Franca
Donà: fil rouge. Kanaga Edizioni.
2018
Alle
persone della mia vita ai miei compagni di viaggio e di poesia allo stupore
d’ogni giorno al filo rosso a cui affido le parole A Lavinia e Gioele i miei
piccoli grandi amori
Franca Donà |
Già dalla dedica calorosa e
emotivamente avvincente, emerge la direzione che la scrittrice intende intraprendere.
Un nostos fatto di amore, di gioia, di vita, di slanci emozionali affidati a
iuncturae di ampia tessitura. Spesso alessandrini, raddoppiamenti, ma anche
misure più brevi, ipotrofiche a sostegno
di ipertrofie verbali intense e significanti; anche endecasillabi che in mezzo
a tanta varietà versificatoria rifulgono come punti luce su un tessuto
vellutato accogliente e generoso. Vita quindi in tutte le sue manifestazioni
spirituali e emotive; vita vissuta, sognata, agognata, filtrata da un memoriale
che tende a ingrandire e a ripulire quelle immagini rimaste a decantare in un
animo accogliente, pronto a ridarle alle sinestetiche iperboli del canto. Sì,
di un canto schietto, vellutato, cristallino, che corre su uno spartito di
euritmiche concordanze. Tutto è pulito, tutto abbondante, tutto onesto e
plurale; per questo la poetessa ha bisogno di un verso ampio e largo, multiplo
e polisemico per soddisfare le richieste di un sentire articolato e
proteiforme. Di un sentire che chiede di essere dato al poieo tramite perle di
una collana di un fil rouge prezioso e personale. Lèggere la poesia di Franca è
come essere accarezzati da piume che ti sfiorano delicatamente; da note che
penetrano con dolcezza e sinfonia nell’anima, tipo tristezza, o notturno di Chopin;
o intermezzo dalla Cavalleria rusticana. Ti fermi, arresti ogni tuo moto
interiore, ogni tua facoltà intellettiva ed emotiva, perché tutto te stesso
deve essere convogliato all’ascolto, al godimento di tanto piacere estetico. Ed
è allora che senti scorrere ruscelli trasparenti, frusciare venti sulle foglie
sfrigolanti, suonare onde sugli accordi della
bàttima; oppure vedi giocare fanciulli sui prati, spruzzare di tramonto
le campagne o pettinare d’innocenza le albe. Perché la natura è impegnata, allo
spasimo, in questi accostamenti naturistici. È lei che accompagna con palpiti cromatici
o con vertiginosi effluvi la poetessa nel concretizzare i suoi ricami
sentimentali. Tutti i sensi sono impegnati: quelli ordinari ma anche le
cinestesiche combinazioni che si associano alla folla delle emozioni. Sì, traspare
anche una dolce malinconia dalle note del canto. Quella che V. Hugo definiva:
“Il piacere di essere tristi”, dacché la
Nostra conosce le angolature della vita ed è cosciente della sua
precarietà; vorrebbe che i momenti delle grandi occasioni fossero eterni,
duraturi, all’infinito; vorrebbe che le sue creature, e il suo amore non fossero
legati a una stagione passeggera e momentanea; ad una clessidra che consuma i
sui granelli in un vertiginoso fluire; e sa che la vita non è altro che un
gioco prestato dalla morte. Per questo
allunga sguardi oltre il caduco, fino alla sommità dei cieli, per catturare
l’ebbrezza di un azzurro che sa tanto di duraturo:
Ho occhi d’una madre e del tempo
partorito senza fretta, di
reti colme
e scampoli di cielo, gialli precipizi
di ginestre a capofitto sopra
il mare
e viaggi ancora, per avere
altri occhi,
altre meraviglie e mondi da
inventare.
Sorprese,
meraviglie, creatività, abbandoni a stati d’animo visualizzati in “gialli
precipizi di ginestre”, dove le metafore e i guizzi semantici fanno di tutto
per allungare i significati oltre l’etimo degli stilemi:
É rimasta una foglia appesa
a quell’albero in cima alla
collina
tra il profumo giallo di
ginestre
e il mare a picco a mozzare il
fiato...,
e
dove il tutto è fasciato da una delicatezza panica a stemperare il fatto di
essere tristi; di essere appesi ad un albero come foglie. Questo è il mondo
della Donà. Un mondo di delizie ma anche di improvvise rattenute
vicissitudinali; di impennate esistenziali a fare da fil rouge alla trama di
queste poesie.
