Riflessioni intorno all’articolo di
Franco Campegiani
di Marisa Cossu
La
grande illusione:
Marisa Cossu, collaboratrice di Lèucade |
filosofia degli opposti
tra logica inclusiva e astrazione razionalistica
Nel pregevole e puntuale articolo “ La
filosofia degli opposti”, Franco Campegiani, che ringrazio vivamente per
l’input, tratteggia le argomentazioni essenziali per giungere ad una
chiarificazione possibile del millenario “verum facere” nella ricerca,
complicata, piena di insidie psicologiche e filosofiche, di un’armonia tra gli
opposti caratterizzanti le proposizioni
del nostro pensiero e della nostra esperienza; perché se è valido il principio
di necessità e reciprocità tra gli opposti, allora essi, a rigor di logica, sono
entrambi veri o entrambi falsi. Non si comprenderebbe, infatti a quale dei due
si attribuisca arbitrariamente valore di verità, se non ricorrendo alla ragione
o all’intuizione.
La verità può essere guardata da
ottiche diverse, sia da una prospettiva ontologica, sia da criteri gnoseologici,
sia sotto aspetti etici che riguardino la coerenza e l’onestà. Per non “creare
confusione”, come dice Campegiani, bisogna ricorrere dapprima alla logica degli
enunciati e dei predicati che fissa “tavole di verità” inerenti la relazione
tra due o più proposizioni, proprio quelle semplici tavole di lingua e logica, che gli insegnanti
utilizzano a scuola quando spiegano matematica o semantica. Per non restare “ingabbiati nel campo
dell’arbitrio” è opportuno soffermarsi su una visione più ampia del problema
dove si snodano alcuni temi fondativi quali: apparenza/verità - immagine/realtà
- sensazione/percezione/realtà- oggettivo/soggettivo – Arte/cervello – anche alla luce delle più recenti scoperte
nel campo neurobiologico in sinergia interdisciplinare. Ecco una sinteticissima
noticina tratta dalla storia della
filosofia ( mi scuserà Franco Campegiani per qualche inesattezza o frettolosa omissione):
Parmenide introduce il “principio di non contraddizione”, alla
base dell’idea di Platone. Aristotele
assunse simile definizione: la verità di un discorso è “dire gli enti come sono”e nella contemplazione della verità risiede
la felicità, scopo ultimo della conoscenza metafisica. In età medioevale si parla
di “doppia verità”: dalle diatribe
islamico-cristiane, la verità di fede e ragione costituiscono un’unica verità.
Con Tommaso d’Aquino, l’aristotelismo torna in auge nella dottrina della Chiesa
che si appropria del patrimonio filosofico elaborato da Socrate, Platone,
Aristotele, Plotino. La verità è trascendente, non può essere dimostrata se non
mediante un atto intuitivo, mistico.
Il pensiero moderno mette in crisi
questa definizione di verità (Cartesio,
Berkeley, Hume): si esclude dalla verità tutto ciò che non può essere
dimostrato oggettivamente ed è questa la concezione del positivismo ottocentesco.
Ma siamo ormai alla grande svolta del
‘900 della logica matematica: non tutto
ciò che è vero è dimostrabile, afferma
K. Godel nei teoremi d’incompletezza. Se un sistema è logicamente coerente la
non contradditorietà non può essere né dimostrata né confutata stando
all’interno del sistema formale stesso, la sua coerenza è proprio in questa indimostrabilità.
Così una struttura si autoregola e si determina. Si afferma quindi una differenza
tra verità intuitiva e verità conseguente ad una dimostrazione, la prima fa riferimento
alla semantica, la seconda alla sintassi. Risale a Leibnitz la verità di ragione e verità di fatto: “le verità di ragione sono necessarie e il
loro opposto è impossibile, mentre quelle di fatto sono contingenti e il loro
opposto è possibile”. Ne conseguono realismo e pragmatismo ma anche un soggettivismo
metafisico per cui non si può conoscere che il contenuto della propria
esperienza. Tutto è relativo, sembrano dire i risultati di varie ed autorevoli
argomentazioni: tutte le verità sono relative, all’opposto coesistono realtà
assolute che emergono dalla stessa natura umana.
