazione ad un porto, hanno giocato un ruolo
importante nella sua ricerca ontologica, dacché
proprio l’ardore e la vitalità di un tempo alimentavano l’energia che
teneva dritta la barra. Ora l’Autrice si è fatta mitopoieta più che mitologa,
tutta volta a rinnovare il mito, a farlo suo, a tradurlo in una storia
raffigurante il suo epigrammatico essere. Tutto è nuovo, divenuto occasione per
narrare, per dire di sé, delle sue vicende, con simboliche intrusioni
evocative. E sembra proprio che la Poetessa abbia raggiunto il porto tanto
ambito, tanto agognato dopo una navigazione in cui poteva essere solo un
miraggio. Una volta raggiunto, di
fronte ai profumi e al paesaggio della nuova isola, si abbandona ad ammirare i
tramonti e le iridescenti sfumature di un mare che tanto l’aveva vista
combattere su un vascello, spesso, senza
bussola; su un vascello sperso in acque tanto immense da perdere
l’orientamento, anche se tenuto in forte equilibrio da innesti di parole
robuste e di forte impatto creativo. Metaforicamente parlando non è azzardato aggiungere
che la Nostra ha trovato un ancoraggio che le permette serenità e tranquillità;
forza e decisione per ricostruire nella sua mente una storia, oramai, in seno
alle memorie. Ed è da lì che pesca rivedendo con l’occhio del poi trabucchi,
scogli, chiarori lunari, sirene, soli splendenti incontrati nel viaggio.
L’animo si fa tenero, emotivamente scosso, ma vispo di fronte alle vicende
affrontate. Il riviverle affidate a reminiscenze mitologiche, a tratti di un
Antenore e di un Teseo, ai ricordi di un eros dalle impennate giovanili, ora,
in questo luogo di edenico riposo, è come rinnovare la vita; ridarle quella
sostanza che si acquisisce solo dopo anni di pensamenti e di lotta con noi stessi. Sembra che la
Poetessa ci dica: “finalmente sono felice; sono paga del mio travaglio, e qui,
hic et nunc, posso godermi con animo quieto il ricordo del tempo trascorso tra
le onde del mio mare”. Tre le sezioni del libro: Antenore e Teseo, Altre poesie, e Ultimi versi. Nella prima ci
troviamo ad accompagnare la Poetessa nell’ esistenziale percorso di vita e poesia; di bilanci senza rammarichi,
né ripensamenti, rivissuti con un animo diverso, più pacato, riposato; adatto a
riportare alla luce momenti e fatti rivestiti di nuova spiritualità dopo tanta
decantazione; magari accompagnandoli con un pizzico di buona nostalgia,
svuotata di splenetica e decadente saudade:
(…)
Per
questa nostalgia un poco invidio il mio corpo
di
allora, le delizie che donava e riceveva.
Ma
troppi, troppi anni son passati, mi sono incanutito
ed
intristito, né ci sarà, per me, un
cantore
della
mia fulgida bellezza, uno che mi conobbe allora
e
potrà testimoniare quanto felice e breve
fu
la mia dolce stagione. (Antenore).
La
coscienza della brevità della vita, della futilità del tempo che fugge, d’altronde
è presente nell’opera e sembra fare da filo conduttore, da leitmotiv, assieme
alla presenza di una fede, di un metamorfico panismo:
Come
il mio cane, così rabbioso e sconcio
per
sterpeti mi aggiro e tra rovine (Il buon pastore),
Così,
in vento e in acqua
per
cieli e per la terra, passa l’ora
che
fugge… (Il declino dell’ora)
Passeggio
sulla terra
che
ha accolto la pioggia del Buon Dio
la
notturna pioggia che benefica l’anima… (Pioggia notturna),
Un
raggio sprofondato
nelle
ombre dissolve
la
rugiada mattutina… (Bosco d’autunno),
Cadono
in questo cimitero
di
parole, in questa ferrea
prigione
del pensiero, ad una
ad
una gocce senza una ragione
e
appalesano il tempo, il luogo,
l’oscurità
eterna della morte (Tutto è detto ormai),
In
un brivido lieve
trascorre
l’esile
mistica sera (Sera autunnale),
Ma
come tutto è vano! (Madre),
Tutto
è avvenuto, è stato.
(…)
in
questo lungo tramonto (Tutto è avvenuto),
Ora
che molti sono gli anni
scivolati
sul corpo come pioggia
in
un giorno di bufera… (Senza nulla avere),
In
un vortice fuggono le gioie (Pallido raggio),
Chi
sono? Chi ha chiamato
per
me, il mio nome? (Io non so chi sono),
Nessuno
pare vivere
qui.
Che siano
case
di morti? (Case di morti)
Di
tutta la città
non
sono che tetre fosse
oscure,
da cui un disfacimento
di
morte esala… (Tra le buche scavate di
sepolcri),
Questa
morte che gocciola
sul mondo
greve
umore insistente
che
tutto invade… (Questa morte che gocciola),
Anche
se sembra primeggiare il senso del nulla, della morte che tutto ingoia in questo mondo scivoloso vòlto al
mistero di un dolore cosmico, la Nostra si abbandona spesso ad un mare di bellezza dove sembra tuffarsi
con una mirabile nostalgia di memoria tibulliana: Hoc mihi contingat:
Divitias alius fulvo sibi congerat auro/et teneat culti iugera multa soli,/quem labor adsiduus vicino terreat hoste,/Martia cui somnos classica pulsa fugent:/ me mea paupertas vita traducat inerti,/dum meus adsiduo luceat igne focus.
Respirano
stanchi i rami
un’umida
salsedine
e
fischia nel canneto
un
refolo tenace (Il declino dell’ora)
Questo
nella seconda sezione, Altre
poesie, o Del disinganno, dove la Cerniglia porta avanti un discorso di répêchage
e di riflessione meditativa sul tempo, gli affetti, le memorie, e la condizione
umana. Pensamenti che fanno da trait
d’union tra la prima sezione e la terza, sebbene quest’ultima sia motivata da
uno spirito di rinnovamento visionario.
“…
Le altre poesie si distaccano invece da questo quadro dedicato a una grecità,
per certi versi rasserenante e idillica. Alcune sono l’esito di una
disincantata visione del reale, e spesso accensioni di un dolore dalla valenza cosmica. Ad esse,
ho inoltre aggiunto una sezione con versi più recenti che inaugurano, forse,
una nuova stagione” (dalla nota introduttiva dell’Autrice).
Una
stagione segnata da Il limite delle
nostre possibilità umane, del nostro andare oltre, oltre la nostra inquietudine
di esistere. Una stagione di Caos e ombra dove:
“La
vita è tentare la fuga
dal
tenebroso sogno che già sei
da
questo storpio ed esecrato oggi.
Ma
ormai su uno scenario di rovina
la
grande ombra ottenebra
gli
spazi remoti ed irreali
dove
corre la vita
e
un mantello di tenebra dispiega
nelle
vuote stanze
con
imperiosa mano che ghermisce caos e ombra.
E
fuga sia. Non è detto che proprio nella fuga dalle aporie del quotidiano, nel
riprendere il viaggio dopo un meritato riposo meditativo, la Nostra non trovi quella pace con se stessa per
affrontare di uovo il mare
Nazario
Pardini
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