La consolazione della sera, di Sabino
Caronia
(Schena Editore)
(Roma, Caffè Letterario HoraFelix, 08/12/2018)
"Oh, se si diventasse felici soltanto con la
consolazione e non ci volesse anche un po' di felicità per essere felici!". Con questo esergo, ripreso da una lettera di
Kafka al suo amico Max Brod, si apre La
consolazione della sera di Sabino Caronia. Consolazione che, spiega fin
dalle prime pagine l'autore, altro non è, per Kafka, che la consolazione della
creazione letteraria, intesa come conforto nella monca realtà in cui viviamo.
Sognante conforto che non è tuttavia una chimera, quanto un reale avvistamento
(non più di un avvistamento purtroppo), di una patria lontana. Fiammate che si
accendono e si spengono lasciando in bocca un dolce/amaro infinito. L'assoluto
esiste realmente se noi possiamo pensarlo, ma la certezza non deve esaltarci:
non ne vale la pena, visto che la vita finisce sempre male, come asserisce
l'autore ricordando Bolano sul finire del suo Stella distante.
Nei romanzi di
Kafka, avverte Caronia, le vicende avvengono in uno spazio "le cui
connessure sono così ermeticamente chiuse che ci si sorprende quando a un certo
punto viene citata qualcosa che non rientra in quello spazio". Non si
sfugge alla prigionia dell'esistere, ma sarebbe invivibile la vita senza quei
barlumi che ci ostiniamo a definire illusioni, ma che non sono altro che
richiami verso le verità dell'Essere, da cui restiamo purtroppo e comunque
separati. La chiave metafisica è irrinunciabile per un corretto approccio all'opera
di Kafka, la cui origine ebraico-chassidica ne rende opportuna la lettura in
chiave esistenzialistica e keerkegaardiana. Come Caronia fa, quando ricorda che
il padre di Franz rimproverava al figlio la sua assoluta inconcludenza:
"aveva ragione Keerkegaard che si deve colpire a morte la speranza
terrestre e solo allora ci si salva con la speranza vera".
Questo testo si
presenta come un diario atipico, dove il tratto autobiografico si lega alla
narrazione storica e al saggio critico, in un montaggio che lo rende di
difficile classificazione. Un mix spiazzante di generi letterari, con repentini
spostamenti nello spazio e nel tempo, in una trama non lineare, ma
continuamente interrotta, per associazioni di idee, da un aleggiare di ricordi
personali misti a fatti di cronaca, a citazioni letterarie, ad aneddoti kafkiani,
il tutto condito da sagaci e sapidi commenti filosofico-esistenziali. Le
digressioni e i voli pindarici danno andamento stravagante e pirotecnico alla
scrittura, con un tratto vivacissimo e frammentario, che ha il merito di
accostare la letteratura alla vita, ai fatti, alle cose, risultando gradito al
gusto letterario del nostro tempo.
Il
testo fa la sua apparizione a cento anni dall'abbattimento della colonna
mariana di Praga, la Mariensaule,
dove Kafka - testimonia l'autore - usava incontrarsi con il suo amico Max Brod.
Quella colonna, che in queste pagine diviene il simbolo dell'intramontabile
presenza kafkiana, richiama alla mente dello scrittore un'altra colonna
mariana, sita all'uscita della Libreria Vaticana di Roma, dove nel '91, al
termine della presentazione di un suo libro (L'usignolo di Orfeo) svolta da Italo Alighiero Chiusano, egli si
era congedato dal noto germanista "innamorato di Kafka". E dove
ancora, anni dopo, nello stesso luogo, aveva avuto la sensazione di incontrare il
redivivo spirito kafkiano: apparizione enigmatica, avvertita come suo alter ego.
