martedì 18 febbraio 2020

NAZARIO PARDINI LEGGE: PAOLO RUFFILLI: "LE COSE DEL MONDO"


Paolo Ruffilli. Le cose del mondo. Mondadori. 1978-2019



Un viaggio, un nostos attraverso la vita con lo sguardo rivolto al mondo, al mare che più lo rappresenta. Una storia umana che di umano ha la ricerca di un’isola da  raggiungere, dacché siamo nati per averla nell’animo e desiderarla, solo desiderarla, irraggiungibile. E i desideri confliggono con la realtà. E’ così, si naviga tra trabucchi e bonacce e spesso ci si chiede dove andrà a finire la nostra imbarcazione; quel legno che si porta dietro tutto il nostro vissuto. Ruffilli si pone queste domande, per avere delle risposte si affida alle cose che hanno accompagnato il poeta nel suo tragitto. Ma le cose, pur umanizzate, non hanno soluzioni, e mantengono le solite indecisioni che caratterizzano il nostro esistere. Un odisseico travaglio esistenziale, fatto di dubbi e di incantamenti; un profilo intimo che va dal 1978 al 2019. Il poeta ci narra la sua vicenda in maniera indiretta, ricorrendo appunto alle cose che parlano per lui. Il linguaggio è onesto, schietto, fluente, a volte apodittico, libero da orpelli parafrastici, da prosodici accorgimenti; un linguaggio che ci prende per mano e che ci porta nei meandri più segreti della storia di un uomo.      
Ho seguito e letto continuamente, aspettando le novità, i libri di Paolo Ruffilli, le sue espressioni liriche in versi di musicale euritmia, (settenari, endecasillabi intermezzati da versi più o meno brevi per creare quel diagramma radiofonico fatto di input crescenti o decrescenti per corrispondere ai dettami del cuore). In questo libro ho notato un cambiamento di rotta, non semplice o casuale, ma intenzionale fatto di volute, frenate e brusche riprese (dell’anima?, intendiamoci bene su quest’anima; di essa ne vien fuori sempre qualcosa anche se parli di ruggine o di ferro). Il poeta affronta la vita, sì, il suo procedere convulso e accidentato ma indirettamente; il suo percorso è rivolto alle cose; in certi punti addirittura ci si trova di fronte ad un minimalismo di anceschiana memoria; per non dire di correlativi oggettivi di stampo eliotiano. Il poeta   ne guarda, analizza, studia, e immagazzina i riflessi che gli sono davanti come se volesse ricavarne una qualche  verità. Il fatto sta che tante sono le questioni, tanti gli interrogativi che ne derivano, ma tutti senza risposta. Forse proprio questo è il lato più umano dell’opera dacché il poeta si avvicina di più alla precarietà del fatto di esistere. Siamo uomini e come tali incapaci di dare risposte ai quesiti che ci assillano. Di una cosa sola siamo certi, del fatto di essere mortali, e come tali pilotati da Thanatos che decide del nostro tragitto esistenziale. Sì, credo proprio che Ruffilli trovi se stesso, il suo comun denominatore, nel momento in cui le cose che lo circondano non sono sufficienti né lo saranno mai a dargli delle risposte che sfiorino la verità. Una parolona questa verità che nemmeno i filosofi più accaniti riescono a sbrogliare con le loro fragili supposizioni. Comunque quello che trovo interessante è proprio il cambio di rotta a livello formale e contenutistico: l’uomo è nato per azzardare, immaginatevi il poeta.    

Nazario Pardini

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