Lentischi di luna
Orlando viveva ormai solo sulla collina in
una grande casa sul lago.
Gli amori passavano, anche se aveva
forse superato la famosa sindrome di Peter Pan; cercava poco le occasioni di
compagnie femminili, se incontrava qualche lei luminosa e avvincente non
riusciva a lasciarsi andare. Era arrivato anche quel novembre e i castagni
essudavano ricci lungo i viottoli del lago. Nonostante fosse arrivato
all’essenziale, alle radici del significato della vita, non sapeva che fare,
che pesci prendere, in ogni caso aveva paura della solitudine, quella che ti fa
porre le persone su piedistalli; aveva anche paura di quella solitudine
spruzzata di noia che non ti fa cercare nessuno per mesi. Aveva paura di
ritornare sempre da lui l’amico del cuore con cui aveva condiviso tante sue
angosce, ma anche tanti giorni tranquilli quando dal baratro della malattia
mentale stava uscendo con determinazione.
Dopo un periodo di delusioni senza sbocco
aveva cominciato a vedere e a sentire strane cose, si sentiva avvolto spesso da
profumi, aveva la sensazione di uscire da una tomba, sentiva di avere la
marsina degli attori del Seicento, insomma gli sembrava di vivere a Londra tra
la nebbia: un uomo del Seicento che viveva nella Londra degli anni di fine
ventesimo secolo e quest’uomo del Seicento che lui sentiva di essere era
Shakespeare, era forse la voce dell’attore che sentiva dentro, attore come
azione, come colui che legge nella vita il suo role o ruolo: il suo copione.
Quale fosse il suo copione non lo sapeva, era quello della sfida, forse chissà,
ma dove vi era scritta la storia di una deprivazione affettiva in età
adolescenziale che non riusciva a colmare neanche ora che si stava
ricostruendo; ed era difficile allontanarsi anche un po’ da sé stesso dalle
piccole noiose rassicuranti abitudini.
Passava
le giornate raccogliendo le foglie che gli regalava l’autunno e i ciclamini che
gli donava la primavera. “I miti possiederanno la terra”, risuonava nella sua
mente quando sentiva verso la società una irruenza e una rabbia soprattutto nei
confronti di quelle persone violente e superficiali, poi da bravo dandy
rientrava in se stesso quando ascoltava i quartetti di Beethoven e pensava alla
Madonnina del Pinturicchio. Non sentiva la forza di amare tutti i suoi amici
soprattutto quelli che a volte per egoismo e invidia volutamente lo ignoravano.
Ormai dipendeva, ovvero era dipeso quasi
completamente da un amico padre che gli aveva svelato la sua adolescenza
mancata. Lavorava ormai da qualche anno in una ditta di computer, organizzava
programmi didattici, non rimpiangeva la laurea, i dodici esami, sostenuti, era
un libero pensatore, dopo tutto aveva scoperto “che la normalità non era
necessariamente noiosa”, aveva scoperto la bellezza della simpatia e della
noia. Tra i fatti che accadevano al lavoro trovava particolarmente noioso
accettare alcune colleghe volgari e invadenti. Una sera accettò di uscire con
una collega ed un suo amico, mentre si ordinavano le pizze e tutti i contorni,
si avvicinò lei,camminava tranquilla,facendo trasparire una falsa indifferenza,
aveva i capelli molto corti e ricci
spruzzati di bianco, non si riusciva a capire l’età perché aveva uno sguardo
talmente giovane e luminoso che contrastava col suo abbigliamento informale,
quasi trasandato.
“Colleghi posso sedermi “, senza aspettare
la nostra risposta, si accomodò spavaldamente lasciando trasparire una
timidezza tenuta gelosamente raccolta in una rete sottile di cordialità mista
ad una determinazione e carattere piuttosto rilevanti. “Ecco la solita imbucata
di scrivania! “, disse l’altra, temendo di essere privata dei due maschi della
compagnia, continuando poi a mandare battute venate di ironia e di volgarità.
