giovedì 6 dicembre 2018

MARISA COSSU: "RIFLESSIONI INTORNO ALL'ARTICOLO DI F. CAMPEGIANI"



Riflessioni intorno all’articolo di Franco Campegiani
di Marisa Cossu

La grande illusione:
Marisa Cossu,
collaboratrice di Lèucade
  filosofia  degli opposti  tra logica inclusiva e astrazione razionalistica
Nel pregevole e puntuale articolo “ La filosofia degli opposti”, Franco Campegiani, che ringrazio vivamente per l’input, tratteggia le argomentazioni essenziali per giungere ad una chiarificazione possibile del millenario “verum facere” nella ricerca, complicata, piena di insidie psicologiche e filosofiche, di un’armonia tra gli opposti caratterizzanti  le proposizioni del nostro pensiero e della nostra esperienza; perché se è valido il principio di necessità e reciprocità tra gli opposti, allora essi, a rigor di logica, sono entrambi veri o entrambi falsi. Non si comprenderebbe, infatti a quale dei due si attribuisca arbitrariamente valore di verità, se non ricorrendo alla ragione o all’intuizione.
La verità può essere guardata da ottiche diverse, sia da una prospettiva ontologica, sia da criteri gnoseologici, sia sotto aspetti etici che riguardino la coerenza e l’onestà. Per non “creare confusione”, come dice Campegiani, bisogna ricorrere dapprima alla logica degli enunciati e dei predicati che fissa “tavole di verità” inerenti la relazione tra due o più proposizioni, proprio quelle semplici tavole  di lingua e logica, che gli insegnanti utilizzano a scuola quando spiegano matematica o semantica.  Per non restare “ingabbiati nel campo dell’arbitrio” è opportuno soffermarsi su una visione più ampia del problema dove si snodano alcuni temi fondativi quali: apparenza/verità - immagine/realtà - sensazione/percezione/realtà- oggettivo/soggettivo – Arte/cervello –  anche alla luce delle più recenti scoperte nel campo neurobiologico in sinergia interdisciplinare. Ecco una sinteticissima noticina tratta dalla  storia della filosofia ( mi scuserà Franco Campegiani per qualche inesattezza o frettolosa omissione):
Parmenide introduce il “principio di non contraddizione”, alla base dell’idea di Platone. Aristotele assunse simile definizione: la verità di un discorso è “dire gli enti come sono”e nella contemplazione della verità risiede la felicità, scopo ultimo della conoscenza metafisica. In età medioevale si parla di “doppia verità”: dalle diatribe islamico-cristiane, la verità di fede e ragione costituiscono un’unica verità. Con Tommaso d’Aquino, l’aristotelismo torna in auge nella dottrina della Chiesa che si appropria del patrimonio filosofico elaborato da Socrate, Platone, Aristotele, Plotino. La verità è trascendente, non può essere dimostrata se non mediante un atto intuitivo, mistico.
Il pensiero moderno mette in crisi questa definizione di verità  (Cartesio, Berkeley, Hume): si esclude dalla verità tutto ciò che non può essere dimostrato oggettivamente ed è questa la concezione del positivismo ottocentesco.  Ma siamo ormai alla grande svolta del ‘900 della logica matematica: non tutto ciò che è vero è dimostrabile, afferma K. Godel nei teoremi d’incompletezza. Se un sistema è logicamente coerente la non contradditorietà non può essere né dimostrata né confutata stando all’interno del sistema formale stesso, la sua coerenza è proprio in questa indimostrabilità. Così una struttura si autoregola e si determina. Si afferma quindi una differenza tra verità intuitiva e verità conseguente ad una dimostrazione, la prima fa riferimento alla semantica, la seconda alla sintassi. Risale a Leibnitz la  verità di ragione e verità di fatto: “le verità di ragione sono necessarie e il loro opposto è impossibile, mentre quelle di fatto sono contingenti e il loro opposto è possibile”. Ne conseguono realismo e pragmatismo ma anche un soggettivismo metafisico per cui non si può conoscere che il contenuto della propria esperienza. Tutto è relativo, sembrano dire i risultati di varie ed autorevoli argomentazioni: tutte le verità sono relative, all’opposto coesistono realtà assolute che emergono dalla stessa natura umana.
Stimolata da queste riflessioni, mi sento di poter affermare che l’apparenza del vero, cioè della realtà percepibile sia una  GRANDE  ILLUSIONE” se rapportata alle peculiarità umane. La realtà e la sua validazione possono solo essere intuite, anelate, ma solo l’assoluto è vero.
La rappresentazione della realtà è quanto mai legata alla consistenza dell’esperienza e della cultura così che non si sappia con certezza quale rappresentazione delle cose e di noi stessi vedano gli altri.
E poiché il mio campo non è la filosofia, ma la psicologia (e la letteratura), suggerisco alcune considerazioni che dai miei mondi provengono e vengono alimentate.

