Recensione a “Il senso della
vita” di Wanda Lombardi
Viviamo in tempi dominati dal demone dell'urgenza. Urgenza
del profitto, del dominio, persino della violenza. La corsa verso l'Apocalisse,
al dire non più dei nichilisti ma di studiosi e scienziati che nulla debbono al
pessimismo, sembra essere accelerata dalle involuzioni di un capitalismo ormai
fratricida.
A fronte di questo, si pone un'altra urgenza: quella del
condannare, del resistere, dell'invocare una nuova spiritualità. Si mostra
urgente il Male, deve essere urgente il Bene.
In questo scenario che non lascia tempo a riflessioni
adeguate, si collocano poche, isolate voci, in deserto clamantes, che
sono capaci ancora (ancora!) di non lasciarsi travolgere da questa bolgia
infernale.
Poche voci: e quella di Wanda Lombardi è una di queste.
Persino il titolo è emblematico: Il senso della vita. C'è ancora
qualcuno che si interroga, che prende il tempo per interrogarsi, su queste dimensioni,
non soltanto per cercare un “senso” alla vita – che a detta di molti sembra non
averlo più affatto – ma addirittura per mostrarlo.
Nel suo “tempo” l'Autrice scandaglia sezioni precise di
questo esistere drammatico, sin dalla prima, rapsodica e programmatica, poesia
(“I mali del mondo”). La gioventù traviata, il dolore materno, le ingiuste
detenzioni, l'onestà calpestata, i diritti umani ormai cancellati,
l'isolamento, la solitudine come fuga ormai disarmata ed inerme, quale male
peggiore.
Il resto è deduzione e ramificazione poetica. Ogni
diramazione di questo incipit è analizzata, talora cantata. Si vorrebbe la
speranza, come messaggio (in “Altri colori”), la bellezza come salvezza (da far
custodire “dagli arcieri del tempo”
- “Tra intatte bellezze”), la poesia come via per la libertà (in
“Dipinto di poesia”). Onde luminose di un mare, tuttavia, mai tranquillo, nel
quale sono molti i momenti del cedere, del gridare nel vuoto, con il coraggio
di una denuncia estrema che si sa non avere ascolto altrove.
Ma più di ogni altra cosa, ad avviso di chi scrive, prevale
il senso di partecipata commozione, più che di facile condanna, verso una
umanità alla deriva, che è recisa financo nei suoi germogli, nelle generazioni
che si affacciano al mondo e che appaiono drammaticamente sbandate (“Violenza
giovanile” , “Ragazzo smarrito).
Dove cercare, allora, un senso del vivere, se questo oscuro
è ormai l'habitat delle nostre anime? Forse nel “vagheggiare cieli lontani /
una vita senza regole / seguire la perfezione / o ambire a un 'oltre' ” perché “è di
ciascun uomo il desio / il proprio senso della vita” (da “Il senso della
vita”).
Alfonso Angrisani – Roma, febbraio 2020
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