Stimolata da queste riflessioni, mi
sento di poter affermare che l’apparenza del vero, cioè della realtà percepibile
sia una “GRANDE ILLUSIONE” se rapportata alle peculiarità
umane. La realtà e la sua validazione possono solo essere intuite, anelate, ma
solo l’assoluto è vero.
La rappresentazione della realtà è
quanto mai legata alla consistenza
dell’esperienza e della cultura così che non si sappia con certezza quale
rappresentazione delle cose e di noi stessi vedano gli altri.
E poiché il mio campo non è la
filosofia, ma la psicologia (e la letteratura), suggerisco alcune considerazioni
che dai miei mondi provengono e vengono alimentate.
“Noi
siamo di tale stoffa, come quelle di cui son fatti i sogni,
e la nostra breve vita è chiusa in un sogno.”
“
W. Shakespeare”
Nell’ “Età dell’immagine”e del
virtuale, ci si confronta spesso sul tema della “rappresentazione”, sia in
quanto sull’apparire si fondano i criteri etici ed estetici della società
contemporanea, sia perché la riflessione da diversi punti di vista, può
contribuire a far luce sugli aspetti più controversi dell’antinomia intorno cui
si svolgono queste sintetiche argomentazioni.
L’immagine è il volto che presentiamo agli
altri, perciò la carichiamo di significati appartenenti alla persona che vorremmo
essere o a cui ci conformiamo per essere accettati ed amati. L’uomo, vero a se
stesso non è, se non metaforicamente un collezionista di maschere e si rifugia
in esse nel contesto delle relazioni sociali, tanto che Pirandello ebbe a dire,
riferendosi all’opera teatrale Sei
personaggi in cerca d’autore, che essi “sono
più veri e reali di tutte le persone che erano in teatro”.
Mi soffermerei a guardare da altri
punti di vista l’affascinante tema dell’apparenza e della verità, oggi che
l’apparire sembra essere il tratto distintivo e necessario dell’uomo, la sua grande illusione.
Perché “la grande illusione”?
Essa è il sentiero che ci guida nella
ricerca di ciò che è, attraverso lo
svelamento del mondo e la conoscenza di noi stessi. Forse è l’errore che
dobbiamo compiere, il muro su cui dobbiamo inerpicarci, l’infingimento che ci stordisce,
da cui ritornare dopo un duro lavoro che a volte copre gran parte della vita.
“Nessuno
si attiene a un solo ruolo, ma tutti siamo multiformi”(Seneca)
“Spesso
gli uomini vivono di sogni” (Platone)
L’uomo è immerso nella materia, ma il materialismo è negazione del soggetto perché le due cose
combaciano; ma anche l’idealismo sembra errato perché considera la materia divisa dall’idea che la sottende;
la vita continua ad essere sogno, incantesimo, una realtà oscura che il Contemporaneo
cerca di ignorare ed esorcizzare dimentico dell’indagine svolta dagli albori
del pensiero intorno ai temi della vita e della morte. In questo corridoio
delle idee la Storia insegna, anche se a volte il fiume cronologico non spiega
in quale modo e per quali ragionamenti si svolga tale processo. La stessa
tradizione culturale e popolare conferma il concetto di trasmissione delle
conoscenze empiriche e non.
Nella realtà il principio del divenire si manifesta come necessità fisica,
logica, matematica e morale, ovvero come causalità; la rappresentazione, il
fenomeno è l’apparenza illusoria e consiste nel fatto che il soggetto e
l’oggetto siano considerati come espressioni delle forme a priori di spazio ,
tempo e causalità, come afferma Schopenhauer.
La distinzione tra fenomeno e noumeno
spiega che il fenomeno è la sola verità accessibile alla mente umana; il fenomeno è illusione, sogno, apparenza
mentre la cosa in sé è il noumeno .
Ciò che il corpo può conoscere
attraverso l’esperienza sensibile si scontra con un velo che nasconde l’essenza
delle cose, la verità su di esse, e realizza una consapevolezza al limite della natura umana.
Ciò che vediamo, e di cui creiamo
immagini mentali attraverso i sensi, è ingannevole e illusorio: non sempre ciò
che è, è come sembra.