Credo
che sia proprio il caso di far scendere in campo Pavese per sottolineare la continuità espositiva, il filo rosso, il leitmotiv che
fa da copyright nella poetica della Nostra: inquietudini che si riverberano in un canto “splendidamente monotono”, come sapeva
dire, da par suo, della poesia. Naturalmente in accezione positiva: uno stile
che si mantiene su un livello medio alto, robusto, sodo, che tiene in sé “la
forma”. Vale a dire quell’equilibrio portante fra dire e sentire che si fa,
nella sua reiterazione, nerbo del “poema”.
Virgilio, nelle Georgiche, IV,
226-7, afferma: “Nec morti esse
locum, sed viva volare sideris in numerum atque alto succedere caelo” (“Per la
morte non c’è spazio, ma le vite volano e si aggiungono alle stelle nell’alto
cielo”). Perché al fin fine quello che domina nella silloge è un forte
sentimento di amore per tutto ciò che la vita ci dona e ci ha donato. Non c’è
spazio per la morte; ma un abbraccio totale ai beni del mondo; alle infinite
libertà di connotazione baudelairiana:
"Uomo libero / amerai sempre il mare / il
mare è il tuo specchio/ nello svolgersi infinito delle sue onde / contempli la
libertà dell'infinito". Quel messaggio tanto umano quanto superlativo,
dacché l’uomo aspira al volo e vede nel mare l’immagine più consona alla fuga,
alla scoperta; a quello stimolo di ricerca che lo fa pensante e tormentato nella
sua vicenda esistenziale:
DI
ORIZZONTI E STELLE
È un cielo terso, colmo di voli
a guidare il viaggio verso l’isola
nel brillio di schegge luminose
adagiate sull’aspro blu del mare.
Nell’inebriante tripudio di colori
steli aggrovigliati al profumo intenso
di zagare e lavanda, corolle delicate
e sfavillanti, suggello dell’amore eterno.
Strappati dalle mani indomite del vento
i panni stesi al sole, sui fili
dell’infanzia
e la carezza alle conchiglie sulla sabbia
su cui adagio i passi tra gli odori
d’alghe.
Gorgogliano le schiume bianche nei calanchi
le reti aperte ad ammagliare il fondo,
il guizzo veloce di prede e pescatori,
lo schiocco del legno nella gioia del
ritorno.
Le vele a catturare bagliori fiammeggianti
lungo la via che conduce al litorale, le
luci
delle case sul profilo nero nell’abbraccio
stretto a un lembo di velluto, e poi le
stelle.
Eccola la poesia di Franca Donà: è
tutta in questa simbiotica fusione fra armonie verbali e franchezze spirituali;
fra: “il
viaggio verso l’isola e lo schiocco del legno nella gioia del ritorno”.
Nazario Pardini
DAL
TESTO
SCRIVO
DI QUESTA SERA
E
DEL GIORNO
Scrivo
di questa sera e del giorno
parole
invisibili e stanche
silenziosi
tramonti sulle rive distanti
e
l’eterno conflitto di azzurri e di abissi.
Sento
di appartenere a questo cielo sgranato
al
lento sbriciolarsi di nuvole nel verso del velluto,
in
questa strada in cui le rondini segnano i ritorni
e
le partenze hanno il consenso solitario del mare.
Mi
domando se basti seguire la scia del vento
per
diventare aquiloni, se alcuni diventino stelle
o
restino soltanto carta colorata, appesa inutilmente a un filo.
Non
c’è limite alcuno all’immenso
al
peso lieve del tempo che curva le spalle
alla
bellezza inusuale dei solchi argentati
in
quel gioco di pioggia sottile che fa crescere i fiori.
IL BIANCO DELLE COSE
Torno
spesso al bianco delle cose
la
neve dei greppi, il muschio gelato
il
fiato nell’aria e i fiori del pruno
nel
vento che sfuma di rosa il ricordo
del
lino sfrangiato e il latte col pane.
La
curva del giorno nella bava di nebbia
il
bianco del mio dente perduto, il primo,
e
il sapore del sangue, la curva del viso
appoggiato alle mani e il primo quaderno.
appoggiato alle mani e il primo quaderno.
L’abito
bianco dei miei sette anni
con
fili di seta e due dita d’amore,
nel
profumo incantato dei gigli
e
la cera di candele appassite all’altare.
Ho
guardato fino a straziare gli occhi
il
riverbero immutato della neve,
cercando
nelle orme la logica dei voli,
il
perché del tempo e delle sillabe lasciate
e
non ho trovato nulla, solo bianco.
(...)
Come ringraziare di questa meravigliosa sorpresa, di questa accurata e delicata lettura che il gentilissimo Prof. Pardini ha voluto dedicare al mio "Fil Rouge", alla mia semplice e amata poesia?...Dal profondo del cuore grazie! Un caro abbraccio e buone feste a Lei e a tutti gli amici di Leucade. Franca Donà
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