“Noi siamo di tale stoffa, come quelle di cui son fatti i sogni,
 e la nostra breve vita è chiusa in un sogno.”
“ W. Shakespeare”

Nell’ “Età dell’immagine”e del virtuale, ci si confronta spesso sul tema della “rappresentazione”, sia in quanto sull’apparire si fondano i criteri etici ed estetici della società contemporanea, sia perché la riflessione da diversi punti di vista, può contribuire a far luce sugli aspetti più controversi dell’antinomia intorno cui si svolgono queste sintetiche argomentazioni.
 L’immagine è il volto che presentiamo agli altri, perciò la carichiamo di significati appartenenti alla persona che vorremmo essere o a cui ci conformiamo per essere accettati ed amati. L’uomo, vero a se stesso non è, se non metaforicamente un collezionista di maschere e si rifugia in esse nel contesto delle relazioni sociali, tanto che Pirandello ebbe a dire, riferendosi all’opera teatrale Sei personaggi in cerca d’autore, che essi “sono più veri e reali di tutte le persone che erano in teatro”. 
Mi soffermerei a guardare da altri punti di vista l’affascinante tema dell’apparenza e della verità, oggi che l’apparire sembra essere il tratto distintivo e necessario dell’uomo, la sua grande illusione.
Perché “la grande illusione”?
Essa è il sentiero che ci guida nella ricerca di ciò che è, attraverso lo svelamento del mondo e la conoscenza di noi stessi. Forse è l’errore che dobbiamo compiere, il muro su cui dobbiamo inerpicarci, l’infingimento che ci stordisce, da cui ritornare dopo un duro lavoro che a volte copre gran parte della vita.
“Nessuno si attiene a un solo ruolo, ma tutti siamo multiformi”(Seneca)
“Spesso gli uomini vivono di sogni” (Platone)

