Eccoci
di fronte ad una nuova impennata creativa di Carla Baroni: DOVE FETONTE IMBIZZARRI’ I CAVALLI, il titolo della nuova plaquette
editata per i caratteri di Edizioni Stravagario. Inutile spiegare il
significato del mito, gli intrecci, la storia di questo conosciuto fatto.
Quello che invece conta è soffermarci sulle insuperabili doti poematiche
della nostra Carla, che in questo caso
si fa mitopoieta più che mitologa. Ella fa del mito un adattamento consono alla
sua vicenda personale: prende, lavora, imposta, e simboleggia, dacché tutto è
simbologia di fatti ed emozioni: il linguismo è di una perfezione sconvolgente,
gli endecasillabi si succedono con tale sonorità da lasciare imbambolati.
D’altronde questo è il linguaggio della scrittrice, la sua malizia espositiva.
La maestosità del verso si impone ai nostri occhi, al nostro animo e noi
seguiamo con passione e amore lo
spartito di note musicali che crea anche ossimoriche sorprese fra la duttilità
del canto e l’amaro della vicenda: “Anche
per me, talvolta, venne ardente/ il picchiare uggioloso del ricordo,/ il
sipario si alzò a strappi lenti/ con un trito rumore di ferraglia/ e mostrò a
nudo/ il caspuglio di vipere e di vespe…”. Un libro di 88 pagine, in cui si
dispiega un poema di 47 stanze, legate le une alle altre con un sapiente uso
discorsivo: personaggi, ambienti, poesia dell’homme, terre natie, respiro di polesine,
di delta, di storie, di vita, di memorie che tornano a galla come effluvi di gorghi
cristallini. Tutto viene digerito da questo poema che, con efficace plasticità,
ridà al verbo il compito di farsi portatore di ontologica sinfonia. Anche l’endecasillabo, per farsi ancora più
consistente nella sua portata esplicativa, cede il passo a strutture più brevi;
ed è così che la sua esplosione architettonica si fa più rumorosa, più
accentuata, più sinfonica dopo quantità quinarie, quaternarie, trisillabe. Una
trama di intarsi barocchi, anche, nell’accezione positiva, come lo può essere
una fontana o l’Estasi del Bernini, nella sua conformazione di tasselli e
ritocchi, di curve e linee, di intarsi e riccioli che tanto dicono della vita.
Ma il tutto si piega a intendimenti di classica positura, dove l’io, con tutte
le magagne esistenziali, si fa deus ex machina, attualizzando gli impatti
emotivi con splenetiche inquietudini epigrammatiche. Mi piace riportare a
questo punto alcuni versi iniziali che tanto ci richiamano a memoria l’ovidiana
Fonte Aretusa:
Padus
amoenus, da divine spoglie
un dì
scendesti sopra questa terra.
E il
tempo in cui nascesti sconosciuto
fu ai
nostri sensi,
il
giorno, l’ora in cui da bianca fonte
scaturita
per caso dalla roccia,
goccia
più goccia, in filo che discende
d’acqua
racchiusa nel cuore della terra
ti
facesti torrente, rivo o fosso
a
scavarti il cammino lentamente…
Ci
sono punte di lirismo descrittivo, di realismo lirico, di panismo esistenziale
da essere prese come modello di poesia neoclassica nel nostro panorama
letterario attuale; punte che contrastano con netta decisione con i tentativi
di sovvertire l’ars poetica con inutili quanto vani sperimentalismi di positura
prosastica destinati a non lasciare traccia; una dimostrazione di vera autentica poesia dove il nuovo si fonde
con la tradizione dando risultati da brividi:
Autunno
mite, la viola nasce ancora
tra le
umide radici degli ontani
mentre
i funghi indolenti ad altre piante
chiedono
adesso un accogliente asilo…
Non
è azzardato pensare una Baroni che si aggira tra selve e boschi, su fiumi e
lame, alla ricerca di paradisiaci frammenti di luce; di terre incontaminate
dove ogni essere vegetale o animale trova il suo angolo di vita.
Questa
è Carla, questo il suo mondo, questa la sua lingua, e il suo patema fatto di
contrastanti nervature eraclitee; questo il suo complesso e articolato poema
che abbraccia con larghe mani tutto il suo esistere; tutta la sua storia; o se
vogliamo, tutta la sua immaginazione.
Nazario
Pardini
Caro, generosissimo amico, grazie del tuo bellissimo, acuto e sentito commento. Forse è perché mi conosci da tanti anni che riesci a comprendermi così bene.
RispondiEliminaQuesto è un poemetto tra finzione e realtà sul Delta del Po dove io vivo. Le nostre case affondano nella falda freatica, nelle acque cioè che questo gigante bizzoso ha lasciato spostando più volte il suo alveo nel corso dei secoli. Ferrara, anticamente, era tutto un polesine e nomi di strade e luoghi ne ricordano ancora l'esistenza. Poi le opere dell'uomo hanno domato in parte la forza irruente e ogni tanto devastatrice di questo Nume pagano. Ma intorno a lui sono fiorite leggende, storie che io ho raccolto e in parte inventato per movimentare questo perenne scorrere di acqua. Aggiungi che spesso io mi identifico con questo liquido elemento e il gioco è fatto. Ma non è facile vedere di primo acchito tutto questo se non si ha una mente super allenata come la tua che riesce ancora a produrre, in età non più verde, moltissime cose in brevissimo tempo. Grazie, Nazario, con l'augurio che ti conservi così per tanti anni a venire
Carla