Serenella Menichetti, collaboratrice di Lèucade |
Serenella Menichetti lascia l’anima libera di gironzolare
per le strade di Pisa; è lì che trova la
sua felicità, la sua realizzazione fra quelle storiche mura che l’hanno vista
più volte vagare emozionata. Poi l’anima rientra portandosi dietro energia e pulcritudine;
immagini captate durante la sua gita. La poetessa impiega tutto il suo potere
versificatorio, tutta la sua ecfrastica visività, tutta la sua energia umana e
poematica per reificare sentimenti e sensazioni che dentro si sono fortificati;
la sua mente vola; il suo animo l’accompagna; ed ecco che Leopardi rinasce
sulle sponde dell’Arno: “Mi sento spento, quasi imprigionato. Con gran sollievo
lascio Recanati. Le membra porto nella Pisa dotta.”.
I verbi scorrono fluidi e incalzanti in mano a endecasillabi di maestosa
plasticità e Serenella resta impigliata in angoli a lei noti che ravvivano
memorie e sprazzi di vita:
“certe sere sulle spallette del ponte
di mezzo, l’attacco adrenalinico prima di ogni esame, Borgo Stretto, quel
centodieci e lode, il sogno che diviene realtà, SANTA MARIA DELLA SPINA: <Ebbri
d'amore e di mistero/sul fiume ci affacciammo:/ L'Arno fluiva verso il mare/nel suo
percorso/ recava:/ rose e spine.>”.
Poesia de l’home, emozioni, memorie, passione, rinascita... Tutto si riaffaccia alla mente; illusioni e delusioni, sogni e speranze, propositi e castelli in aria fra le ombre di quei palazzi e quelle mura che la riportano ad antiche primavere. Rivivere una vicenda abbandonati ai luoghi che ne furono testimoni significa lasciarsi andare in preda al canto. Ed è così che i fatti si succedono e si amalgamano in un melange di impatto lirico. Tutto viene assorbito dal cuore: ritorna fanciullo, scattante, empaticamente avvinto a quelle visioni fulgenti d’amore e di sogno: “Il Battistero- la Cattedrale, il cimitero, la torre, Simboli: di Nascita- vita e morte, Piazza del Duomo”:
Poesia de l’home, emozioni, memorie, passione, rinascita... Tutto si riaffaccia alla mente; illusioni e delusioni, sogni e speranze, propositi e castelli in aria fra le ombre di quei palazzi e quelle mura che la riportano ad antiche primavere. Rivivere una vicenda abbandonati ai luoghi che ne furono testimoni significa lasciarsi andare in preda al canto. Ed è così che i fatti si succedono e si amalgamano in un melange di impatto lirico. Tutto viene assorbito dal cuore: ritorna fanciullo, scattante, empaticamente avvinto a quelle visioni fulgenti d’amore e di sogno: “Il Battistero- la Cattedrale, il cimitero, la torre, Simboli: di Nascita- vita e morte, Piazza del Duomo”:
Ascolto
voci di oggi e voci di ieri.
Volano
basso i piccioni, rasentano la piazza.
Due
frugoletti scuri, li rincorrono.
Un
sole arancio che volge al tramonto:
orizzontali
pennellate spalma nel basso cielo.
Ali
del giorno che fugge.
Ma
oggi, che questo mio tempo
profuma
d’infinito
io
non mi cruccio.
La poesia si fa compagna dell’autrice;
la prende per mano e con lei viaggia fra
incantesimi e misteri; fra voci di amici che tornano a sfiorarle i capelli come
il venticello liscia le acque dell’Arno.
E poi, sempre al suo fianco, si abbandona a riflessioni; a pensieri e
meditazioni sul fluire del tempo sulle onde leggere delle acque.
Nazario Pardini
RINASCITA
Mi sento spento, quasi imprigionato.
Con gran sollievo lascio Recanati.
Le membra porto nella Pisa dotta.
Per respirare versi e primavera:
costeggio il fiume, e giorno dopo giorno
il pieno faccio, di salute e ardore.
E se un olezzo salubre di mare
sul volto giunge, assai mi rassereno.
Sfilano le carrozze sul lungarno
Ed i cavalli vanno a passo lento.
Palazzi raffinati e monumenti,
gioielli immensi di inebriante luce:
torpore immenso sciolgono dall’animo.
In questa città di pulsante vita
bellezza ed armonia vanno a braccetto.
Ed io le colgo come margherite.
E vivo e sogno, mentre l’Arno scorre.
E creo di nuovo, in questo clima puro.
Amore, gioia ed energia creativa
tornano a rifiorire in questo prato.
La magica atmosfera, interra semi
in uno spazio che pareva morto.
Li sento mentre mettono radici.
E attendo.
Mi sento spento, quasi imprigionato.