“E’
Maya il velo ingannevole che avvolge il volto dei mortali e fa vedere loro un
mondo del quale non può dirsi né che esista né che non esista; perché ella rassomiglia
al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da
lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che
egli prende per un serpente” ( Schopenhauer)
Quindi la realtà visibile
dell’apparenza è illusione, l’essenza della realtà, o noumeno, si nasconde nel
fenomeno, ( ed ecco il nascondiglio
dell’essere di Heidegger).
Dobbiamo rompere questo velo per
calarci nel nascondiglio, nell’ infinita
ricerca dell’essenza, della conoscenza e della bellezza perché solo in questa dimensione e proiezione della
nostra soggettività possiamo cogliere tracce significative dell’assoluto,
uscendo dall’equazione conoscenza-rappresentazione.
Nell’io profondo, l’uomo sente la volontà di vivere e di
guardare oltre il sensibile percettivo per giungere ad un’idea di mondo disegnata
non soltanto dall’apparato neurobiologico di ciascuno, ma dato da idee che si
celano nell’ assenza e che, proprio
perché misteriose, stimolano l’anelito
metafisico dell’uomo.
In questo percorso l’uomo si ferma,
ritornando in se stesso, e trova il tempo per riflettere sulla vita e sul rapporto
con l’altro; qui può scoprire che l’apparenza, ciò che soggettivamente sembra
vero, è mutevole opportunismo, conformismo, narcisismo. Esiste l’essere oltre
l’esistito, il possibile divenire costruito dalla volontà. Ottima la citazione di un filosofo ( G. Leone, Le ceneri
di Gramsci) a proposito del bambino , il divenire, “il sapiente che non sa di
sapere” nel capovolgimento dell’aforisma socratico.
Anche l’arte viene in aiuto di questa
riflessione:
nella pittura contemporanea citerò, tra
i tanti, un esempio di consapevolezza della dualità dell’animo umano e della
visione del mondo, Magritte, che amo proprio perché riesce a sollevare dubbi
sull’apparenza e la verità, ammesso che esista una verità comprensibile
dall’uomo, dato che essa è un valore assoluto e dogmatico.
Il surrealismo di Magritte è un prodotto mentale, come per il
grande Leonardo, e viene spiegato dagli opposti di cui è costituita l’anima
umana: realtà - apparenza, sostanza -
evanescenza, luce – ombra; il velo di
Maya compie il suo lavoro anche qui, nelle contraddizioni e nel paradosso,
volutamente lontano da ogni simbolismo, dove la visione della realtà e la sua
rappresentazione sono facce di una
stessa medaglia di cui non si comprende
quale sia l’immagine reale e quella ingannevole ma possibile; esse, infatti,
coesistono nello stesso dipinto, ciascuna con la sua forza espressiva,
enigmatica, essenziale.
Risulta l’insanabile distanza che
separa la realtà dalla rappresentazione: “l’immagine
assume allora l’aspetto di uno schermo cieco la cui ovvietà non è altro che
un’illusione.”
Il
tradimento delle immagini (Questa non è una pipa,1929), fa ben comprendere come tra apparenza e verità
non si possa distinguere. Solo a livello morale e psichico l’uomo può esprimere
un’idea di valore. La storia è maestra di vita, ma esercita il potere nei
limiti del libero arbitrio se non si vuol pensare ad una cronografia dei
destini umani che troncherebbe anche questa breve conversazione.
Vorrei concludere in poesia, mia
principale passione, con una breve riflessione su Eugenio Montale, premio Nobel
per la letteratura, nel 1975. Il poeta “della
condizione umana”, esprime nella sua opera, un pensiero molto vicino a
quello di Shopenhauer; perciò è stato definito il poeta della negatività o della corrosione critica dell’esistenza (A.
Marchese); in realtà egli è testimone delle contraddizioni e degli affanni
del suo tempo. La coscienza intellettuale lo pone al di sopra delle parti in
una condizione di solitudine e incomunicabilità ma il suo impegno etico ed
umano è universale e gli consente il
necessario distacco per esprimere la sua poetica. L’universo in cui tenacemente
risiede il poeta, potrà trovare un punto di fuga e squarciare la realtà apparente?
“
Si tratta di arrampicarsi sul sicomoro/ per vedere il Signore se mai passi. /
Ahimè, non sono un rampicante ed anche/ stando in punta di piedi non l’ho mai
visto”. (Montale, Il diario).