Intanto si commentava il cibo che arrivava a tavola e si guardava con simpatia
RO,lei disinvolta: “Tu che fai non mi dire che ti sei iscritto ad un corso di
salsa-merengue, tu hai più il viso di uno che vuol imparare a suonare il
violoncello”. “Veramente, sto imparando
a suonare il flauto e invece della salsa-merengue sto imparando a suonare e a
ballare le varie danze di gruppo europee” lei così aveva cominciato il discorso
con lui. Finita la cena, per farsi accompagnare inventò che aveva la macchina
fuori uso vicino a quel ristorante e lui, affascinato da quell’aria
indefinibile e azzurrata, accompagnò a casa RO. Orlando non riusciva a tener
dietro alle battute e alle domande che avevano come sotto codice ho paura, mi
vergogno, alla fine lui avendo letto tra i nascondigli della sua coscienza la
sua difficoltà a fare amicizia, dopo un po’ di silenzio le disse “Ma tu chi
senti di essere?”. “Vivo sotto i ponti
senza tetto né legge, oggi da brava barbona mi sono ripulita per venire a
conoscerti”. Poi, pensando di essere troppo vaga, continuò: “Vivo con un'
amica, non so ancora quello che voglio, vorrei vivere per tutta la mia vita con
questa amica ma lei vuole sposarsi con i primo che le capiterà. Lei è molto
chiusa ma è come fosse mia madre; non mi racconta mai niente di sé, di quello
che vuole, ne ho le cassette piene. Lei vuole sempre sentirsi sul piedistallo.
Eh sì, sono quella che l’ha salvata dalla solitudine dopo che il ragazzo l’ha
lasciata, io per lei ho negato la femminilità, ora ti racconto una storia: “Un
tempo in Marocco il guerriero arabo spesso era una donna, quando il padre di
famiglia si era rattristito per aver concepito diverse femmine, decideva, prima
che nascesse ad esempio la settima femmina, che sarebbe stata comunque un
maschio, così l'ennesima femmina veniva educata come un maschio come
addirittura un guerriero perdendo così la sua identità. Lei è la mia donna però
è troppo egoista, lei fa la psicologa con lei ho trovato la mia tranquillità, è
come se fosse la mia famiglia ma lei censura completamente l’amore e la
sessualità che ha provato: è tutto censurato”. “Ma forse lei è stata troppo
delusa”. Orlando, attratto da lei, convulsamente le disse che scriveva poesie,
aggiunse scherzando, per una sua eventuale storia d’amore: “Dai guerriero arabo
ci vediamo domani!”. Lei a quelle affermazioni così calde e intriganti si
bloccò e fuggì dalla macchina che si fermò ad un semaforo, correva come in
preda ad un delirio schivando macchine che minacciavano di investirla.
Pochi giorni dopo lui la cercò, anche lui
usciva da quella sua storia, non voleva fuggire qualora si fossero presentati
momenti difficili nel loro rapporto, lei in quel periodo che furono insieme gli
raccontò storie della sua vita e su quella dei suoi conoscenti, a volte non
erano tutte vere, le piaceva suscitare interesse con i suoi racconti, come se
stesse interpretando un racconto di Kafka rivisto e corretto da Calvino e così
giocavano, si abbracciavano. Orlando però era sempre tra i due quello più
razionale, parlava del suo lavoro, di come investire i soldi.
Un giorno lei gli disse “Il guerriero arabo è ancora troppo presente, non posso restare con te, la pietra che è dentro la mia anima è grande, prendi il mio cuore,ma non posso impegnarmi, devo andare, devo fare tutto ciò che mi è mancato nella mia prima giovinezza”. “E la tua amica?”. “Lei è importante sa sempre tutto, io non ho mai saputo niente in fatto di sentimenti io sono sempre stata la bimba che si sveglia assonnata, che non sa dov’è ma devo vivere la mia vita, da sempre cercavo un ragazzo come te, fra tre anni ti ricercherò forse”. Orlando andò in giro tutti i giorni sperando di incontrarla nel bosco, sul lago, tra i salici. In tutte le ragazze che incontrava gli sembrava di riconoscere qualcosa di lei, poi non la vide più. Passò anche quell’inverno screziato di malinconie, un mattino d’estate dopo che aveva raggiunto il circolo che si trovava lungo le pendici del lago ed era intento a guardare una tenace tennista durante la partita, incontrò gli occhi di una ragazza dolce dai capelli lunghissimi che si apprestava a cambiare le scarpe per il footing,zoppicando per le scarpe slacciate gli si avvicinò. Lei si avvicinò: “Tu sei amico di Angelica?!”. “Lo so che sei tu il suo amico, io non l’ho mai capita molto, si faceva chiamare RO e prendeva identità diverse. Dopo delle delusioni non è riuscita a credere più in nessuno, mi ha aiutato moltissimo nei miei rapporti umani, ma lei aiutava moltissimo gli altri a lasciarsi andare, a giocare, proprio a fare quelle cose in cui lei non riusciva, forse per questo faceva la psicologa”. Orlando, sorpreso, con il respiro affannato aggiunse con un filo di voce: “Ma io sapevo che lavorava in una ditta di computers e sapevo che tu eri la psicologa” , ma la ragazza dai capelli lunghissimi, continuò: “Ma lei si è chiusa, e per questo prese la laurea in psicologia, addirittura psicologia clinica, ma fino adesso non c’è stato nessuno che sia riuscito ad aiutarla”. Orlando, subito la salutò e guardò il centro del lago dove gli sembrava si fosse nascosto il suo sogno, e cominciò ad aspettarla per molto tempo.