Con gran sollievo lascio Recanati.
Le membra porto nella Pisa dotta.
Per respirare versi e primavera:
costeggio il fiume, e giorno dopo giorno
il pieno faccio, di salute e ardore.
E se un olezzo salubre di mare
sul volto giunge, assai mi rassereno.
Sfilano le carrozze sul lungarno
Ed i cavalli vanno a passo lento.
Palazzi raffinati e monumenti,
gioielli immensi di inebriante luce:
torpore immenso sciolgono dall’animo.
In questa città di pulsante vita
bellezza ed armonia vanno a braccetto.
Ed io le colgo come margherite.
E vivo e sogno, mentre l’Arno scorre.
E creo di nuovo, in questo clima puro.
Amore, gioia ed energia creativa
tornano a rifiorire in questo prato.
La magica atmosfera, interra semi
in uno spazio che pareva morto.
Li sento mentre mettono radici.
E attendo.
LA CITTA’ DENTRO
La città ti è rimasta dentro:
Come certe sere sulle spallette
del ponte di mezzo.
Come certi volti, dai mille progetti
appesi alle ciglia.
L’attacco adrenalinico, prima di ogni esame.
Le carezze di un clima benevolo, sulla pelle.
Il vento che da Borgo Stretto: trasporta
olezzi di crema pasticcera.
Dopo l’immane fatica: l’esplosione di gioia
per quel centodieci e lode.
La partenza. Il nuovo lavoro. Il successo.
Il tuo sogno, divenire realtà.
La città ti è rimasta dentro.
A diluire il buio di certe notti, colorati frammenti
come in un caleidoscopio prendono forma:
Il fiume che irriga i tuoi sogni, come in Bocca d'Arno
i girasoli dell’orto di nonno Libero.
E Piazza dei miracoli, che nell’onirico tuo mare
fluttua in avvenenti geometrie.
Le guglie argentee della Chiesa della Spina,
che si allungano, fino a penetrare il tuo cielo.
L’abbraccio al profumo di spigo,di nonna Elsa
all’aeroporto Galilei.
Dove aironi giganti, si staccano dal suolo
per librarsi in partenze celesti.
E dolcemente tornare con i piedi a terra.
Quando sei dimora del tuo luogo.
L’elasticità delle radici non consente lo strappo.
La città ti è rimasta dentro:
Come certe sere sulle spallette
del ponte di mezzo.
Come certi volti, dai mille progetti
appesi alle ciglia.
L’attacco adrenalinico, prima di ogni esame.
Le carezze di un clima benevolo, sulla pelle.
Il vento che da Borgo Stretto: trasporta
olezzi di crema pasticcera.
Dopo l’immane fatica: l’esplosione di gioia
per quel centodieci e lode.
La partenza. Il nuovo lavoro. Il successo.
Il tuo sogno, divenire realtà.
La città ti è rimasta dentro.
A diluire il buio di certe notti, colorati frammenti
come in un caleidoscopio prendono forma:
Il fiume che irriga i tuoi sogni, come in Bocca d'Arno
i girasoli dell’orto di nonno Libero.
E Piazza dei miracoli, che nell’onirico tuo mare
fluttua in avvenenti geometrie.
Le guglie argentee della Chiesa della Spina,
che si allungano, fino a penetrare il tuo cielo.
L’abbraccio al profumo di spigo,di nonna Elsa
all’aeroporto Galilei.
Dove aironi giganti, si staccano dal suolo
per librarsi in partenze celesti.
E dolcemente tornare con i piedi a terra.
Quando sei dimora del tuo luogo.
L’elasticità delle radici non consente lo strappo.
SANTA MARIA DELLA SPINA (PISA)
Mano nella mano, passeggiavamo.
Incontro a noi, radioso gioiello
giungeva.
D'armonia godemmo
l'amore s'accordò con la bellezza.
E magia fu!
Chissà se tu, adesso
ne hai memoria ancora.
O come l'acqua, allora chiara
il tempo ha opacizzato i tuoi ricordi.
Mi avevi donato una rosa.
Rammenti?
Era scarlatta.
Il fulgore investì i marmi policromi.
Si posò sui rosoni.
Entrò nei tabernacoli.
Accarezzò i timpani.
Poi salì e salì,
lassù sulle guglie
fino a bucare il cielo.
La materia si fece carne
che grondava il sangue
del Cristo ferito.
Noi, di marmo.
Sul tappeto d'asfalto:
guardavamo
cadere petali rossi.
Ebbri d'amore
e di mistero
sul fiume ci affacciammo:
L'Arno fluiva verso il mare.
nel suo percorso
recava:
rose e spine.
Mano nella mano, passeggiavamo.
Incontro a noi, radioso gioiello
giungeva.
D'armonia godemmo
l'amore s'accordò con la bellezza.