Da
qui la fantasia si sbriglia, dando la stura al mondo mitico-magico di cui l'autore
si nutre, con la descrizione di transfert,
di bilocazioni, di coincidenze emblematiche che sembrano alludere a un segreto
ordine del mondo, a un segnato destino. Dieu
se cache dans les détails, aveva risposto Flaubert a Maupassant che gli
chiedeva se per lui realmente fosse morto Dio. Dio vive nei particolari, conferma Caronia, ed è, direi, una
confutazione clamorosa del nichilismo, come pure della metafisica tradizionale,
manzoniana se vogliamo, con quel Dio onnisciente che vede tutto dall'alto.
Caronia però non filosofeggia, preferisce parlare di esperienze vissute, reali,
evidenziando concomitanze e similitudini, fino a soffermarsi sulla tragica fine
della principessa Diana, vittima di quel dissidio insolubile tra realtà e sogno
che fu anche di Kafka, come per altri versi di Chiusano, e dello stesso
Caronia.
Affinità
elettive. L'autore ripercorre le tappe della sua lunga amicizia con Chiusano,
lo straordinario negromante conosciuto
nell'86, anno della cometa di Halley, in occasione della presentazione di un
libro dello stesso Chiusano (Il vizio del
gambero), fino alla sua opera teatrale Consideratemi
un sogno, pubblicata postuma nel '97, "l'anno dei miei cinquant'anni,
l'anno della cometa Hale Boop", l'anno dei prodigi insomma, che è anche
"l'anno della morte di Diana". E
quando, nel '95, l'illustre amico muore, egli, che non crede sia morto davvero,
va con la mente alle pagine conclusive del suo celebre romanzo Konradin, dove l'ombra di Federico II
appare a Corradino per trasportarlo fuori dal carcere e offrirgli un'estrema
possibilità di fuga prima dell'esecuzione. "Guardare Kafka è come
attingere ad un serbatoio metafisico", gli aveva confidato Chiusano
qualche tempo prima di morire.
E
lui, da allora, aveva preso a guardare intensamente la foto di Kafka appesa
alla parete del salotto, finché un giorno quell'immagine si era animata ed era
apparso lo scrittore in carne ed ossa che aveva preso a leggere un libro posto
sulla scrivania. Di che parlava quel libro? parlava di Channuccà, la festa ebraica delle luci, ma in una stupefacente metamorfosi,
il fantasma in quelle pagine aveva iniziato a leggere la propria vita, andando
alla notte del 1910 in cui era apparsa la cometa. Alzatosi dalla scrivania,
immobile di fronte alla finestra della cucina, aveva preso ad osservare il
"cielo di Praga, cupo, profondo", mentre s'illuminava a quel
passaggio e "in un punto lontanissimo della notte morivano migliaia di
uomini". Osservava da quel magico nido la spettrale città irrigidita nel
ghiaccio e negli orribili scenari di guerra, come in bilico tra il calore della
sua casetta e l'esterno fluire tempestoso della vita.
E
si sentiva, dice Caronia, come il cacciatore Gracco, protagonista di una sua
nota novella, "il quale, inseguendo un cervo nella Foresta Nera, era
caduto e da allora era rimasto sospeso fra l'al di là e l'al di qua, a causa di
un fatto misterioso che gli vietava sia di vivere che di morire". "La
conosceva bene, commenta Caronia, quella sensazione di essere morti mentre si è
ancora vivi". Situazione angosciosa, ma è proprio in quel bilico,
aggiunge, che si può "togliere alla disperazione il terreno sotto i
piedi". Sereno e tragico il fatalismo kafkiano. Ed è così che, nella sua
angoscia esistenziale, il praghese riesce a palpitare, avvertendo che "in
quella bella notte, solo che lo avesse desiderato, avrebbe potuto alzarsi in
volo sopra la ringhiera e girando uscire a nuoto dalla riva" (parole
dell'autore).