 L’uomo è immerso nella materia, ma  il materialismo è  negazione del soggetto perché le due cose combaciano; ma anche l’idealismo sembra errato perché considera  la materia divisa dall’idea che la sottende; la vita continua ad essere sogno, incantesimo, una realtà oscura che il Contemporaneo cerca di ignorare ed esorcizzare dimentico dell’indagine svolta dagli albori del pensiero intorno ai temi della vita e della morte. In questo corridoio delle idee la Storia insegna, anche se a volte il fiume cronologico non spiega in quale modo e per quali ragionamenti si svolga tale processo. La stessa tradizione culturale e popolare conferma il concetto di trasmissione delle conoscenze empiriche e non.
Nella realtà il principio del divenire si manifesta come necessità fisica, logica, matematica e morale, ovvero come causalità; la rappresentazione, il fenomeno è l’apparenza illusoria e consiste nel fatto che il soggetto e l’oggetto siano considerati come espressioni delle forme a priori di spazio , tempo e causalità, come afferma Schopenhauer.
La distinzione tra fenomeno e noumeno spiega che il fenomeno è la sola verità accessibile alla mente umana; il fenomeno è illusione, sogno, apparenza mentre la cosa in sé è il noumeno .
Ciò che il corpo può conoscere attraverso l’esperienza sensibile si scontra con un velo che nasconde l’essenza delle cose, la verità su di esse, e realizza una  consapevolezza al limite della natura umana.
Ciò che vediamo, e di cui creiamo immagini mentali attraverso i sensi, è ingannevole e illusorio: non sempre ciò che è, è come sembra.
“E’ Maya il velo ingannevole che avvolge il volto dei mortali e fa vedere loro un mondo del quale non può dirsi né che esista né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che egli prende per un serpente” ( Schopenhauer)
Quindi la realtà visibile dell’apparenza è illusione, l’essenza della realtà, o noumeno, si nasconde nel fenomeno, ( ed ecco il nascondiglio dell’essere di Heidegger).
Dobbiamo rompere questo velo per calarci  nel nascondiglio, nell’ infinita ricerca dell’essenza, della conoscenza e della bellezza perché  solo in questa dimensione e proiezione della nostra soggettività possiamo cogliere tracce significative dell’assoluto, uscendo  dall’equazione  conoscenza-rappresentazione.
Nell’io profondo, l’uomo sente la volontà di vivere e  di guardare oltre il sensibile percettivo per giungere ad un’idea di mondo disegnata non soltanto dall’apparato neurobiologico di ciascuno, ma dato da idee che si celano nell’ assenza e che, proprio perché misteriose, stimolano  l’anelito metafisico dell’uomo.
In questo percorso l’uomo si ferma, ritornando in se stesso, e trova il tempo per riflettere sulla vita e sul rapporto con l’altro; qui può scoprire che l’apparenza, ciò che soggettivamente sembra vero, è mutevole opportunismo, conformismo, narcisismo. Esiste l’essere oltre l’esistito, il possibile divenire costruito dalla volontà. Ottima la citazione di un filosofo ( G. Leone, Le ceneri di Gramsci) a proposito del bambino , il divenire, “il sapiente che non sa di sapere” nel capovolgimento dell’aforisma socratico.
 Anche l’arte viene in aiuto di questa riflessione:
nella pittura contemporanea citerò, tra i tanti, un esempio di consapevolezza della dualità dell’animo umano e della visione del mondo, Magritte, che amo proprio perché riesce a sollevare dubbi sull’apparenza e la verità, ammesso che esista una verità comprensibile dall’uomo, dato che essa è un valore assoluto e dogmatico.
Il surrealismo di Magritte è un prodotto mentale, come per il grande Leonardo, e viene spiegato dagli opposti di cui è costituita l’anima umana: realtà - apparenza,  sostanza - evanescenza, luce – ombra; il velo di Maya compie il suo lavoro anche qui, nelle contraddizioni e nel paradosso, volutamente lontano da ogni simbolismo, dove la visione della realtà e la sua rappresentazione  sono facce di una stessa medaglia  di cui non si comprende quale sia l’immagine reale e quella ingannevole ma possibile; esse, infatti, coesistono nello stesso dipinto, ciascuna con la sua forza espressiva, enigmatica, essenziale.
Risulta l’insanabile distanza che separa la realtà dalla rappresentazione: “l’immagine assume allora l’aspetto di uno schermo cieco la cui ovvietà non è altro che un’illusione.”
Il tradimento delle immagini (Questa non è una pipa,1929),  fa ben comprendere come tra apparenza e verità non si possa distinguere. Solo a livello morale e psichico l’uomo può esprimere un’idea di valore. La storia è maestra di vita, ma esercita il potere nei limiti del libero arbitrio se non si vuol pensare ad una cronografia dei destini umani che troncherebbe anche questa breve conversazione.
Vorrei concludere in poesia, mia principale passione, con una breve riflessione su Eugenio Montale, premio Nobel per la letteratura, nel 1975. Il poeta “della condizione umana”, esprime nella sua opera, un pensiero molto vicino a quello di Shopenhauer; perciò è stato definito il poeta della negatività o della corrosione critica dell’esistenza (A. Marchese); in realtà egli è testimone delle contraddizioni e degli affanni del suo tempo. La coscienza intellettuale lo pone al di sopra delle parti in una condizione di solitudine e incomunicabilità ma il suo impegno etico ed umano è universale e gli consente  il necessario distacco per esprimere la sua poetica. L’universo in cui tenacemente risiede il poeta, potrà trovare un punto di fuga e squarciare la realtà apparente?
“ Si tratta di arrampicarsi sul sicomoro/ per vedere il Signore se mai passi. / Ahimè, non sono un rampicante ed anche/ stando in punta di piedi non l’ho mai visto”. (Montale, Il diario).
In conclusione, con Montale, amo citare questi versi emblematici.
“Sotto l’azzurro del cielo qualche uccello di mare se ne va; né sosta mai:perché tutte le immagini portano scritto ”più in là”.

