Franco Campegiani, collaboratore di Lèucade |
Pubblicato in seconda edizione (WBooks)
"RIBALTAMENTI" DI FRANCO
CAMPEGIANI (D&M EDIZIONI 2017)
Autopresentazione
Su licenza
della David & Matthaus, dove è uscito in prima edizione nel marzo
2017, esce ora in nuova, aggiornata edizione (WBooks, dicembre 2019) il mio Ribaltamenti.
L'occasione mi è grata per riassumere e chiarire ulteriormente il tema di fondo
della mia teoria:
l'interscambio fra Creato ed Increato, fra Essere ed Ente, fra
Trascendenza ed Immanenza, fra Umano e Divino: poli distinti ed alternanti di
una medesima struttura pensante. Ed è il ritorno di quella visione del mondo caduta
in oblio, ben nota al pensiero prelogico e mitico sapienziale delle arcaiche
culture (cosiddette animistiche, sostanzialmente contadine), che va sotto il nome di armonia dei contrari, indebitamente sopraffatta dall'avvento delle
successive astrazioni razionalistiche.
Armonia dei contrari da non intendersi
come equilibrio tra opposte ragioni (scienza
del compromesso) - il che sarebbe pur sempre razionalismo - ma come
capacità della ragione partigiana di
entrare in relazione con il suo contrario, con l'intelligenza superiore e
spirituale, extrarazionale e universale, neutrale, dell'individuo stesso. Sotto
accusa non è la ragione, elemento indispensabile all'armonia dei contrari, bensì il razionalismo che riduce
arbitrariamente il campo dell'attività pensante al solo elemento razionale. La serrata
critica coinvolge l'intero percorso della cultura occidentale, dagli albori razionalistici
alle attuali fasi nichilistiche, il cui presunto irrazionalismo non è che una
variante del razionalismo stesso, divenuto cosciente dei propri fallimenti.
D'altro canto, razionalismo
ed irrazionalismo - radicati entrambi nella zolla dell'armonia dei simili, che è come dire della disarmonia dei contrari - sono consanguinei essendo nati in parto
gemellare nel mondo classico, con l'apparizione coeva dell'Idealismo e del
Sofismo, della Tragedia e della Metafisica (emblematica la disperazione luttuosa
e folle del trasognato e melico Orfeo quando vede sparire per sempre dal suo
sguardo Euridice). Qualsiasi razionalismo è intriso di sentimento funereo e tragico,
ivi compreso quello misurato e assennato del Saggio, illusoriamente isolato dal mondo e chiuso nella propria
torre d'avorio. Non c'è forma di razionalismo - prudente o esaltata che sia - che
non viaggi schematicamente e a senso unico nel proprio recinto autoreferenziale.
L'armonia dei contrari, invece, germogliata
nel realismo dei vivaci contrasti, delle contrapposizioni sanguigne e vitali, tipico
delle culture prelogiche e delle società contadine, sviluppa una logica
inclusiva e relazionale, antischematica, capace di donare leggerezza ed elasticità
alla mente compressa dal mondo corazzato e sferragliante, materialistico ed
illusorio, urlante e babelico che abbiamo creato. La realtà - lo insegna
l'odierna fisica quantistica, in ciò paradossalmente allineata con gli assiomi
dell'animismo antico - non è fatta di cose, ma di relazioni e di scambi
enigmatici, di quella capacità di dialogo cui possiamo avvicinarci solo
astraendoci dalla bolgia dei paradisi artificiali e dei vicoli ciechi, a senso
unico, in cui ci siamo cacciati.
Si potrebbe pensare
che il relativismo contemporaneo, avendo distrutto il pensiero forte dei dogmatismi antichi, abbia finalmente realizzato
un mondo pluralistico e rispettoso delle diversità, ma la massificazione
imperante mostra il contrario: lo strapotere ha solo mutato abito, instaurando
a livello planetario una forma di assolutismo mai sperimentato prima nella
storia: l'assolutismo relativistico,
il dominio incontrastato della finanza e delle tecniche (degenerate da mezzi a
fini) che viene sostituendosi all'assolutismo
mitologico del passato, talché il pensiero
debole può mostrare, non meno di quello
forte, i suoi artigli poderosi.
Cosa fare per uscire
dal pantano? Tornare indietro significherebbe regredire al Medioevo e non
avrebbe senso opporre alla cultura della globalizzazione una cultura della
frammentarietà. L'identità perduta si trova altrove. Non nel passato, ma dentro
noi stessi. Le radici non sono nella storia, ma nella nostra patria interiore.
Ed ora che il villaggio globale pone l'una accanto all'altra le culture,
relativizzandole e scivolando nell'omologazione, l'occasione è unica per andare
finalmente alla ricerca dei valori assoluti dentro noi stessi anziché nel mondo
esteriore, dove tutto è nel dominio della relatività. Indispensabile dunque porsi
sulle tracce dell'individuale essenza, di quel pensiero che ci pensa, dal quale
siamo pensati, che non è Dio, ma il nostro stesso pensiero extracorporeo al di
fuori degli schemi, ligio ai principi universali.
Il Grande Artefice sta
aldilà dell'aldilà dell'aldilà. Egli è implicito, non esplicito, nell'opera
creata. Come tale non va nominato invano,
ma va messo direttamente in pratica nell'azione quotidiana, attivando quel
dialogo con noi stessi che non è monologo, ma fondamento dell'intera
conversazione universale. I filosofi pensano che la ragione, da sola, possa
bastare, ma, chiusa in se stessa, la ragione piomba in un sonno mortale.
Necessario allora rafforzare la visione prelogica ed animistica del mitopoieta
e dello sciamano - come per altri versi dell'incorrotto fanciullo - divenendo adulti
senza adulterarci e lasciando felicemente crescere il bambino che è in noi. Non
è rimpianto per una scomparsa età dell'oro, non è nostalgia del passato, bensì riscoperta
di facoltà della mente cadute in oblio, riconquista di archetipi posti fra
parentesi ma pur sempre a nostra portata di mano.
Franco Campegiani
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