In conclusione, con Montale, amo citare
questi versi emblematici.
“Sotto
l’azzurro del cielo qualche uccello di mare se ne va; né sosta mai:perché tutte
le immagini portano scritto ”più in là”.
Marisa Cossu
Gentilissima Dottoressa, innanzitutto mi permetta di ringraziarla per la lettura così attenta e per lo studio così profondo riservato al mio scritto. Le chiedo scusa per il ritardo con cui le rispondo, dovuto ad una serie di impegni e di scadenze che non ho potuto fare a meno di onorare. Per entrare nel vivo delle sue argomentazioni, non penso, quando lei afferma che gli opposti "o sono entrambi veri o entrambi falsi", che voglia intendere che il bianco e il nero o sono tutti e due bianchi o tutt'e due neri. Immagino che lei voglia dire un'altra cosa, e cioè che il bianco e il nero sono veri entrambi, pur contrastandosi, in una sana ed inclusiva relazione, mentre sono falsi entrambi in una insana relazione che tenda alla vicendevole eliminazione. Se è così, come reputo, le garantisco che la penso alla stessa maniera. La logica tradizionale, fondata sul principio di non contraddizione, tende a separare ciò che è unito e unito deve restare. Essa è pertanto inadeguata a comprendere i principi relazionali di complementare contraddittorietà propri dell'armonia dei contrari (oggi riscoperti dalla logica quantistica). Il Tutto non esiste senza il Nulla, né il Vuoto senza il Pieno, o l'Essere senza il Non essere, o il Bene senza il Male (e così via). Allo stesso modo Assoluto e Relativo, pur essendo lontanissimi, stanno in relazione tra di loro (né ciò ha a che fare con il panteismo che identifica le due sfere). C'è un punto di contatto, o di equilibrio, una cerniera, che resta inimmaginabile per chi preferisce pensare i due piani radicalmente scissi tra di loro. Quel punto di equilibrio è lo spirito, che sempre concreto e vivacissimo, a parer mio non ha nulla a che fare con il noumeno, con l'astratto mondo delle idee separate dal sensibile. L'allineamento tra materia e spirito viene deviato proprio dalla mente, con le sue menzogne ingiustamente definite "inganni sensoriali". Soltanto la mente può mentire, ma beninteso può anche scegliere di viaggiare secondo ingranaggi naturali e universali. Non sempre, infatti, la mente è malata, non sempre affoga nel particolarismo. C'è un modo di essere universale della parte che si manifesta quando e laddove essa, anziché cellula impazzita nell'organismo universale, riesca a sentirsi tessera dell'immenso mosaico. Ciò accade quando riesce ad ascoltare i messaggi che, dal proprio nascondiglio, l'Essere le invia. Sono d'accordo con lei, Dottoressa: la rappresentazione della realtà non può che essere illusoria, mentre "solo l'assoluto è vero". Mi permetto solo di aggiungere che, dove la rappresentazione è mentale, e pertanto soggettiva, l'assoluto è spirituale. E dal momento che ciascuno ha il proprio spirito, ciascuno, volendo, può sperimentare la propria verità e la propria assolutezza, pur stando nel fenomenico e senza misticismo alcuno. Dal nascondiglio dell'Essere, in fondo, è il nostro stesso Essere a parlare. A noi ascoltarlo, uscendo dal nostro nascondiglio e gettando al macero le maschere dietro cui ci rifugiamo. A noi tornare bambini: quei sapienti che sanno, ma non sanno di sapere, come lei stupendamente rammenta citando "Le ceneri di Gramsci di G. Leone. La ringrazio ancora molto per le sue attenzioni.
RispondiEliminaFranco Campegiani
"Le ceneri di Gramsci" è il notissimo poemetto pasoliniano pubblicato nel 1957, dove affiorano le angoscianti contraddizioni ideologiche del grande scrittore. Invece Giovanni Leone è il Presidente del Consiglio cui Pasolini indirizzò un'accesa lettera polemica pubblicata da "Il Tempo" il 21 settembre del 1968. Chiedo scusa per l'imperdonabile disattenzione dovuta alla frettolosa e non ponderata trascrizione di quanto in proposito lei ha scritto.
RispondiEliminaFranco Campegiani