Marisa Cossu


2 commenti:

  1. Gentilissima Dottoressa, innanzitutto mi permetta di ringraziarla per la lettura così attenta e per lo studio così profondo riservato al mio scritto. Le chiedo scusa per il ritardo con cui le rispondo, dovuto ad una serie di impegni e di scadenze che non ho potuto fare a meno di onorare. Per entrare nel vivo delle sue argomentazioni, non penso, quando lei afferma che gli opposti "o sono entrambi veri o entrambi falsi", che voglia intendere che il bianco e il nero o sono tutti e due bianchi o tutt'e due neri. Immagino che lei voglia dire un'altra cosa, e cioè che il bianco e il nero sono veri entrambi, pur contrastandosi, in una sana ed inclusiva relazione, mentre sono falsi entrambi in una insana relazione che tenda alla vicendevole eliminazione. Se è così, come reputo, le garantisco che la penso alla stessa maniera. La logica tradizionale, fondata sul principio di non contraddizione, tende a separare ciò che è unito e unito deve restare. Essa è pertanto inadeguata a comprendere i principi relazionali di complementare contraddittorietà propri dell'armonia dei contrari (oggi riscoperti dalla logica quantistica). Il Tutto non esiste senza il Nulla, né il Vuoto senza il Pieno, o l'Essere senza il Non essere, o il Bene senza il Male (e così via). Allo stesso modo Assoluto e Relativo, pur essendo lontanissimi, stanno in relazione tra di loro (né ciò ha a che fare con il panteismo che identifica le due sfere). C'è un punto di contatto, o di equilibrio, una cerniera, che resta inimmaginabile per chi preferisce pensare i due piani radicalmente scissi tra di loro. Quel punto di equilibrio è lo spirito, che sempre concreto e vivacissimo, a parer mio non ha nulla a che fare con il noumeno, con l'astratto mondo delle idee separate dal sensibile. L'allineamento tra materia e spirito viene deviato proprio dalla mente, con le sue menzogne ingiustamente definite "inganni sensoriali". Soltanto la mente può mentire, ma beninteso può anche scegliere di viaggiare secondo ingranaggi naturali e universali. Non sempre, infatti, la mente è malata, non sempre affoga nel particolarismo. C'è un modo di essere universale della parte che si manifesta quando e laddove essa, anziché cellula impazzita nell'organismo universale, riesca a sentirsi tessera dell'immenso mosaico. Ciò accade quando riesce ad ascoltare i messaggi che, dal proprio nascondiglio, l'Essere le invia. Sono d'accordo con lei, Dottoressa: la rappresentazione della realtà non può che essere illusoria, mentre "solo l'assoluto è vero". Mi permetto solo di aggiungere che, dove la rappresentazione è mentale, e pertanto soggettiva, l'assoluto è spirituale. E dal momento che ciascuno ha il proprio spirito, ciascuno, volendo, può sperimentare la propria verità e la propria assolutezza, pur stando nel fenomenico e senza misticismo alcuno. Dal nascondiglio dell'Essere, in fondo, è il nostro stesso Essere a parlare. A noi ascoltarlo, uscendo dal nostro nascondiglio e gettando al macero le maschere dietro cui ci rifugiamo. A noi tornare bambini: quei sapienti che sanno, ma non sanno di sapere, come lei stupendamente rammenta citando "Le ceneri di Gramsci di G. Leone. La ringrazio ancora molto per le sue attenzioni.
    Franco Campegiani


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  2. "Le ceneri di Gramsci" è il notissimo poemetto pasoliniano pubblicato nel 1957, dove affiorano le angoscianti contraddizioni ideologiche del grande scrittore. Invece Giovanni Leone è il Presidente del Consiglio cui Pasolini indirizzò un'accesa lettera polemica pubblicata da "Il Tempo" il 21 settembre del 1968. Chiedo scusa per l'imperdonabile disattenzione dovuta alla frettolosa e non ponderata trascrizione di quanto in proposito lei ha scritto.
    Franco Campegiani

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