Angela Maria Cuomo
Un racconto emblematico. Una storia di solitudini amare che si tenta di colmare facendo ricorso a compagnie esteriori che lasciano inevitabilmente disilluso l'animo umano. "Ama il prossimo tuo come te stesso" significa che non puoi amare il prossimo tuo se non riesci ad amare te stesso. E tanto più puoi amare gli altri quanto più riesci ad amare te stesso. La prima compagnia dell'uomo è quella di se stesso, quella che lo porta a dialogare intensamente con se stesso, ma l'insipienza degli uomini scambia purtroppo questa ricchezza interiore con il solipsismo. Quella di Orlando e di Angelica (RO) è "la storia di una deprivazione affettiva in età adolescenziale" che lascia un segno incolmabile. Per superare l'empasse è
RispondiEliminanecessario comprendere che l'unico vero amico sta dentro se stessi. Che cosa può dare agli altri un uomo che non si arricchisce d'amore dentro se stesso? un uomo che pretende dagli altri ciò che non riesce a dare agli altri come esempio personale diretto? Egli non fa che donare agli altri le proprie fobie, e finché non si sveglia rimane vittima di quelle. Angela Cuomo, in questo breve racconto, mette a fuoco una problematica fondamentale del nostro tempo proiettato esclusivamente all'esterno e affogato in un mare di comunicazioni che prescindono dalla vera comunione: quella che inizia dalla scomoda amicizia di se stessi.
Franco Campegiani
Un bel racconto contemporaneo con note surrealiste , si legge gradevolmente ,il tocco inatteso e colorato dei ciclamini nella parte centrale illumina il racconto di rosa e di verde , leggero e introspettivo allo stesso tempo ...
RispondiEliminaUn racconto che intriga e in qualche modo sorprende soprattutto per come si chiude. Scritto bene a tratti con prosa poetica.
RispondiEliminaRICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaCommento a “Lentischi di luna”
Una novella introspettiva, per certi versi autobiografica, con sprazzi di poesia illuminanti. Queste monadi che si sfiorano ma mai si incontrano fanno pensare ad un’adolescenza non pienamente risolta, che lascia comunque un sapore di attesa.
Simona Felici
Un racconto che coinvolge a poco a poco il lettore, che, inizialmente incredulo e sospettoso, man mano si trova coinvolto in un vortice di sensazioni ed emozioni che lo rapisce e lo tiene col fiato sospeso, leggendo quasi dimenticandosi di respirare. Personaggi di un colore sfumato ed intenso al tempo stesso.
RispondiElimina"Se incontrava qualche lei luminosa e avvincente..."
RispondiEliminaÈ questo il motore del desiderio: una luce che ti avvince. Questo scuote dal torpore anche chi, oppresso dalla solitudine, ha perso fiducia nella stabilità affettiva.
"Aveva uno sguardo talmente giovane e luminoso..."
...così quando la novità irrompe, con la determinazione di un guerriero arabo, cadono tutte le barriere, rinasce la speranza, si può ricominciare il racconto della vita.
Certo, la luce è debole e intermittente, può scomparire da un momento all'altro, perché anch'essa ha bisogno di alimentarsi, ma non si può smettere di cercarla, o di desiderare di riaccenderla.
"guardò il centro del lago, dove gli sembrava si fosse nascosto suo sogno, e cominciò ad aspettarla"
Perché solo un incontro luminoso ci rende capaci di ricominciare ad aspettare con speranza qualcosa di bello per la nostra vita.
"Se incontrava qualche lei luminosa e avvincente..."
RispondiEliminaÈ questo il motore del desiderio: una luce che ti avvince. Questo scuote dal torpore anche chi, oppresso dalla solitudine, ha perso fiducia nella stabilità affettiva.
"Aveva uno sguardo talmente giovane e luminoso..."
...così quando la novità irrompe, con la determinazione di un guerriero arabo, cadono tutte le barriere, rinasce la speranza, si può ricominciare il racconto della vita.
Certo, la luce è debole e intermittente, può scomparire da un momento all'altro, perché anch'essa ha bisogno di alimentarsi, ma non si può smettere di cercarla, o di desiderare di riaccenderla.
"guardò il centro del lago, dove gli sembrava si fosse nascosto il suo sogno, e cominciò ad aspettarla"
Perché solo un incontro luminoso ci rende capaci di ricominciare ad aspettare con speranza qualcosa di bello per la nostra vita.
RICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaIl racconto pone in evidenza il contrasto tra la vita ordinaria e la ricerca di altro, tra la solitudine e l'aspirazione ad una compagnia degna. Il paesaggio aiuta a percepire i diversi stati d'animo insieme alle varie ellissi temporali.