E magia fu!
Chissà se tu, adesso
ne hai memoria ancora.
O come l'acqua, allora chiara
il tempo ha opacizzato i tuoi ricordi.
Mi avevi donato una rosa.
Rammenti?
Era scarlatta.
Il fulgore investì i marmi policromi.
Si posò sui rosoni.
Entrò nei tabernacoli.
Accarezzò i timpani.
Poi salì e salì,
lassù sulle guglie
fino a bucare il cielo.
La materia si fece carne
che grondava il sangue
del Cristo ferito.
Noi, di marmo.
Sul tappeto d'asfalto:
guardavamo
cadere petali rossi.
Ebbri d'amore
e di mistero
sul fiume ci affacciammo:
L'Arno fluiva verso il mare.
nel suo percorso
recava:
rose e spine.
CAMERA CON VISTA
“L
’Ardea roteò nel cielo di Cristo, sul prato dei Miracoli.”
Al balcone affacciata, la Dannunziana
frase mi travolge.
Gli occhi nuotano nell’armonia e sul
fondale s’immergono
a prelevare bellezza.
Il divino paesaggio scaccia le ombre a
colpi di luce.
Oro a catinelle riversa il prodigo sole
su monumenti e prato.
Lo sento negli occhi e sui capelli.
Il buio arretra fino a scomparire.
Auree scaglie, si posano sui mobili
candidi.
S’infiltrano nella trama della coperta
bianca.
La piazza travasa bellezza in ogni
dove.
Di pulviscolo d’oro, l’asettica stanza
s’agghinda.
Di speranza s’ammanta l’anima.
La paura scivola al piano terra.
Il Battistero- la Cattedrale, il
cimitero, la torre
Simboli: di Nascita- vita e morte.
Nella loro maestosità mi sfilano
davanti.
Avverto un bisbiglio di voci che
s’interseca:
pianti, risa, lamenti. Passati e
presenti.
In immagini nitide, flash di pensieri
giungono:
La
Nascita: la vita rincorre.
La
Vita: gioca a nascondino.
La
Morte: indossa la tunica di pace.
E
la torre è l’alta montagna che dovrò scalare.
“La bellezza salverà il mondo!”
La porta della sala operatoria si apre.
La scalata verso la vita ha inizio!
IN PIAZZA DEL DUOMO
Seduta sopra un gradino della
cattedrale,
osservo sfilare a rilento, di gente,
processione.
Adagio, scorrono voci, di diversi
linguaggi.
Odio le file.
Sonnecchio. È l’ora della siesta.
Millenari monumenti mi sovrastano.
E respiro d’eterno mi circonda.
In tale maestosità smarrita,
in granello di sabbia mi trasmuto.
Tutto è sacro ed immenso, in questa piazza.
Embrione saldato alla placenta.
Sullo scalino dimoro.
Ascolto voci di oggi e voci di ieri.
Volano basso i piccioni, rasentano la
piazza.
Due frugoletti scuri, li rincorrono.
Un sole arancio che volge al tramonto:
orizzontali pennellate spalma nel basso
cielo.
Ali del giorno che fugge.
Ma oggi, che questo mio tempo
profuma d’infinito
io non mi cruccio.
Grazie di cuore Nazario, per la tua meravigliosa ospitalità ancora una volta su questa isola. E grazie per questa tua grande sensibilità, che ti permette di entrare nell'animo di chi scrive. Serenella Menichetti
RispondiEliminaUna silloge tutta dedicata a Pisa, la Pisa colta, dotta e generosa del contino Leopardi che lontano da Recanati torna a vivere, a sognare, a poetare…, la Pisa velata di nostalgia ,serale, caleidoscopica dalle spallette del ponte di mezzo, degli studi, dei primi successi, dei monumenti così cari ai turisti, simboli di nascita- vita e morte…Nella loro maestosità sfilano davanti agli occhi, segnati dalla intimità della appartenenza affettiva, come quella S. Maria della Spina, il gioiello, silenziosa sull’Arno, che scorre lento, e riporta all’innamoramento giovane, che rivive nel ricordo.
RispondiEliminaUna città che è un mondo, una vita, un micro-macrocosmo.
Poesie sapide dettate dall'amore viscerale verso la propria città dove nell'arco della propria esistenza, è stata ed è culla del vivere felice e/o meno felice, al punto di mettere in bei versi il pensiero o le parole esternanti la felicità tanto ogognata del Leopardi nel suo breve soggiorno in questa bella cittadina che anch'io ho avuto la piacevole ed insperata opportunita di visitare. "Embrione saldato alla placenta"; per l'autrice non ci sono partenze capaci di recidere quell'unione vitale che la lega, indissolubilmente, alla sua Pisa. Pasqualino Cinnirella
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