Realtà
e sogno sono distanti anni luce, ma in alcuni momenti si toccano, si devono
toccare, e sta qui la consolazione della
sera. Su questa stessa linea viaggia la riflessione sul sesso e sulle
donne, sulla pornografia e sull'erotismo stimolata dalla dichiarata
attrazione-repulsione di Kafka per i bordelli. Ma ancor più dai suoi sinceri
amori femminili: Mania Tchissick, Felice Bauer, Dora Diamont, donne assai
diverse tra di loro. Sogno e realtà, materia e spirito, si contrappongono, ma seppure
raramente, sono deputati ad incontrarsi tra di loro. Ciò avviene nella
creazione letteraria come negli incontri amorosi, e come in ogni altro aspetto magico
dell'esistenza umana. Attimi fuggenti che non soddisfano l'ansia di assoluto,
ma che possono essere consolatori, se sappiamo non farne feticci al cui
cospetto cadere in prostrazione. Per questo, ha detto Benjamin "è più
arduo onorare la memoria degli individui anonimi che di quelli celebri",
ricorda Caronia.
La
costruzione storica ha due significati, egli scrive: "di una cosa già
fatta e di una da farsi". La realizzazione compiuta di un progetto è in
divenire, non sta in un'opera finita, in un risultato concreto, storicamente
definito: "Tutto ciò che costruisco, dice Kafka, è aereo, senza
consistenza". Come nella sua vita amorosa con Dora, "nel loro
rapporto "costruito, certo, ma anche sempre da costruire, volta a volta,
giorno dopo giorno", spiega Caronia. In Descrizione di una battaglia, Kafka si rivolge alla Città, alle sue
costruzioni stabili, alle persone, alle cose, e chiede: "Perché mai fate
come se foste reali? volete forse farmi credere che sono irreale io?" La
vera realtà è fluttuante, sfuggente, non è fotografabile, le fotografie fissano
l'immagine, sono un artificio.
Da
qui Il vizio del gambero, sotto il
cui segno era nata l'amicizia di Caronia con Chiusano, quel desiderio di
camminare all'indietro, di "voler regredire verso il preumano",
"quella kafkiana smania di cancellarsi, quel rifiuto del qui e ora". Una distruzione
dell'ego, una disintegrazione delle corazze, un ritorno alle essenze, una
rinascita interiore. Ed è, dice Caronia, "la stessa sensazione di Ciàula
quando, uscendo fuori dalla miniera, per la prima volta scopre la luna".
"Restò sbalordito", dice Pirandello. La prima volta: dovrebbe sempre essere la prima volta nella vita di un uomo, sempre il momento dello
stupore iniziale, un baleno, una fulminante consolazione.
Ma oramai Caronia galoppa a briglia sciolta e noi non possiamo più seguirlo nelle
sue evoluzioni. Ci sarebbero molte altre cose da dire, ma dobbiamo chiudere per
ovvie ragioni.
Franco Campegiani
L'evento di Sabino Caronia, che si è tenuto alla Libreria Caffè Letterario Horafelix, ha visto come illustri relatori Franco Campegiani e Sandro Angelucci. Abbiamo letto la recensione di Sandro, ora abbiamo l'opportunità di assorbire con i cinque sensi il meraviglioso lavoro esegetico del nostro Franco.Kafka e Caronia, fusi e divisi in questo diario - saggio, nel quale 'la fantasia si sbriglia, dando la stura al mondo mitico-magico di cui l'autore si nutre, con la descrizione di transfert, di bilocazioni, di coincidenze emblematiche che sembrano alludere a un segreto ordine del mondo, a un segnato destino'. Franco gioca su tutti i registri possibili per tributare all'Opera del grande Artista e Amico Sabino Caronia il più autorevole dei tributi. E ci riesce. Io ho avuto la fortuna di ascoltarlo di persona e ho sperimentato uno stato di trance. Esistevano solo le sue parole e ogni concetto diveniva visibile, luminoso, ricco di colori. Non finirò mai di ringraziarlo, in quanto sono circa vent'anni che mi concede simili Doni. Lo abbraccio e ne approfitto per stringere Sabino, Sandro, Loredana - magnifica lettrice - e il nostro immenso 'Nume tutelare' Nazario.
RispondiEliminaMaria Rizzi