martedì 18 febbraio 2020

NAZARIO P. LEGGE: "IL LETTO DEL FIUME" DI F. CAMPEGIANI

Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade


Franco Campegiani. Il letto del fiume. Vitale Edizioni. 2020


“E’ il fantasma di una nuova ed inedita civiltà della terra ad animare questa poesia, il risveglio di una condizione elementare del vivere nel cuore dei mali megalopolitani. Anche la decadenza ha un ruolo da svolgere: preparare nel suo notturno grembo le future stagioni aurorali dell’uomo e del mito. Soggiace a questa poesia la metafora eraclitea del fiume, il cui letto è immutabile e le cui acque mutano in continuazione.” La decadenza e la rinascita, la fine e il principio, la notte e l’aurora, tutto costituisce quel quid necessario al formarsi, al rinnovarsi, al bello, al crescere, alla mitopoiesi. Tutto passa, deriva da  una locuzione  greca  (“panta  rei”),   che significa “tutto scorre”: l’eterno  divenire  della filosofia di Eraclito,  che trae dal fiume che scorre il suo famoso aforisma. Nella filosofia greca antica, tale concezione  si  contrappone  a  quella  dell’assoluta eterna  unità  e  immutabilità  dell’essere, affermata dalla scuola eleatica (Elea e Parmenide). A tale punto, credo che sia opportuno prendere spunto dallo scritto incipitario, riportato in quarta, per ben delineare  il pensiero filosofico di Franco Campegiani, l’anima portante del suo canto, il sottofondo di ogni sua espressione critico letteraria: Eraclito, il polemos tra gli opposti: Il bianco il nero, la luce il buio, il caldo il freddo, l’ordine e il disordine. Niente orfismo, nessuna staticità, tutto in divenire, in fieri, verso l’epistemologico giuoco uomo-terra. Nessuno di questi elementi può essere autosufficiente, dacché ognuno necessita della convalida del suo opposto. Senza il caldo non esiterebbe il freddo e così il contrario. Sta  nella simbiotica fusione di essi il succo della vita e della storia. Tocca all’uomo inserirsi in questa mitopoietica evoluzione e non il contrario. L’uomo moderno con tutta la sua tuttologia pensa di sottomettere la natura ai suoi bisogni, mentre il suo compito sarebbe quello di rendersi ingranaggio di un  tutto che ci dà continuamente insegnamenti.  Ed è dalla natura, dalla sua pulcritudine, dalla sua valenza vitale, dalla sua necessità che Campegiani parte:

“Senza peso, potermi inginocchiare
di fronte al padre ruvido ulivo.
 E il ciliegio fraternamente carezzare,
grato per il suo bianco sorriso” (In quel lago).

Ciò che assume valenza emotiva nella sua poetica: le piante subiscono una antropologica metamorfosi, tanto che il ciliegio si riveste di un bianco sorriso, e l’ulivo si fa padre ruvido. Questa è la natura di Franco, ed  è in essa che trasferisce tutto il suo sentire. La vorrebbe nuova, ma badate  bene il suo non è un bisogno di passatismo, non è che vorrebbe tornare indietro arcaicamente, il “bei miei tempi” non fa parte del suo patrimonio genetico. Tutto deve procedere naturalmente e con giusta evoluzione, come natura ci insegna, e l’uomo deve rispettare i processi della madre antica che con le sue varianti ci dà continuamente lezioni di etica e di bellezza: “La vita è brutta perché è bella,/ questo non capiscono i cittadini./ Né può capirlo/ un falso contadino come me” (A Sartre…). “Cantava il gallo/ e scendevamo nell’orto/ rosicchiando il pane dell’alba”. I versi fluiscono snelli e pudichi come il suono degli ottoni di vecchi spirituals di New Orleans. Tante sono le emozioni che Franco vorrebbe trasferirci e siccome spesso la parola non ha il potere di dire tutto, si ricorre a stratagemmi prosodici per allungare il tiro; per creare quegli élans che ci permettano di toccare la coda dell’eccelso. Ed eccole le sinestesie, le metafore, le personificazioni che danno sapore ed elasticità al dettato poetico. Tutto scorre con eleganza e intuizione; tutto è coerenza e linearità. Ogni brandello del “poema” è oggetto di identificazione empatica, dacché Franco ama la natura, la fa  sua e vorrebbe che fosse di tutti e che ognuno la rispettasse come essa vuole. Una plaquette generosa, zeppa di sentimento e ragione, di metodo e concretezza verbale. “Tutto tornerà al suo posto, vedrai./Non può distruggere l’uomo,/ né costruire, altri che se stesso” (Nel segreto degli abissi). Si tratta di difendere un processo che salverà l’uomo: “Il male di oggi è chiuso in un recinto/ di plastificate muraglie,/ ghetto refrattario in una cupola/ agli spiragli di luce…” (Il male di oggi). Ma  non si deve pensare che la narrazione poetica sia frutto di un ordine razionale, e che la ragione prenda il sopravvento in vista di un calcolato obiettivo, di un  credo antecedente, dacché è il cuore che detta, è un’ispirazione di natura empatica a dare sfogo ad una creatività elegante e fertile. E tutto scivola sotto i nostri palpiti con ardore allusivo di figure retoriche che, esse stesse, sono frutto di una foga partecipativa. “Vorrei essere il lombrico che non lascia tracce al suo passaggio…” scrive Franco a chiusura del suo lavoro: “… Vorrei essere il lombrico/ che non lascia tracce al suo passaggio,/ essere la cagna che allatta i cuccioli/ e poi se ne allontana./ Ombreggiatemi, ignoratemi,/ fate crescere/ intorno a questo mio scoppiare di luce./ Ch’io possa spendermi in gesta immemorabili,/ grandi solo per me,/ perché soltanto mia è la vita.” (Hic et Nunc). Tanto buio, tanta notte, a ché si possa gioire della bellezza ed il respiro della luce nascente.

1 commento:

  1. Che magnifica sorpresa, Nazario, e che emozione leggere questa tua nota limpida e ammaliante che va dritta al bersaglio e coglie la radice della mia poesia (non "mia" nel senso che io la possiedo, ma nel senso che lei mi domina ed è lei a possedermi)! Sei di una generosità unica e con parole semplici, commoventi, scavi nel profondo. Come laddove lasci intendere che il polemos tra gli opposti necessita del divenire e dell'essere, quindi non soltanto dell'acqua che scorre, ma anche del letto del fiume perennemente uguale a se stesso. "Nessuno di questi elementi può essere autosufficiente, dacché ognuno necessita della convalida del suo opposto". Meglio di così non poteva essere detto. La creatività, e dunque la poesia, sta qui, nel rinnovamento dell'Essere nel Tempo, dell'Immutabile nel Divenire, nel fare continuamente nuovo il mondo. Grazie Nazario, il tuo incoraggiamento prezioso non può che spingermi a continuare sulla strada della poesia.
    Franco

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