Marisa Di Ciccio
RICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaCommento di Diego Picano a ‘Lentischi di luna’
Mi piace il tuo stile e i continui riferimenti all’arte e alla letteratura che rendono eterna ed universale la storia toccante che racconti! Dai nomi dei personaggi agli spazi scelti, dai riferimenti impliciti ed espliciti all’arte alle allusioni letterarie in campo poetico e teatrale: tutto genera un pastiche, un particolare ordito narrativo che permette di seguire un’avventura di amicizia e di amore! Grazie,amica mia!
Diego Picano
Ho letto il racconto che mi hai inviato via mail.
RispondiEliminaBen scritto, ricco di risvolti, anche simbolici.
Con descrizioni che contribuiscono a delineare non solo luoghi e volti ma anche le atmosfere e la psicologia.
Mi sembra proprio la dimensione psicologica la più intensa del tuo bel racconto.
RispondiEliminaRICEVO E PUBBLICO
Giudizio di Simona Felici sul racconto Lentischi di luna:
Una novella introspettiva , per certi versi autobiografica, con sprazzi di poesia illuminanti .Queste monadi che si sfiorano ma mai si incontrano fanno pensare a una adolescenza non pienamente risolta che lascia comunque un sapore di attesa
RICEVO E PUBBLICO
RispondiEliminaEcco qua carissima. Domani due classi hanno assemblea e così ho avuto due lezioni in meno da preparare... lassù qualcuno ti ama.
Leggerezza, conflitto, ricerca; situazioni in cui devi fare i conti con ciò che sei e sei diventato, con ciò che ti ostini a non voler essere. Tuttavia, come tutti, eccoti lì a immergerti nel fluire inarrestabile della natura.
La tua villa sul lago appollaiata sulla collina ti rappresenta, è il tuo più fedele ritratto.
Non scendi a valle, e neanche a patti con la vita. Fuggire da te stesso a ogni costo, fino a sprofondare “nel baratro della malattia mentale”. Succede ai poeti, per troppa sensibilità, troppa luce. E succede spesso.
Annaspa Orlando, alla ricerca del proprio ruolo; lui che ha evitato relazioni stabili, presumibilmente costruttive, scopre di essere attore di se stesso: salvifico per lui è incarnare l’eroe romantico attratto da delicate fluorescenze botaniche, frutto della stagione più dolce, quella dei profumi, dei colori vivi, della rinascita.
E’ questo cui, in fondo, egli anela nel circondarsi di bellezza: Pinturicchio, Beethoven, Shakespeare. Giganti dell’arte imperitura, fonti di gioia piena e immarcescibile.
Poi accade che, rifuggendo dalla volgarità di talune colleghe invadenti, finisce per accettare un invito; ed ecco l’incontro imprevisto, quello che cambia le carte al tavolo da gioco, in modo inaspettato.
Capelli “molto corti e ricci spruzzati di bianco”, età indefinibile. Diretta, interessante, luminosa: RO la disinvolta. RO la bugiarda. Sarà questo l’epilogo. Bugiarda su tutta la linea, ma con deliziosa leggerezza.
Un guerriero arabo alberga in lei. O forse no. Dev’essere anche questa un’invenzione, ma non importa. E’ l’occasione vitale per Orlando, quella che lo induce a uscire dal suo guscio, fatto sì di bellezza, di colori e armonia, ma anche di solitudine del cuore; lui, eterno Peter Pan, ora più che mai sente di avere bisogno della condivisione.
Ed ecco RO, e con lei una magnifica promessa d’avventura.
RO. Stava affezionandosi a lei, al suo nome stravagante, ma solo per scoprire poi che anche quello è invenzione. Angelica si chiama. Non RO. La menzogna le è servita per nascondersi, travestirsi.
Da questa scoperta Orlando potrebbe uscire deluso, offeso. Invece no: la vita è sogno, ed è per questo che continuerà a sognare la sua RO e ad aspettarla a lungo, “per molto tempo” come sottolinea l’autrice.
Ancora una volta, come già nei suoi precedenti lavori, Angela Cuomo ha saputo suscitare emozioni e stupire con la delicatezza del suo tocco poetico e raffinato di scrittrice.
Anche lei è un po’ Orlando e un po’ Angelica. E poiché secondo la migliore tradizione, dovrebbe essere appannaggio di un autore navigato il trasferire nei propri personaggi almeno un po’ di sé, ella sembra aver vinto la partita: in queste sue creature, plasmate in forme d’argilla, ha saputo dolcemente instillare il soffio della vita.
Antonella Grassi è il nome dell'autrice del commento...
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