giovedì 1 ottobre 2020

FRANCO CAMPEGIANI: "NUOVO SAGGIO CRITICO DI MARINA CARACCIOLO"


Nuovo saggio critico di Marina Caracciolo

Verso lontani orizzonti (Bastogi Editrice)

Esaminato l'itinerario poetico di Imperia Tognacci

Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade
 

Nel suo nuovo e brillante saggio critico, Verso lontani orizzonti (Bastogi Editrice), Marina Caracciolo passa in rassegna l'opera poetica di Imperia Tognacci, esaminando ben undici titoli dell'autrice romana nata a San Mauro Pascoli. In una scrittura sognante e snella, aderente ai testi poetici con acribia ed empatia, la studiosa penetra nella poetica dell'interessante poetessa, estrapolandone l'appassionato messaggio: "un senso di avventura inquieta e misteriosa", esposto in "versi che esprimono in modo mirabilmente immaginoso il desiderio incessante di proseguire verso un lontano altrove". Un afflato metafisico le cui ricorrenti parole sono: "scorrere, scia, itinerario, strade, percorso, fuga, via, vortice, sentiero, volo".

Il viaggio, dunque, visto, si, come esperienza concreta e affascinante, fatta di conoscenze al momento vive e palpitanti, ma soprattutto come proiezione ultrafisica, al di là dei confini, verso un mondo interiore che sprofonda nell'infinito. E tuttavia, scorrendo le pagine, si scopre che questa tensione verso l'ignoto, questo trasporto per la trascendenza, si sposa, nella poetessa, con un amore per la natura tutto immanente. Fisica e metafisica legate a fil doppio, con singolare naturalezza, tra di loro. Un senso avventuroso e itinerante del vivere coniugato con un canto di filiale devozione per la terra. Amore a trecentosessanta gradi: per l'hic et nunc come per l'oltre e l'altrove. Stanzialità e nomadismo, potremmo dire, fusi tra di loro.

Navigando in mare aperto, Ulisse non fa che viaggiare nei propri stessi flutti e l'isola verso cui tende non è altro che la propria ignota patria interiore. Varcare i confini, pertanto, non significa altro che accedere in territori sconosciuti di se stessi. Cosa fa Adamo, evadendo dall'Eden, se non fuggire da se stesso per andare verso una terra promessa che già vive dentro di lui? E' là la trascendenza, distinta e collegata con l'immanenza: due piani disgiunti e allineati dello stesso Essere che si pone in viaggio nell'Esistere, nella patria del Relativo. Ci sono fili invisibili che legano Sovrannaturale e Naturale tra di loro. Non si spiegherebbe altrimenti quella "partecipazione corale della Natura al dolore del Cristo", di cui parla la Caracciolo commentando la Notte di Getsemani (2004), dedicata dalla Tognacci al momento forse più drammatico della vita del Messia: la notte nell'Orto degli Ulivi.

E' là, nell'ora suprema della prova, dove sul Cristo grava un'estrema solitudine e pesa la fredda indifferenza degli umani, che la Natura gli esprime tutta la sua commossa partecipazione. Solo lei sembra in grado di comprendere, quasi il Cristo fosse la voce del Creato stesso che invita l'uomo a tornare nelle leggi dell'amore universale. Vero è che "le spensierate cicale intuiscono che il suo regno / non è di questo mondo", ma l'allusione riguarda il mondo degli uomini e non direi il mondo naturale. Tant'è che gli uccelli del cielo, stupefatti, "si allontanano bisbigliando verità che agli umani non è dato di afferrare". A differenza dell'uomo, la Natura si direbbe partecipe e consapevole dei progetti divini sul mondo. Non a caso il grande Artefice ha posto in lei il suo tempio (e la poetessa avverte: non sarà mano d'uomo a costruire il suo tempio).

La Caracciolo pone giustamente in evidenza le origini romagnole della Tognacci, nata e vissuta nell'infanzia e nell'adolescenza a San Mauro Pascoli, fin quando non giungerà a Roma dopo aver ottenuto una cattedra nella Capitale. Ed è certamente l'ammirazione della poetessa per il Pascoli a rinvigorire la concezione positiva della Natura che comunque le è propria, come lo fu del grande romagnolo che, in leopardiana polemica, ebbe a definirla "madre dolcissima e previdente". Vero è che la Natura, per Pascoli, è anche fonte di grandi turbamenti, ma ciò è dovuto unicamente all'incapacità dell'uomo di accettare le sue leggi. Tant'è che in X agosto, la notissima lirica contenuta in Myricae, dove egli giunge a dipingere il pianeta come atomo opaco del Male, è solo perché, a mio avviso, esso ospita quel vampiro dei tre regni che corrisponde all'essere umano.

Illazione, questa? non direi, se è vero che nella metafora della rondine uccisa dal cacciatore, similmente all’uccisione del padre per mano di un assassino, il poeta considera la natura stessa come vittima delle efferatezze umane. La malvagità e l’ingiustizia che il Pascoli lamenta riguarda il mondo degli uomini e non il mondo naturale. La Natura è sempre allineata con le leggi dell'equilibrio cosmico, mentre l'uomo, per potersi vagamente avvicinare a tanto, è chiamato a compiere un faticoso tragitto interiore. In Odissea pascoliana (2006), la poetessa affronta esattamente questa tematica "in una forma lirica, dice la Caracciolo, ma anche, e non di meno epica". Sensibilità orfiche ed omeriche splendidamente fuse tra di loro.

La Caracciolo, parlando di questa poetica sviluppatasi sulla scia pascoliana, dice espressamente: "Si consideri che confidenziale e privato non vuol dire chiuso in se stesso: ovunque si percepisce un brivido d'infinito, un respiro universale". Nessun cedimento, pertanto, al bolso intimismo, ma neppure alla retorica del fatuo eroismo. Orfismo ed Ulissismo bilanciati tra di loro. Viaggio, dunque, all'interno dell'anima, come periplo della misteriosa isola interiore. Ne La porta socchiusa (2007), opera ispirata da un viaggio in Terra Santa, la Tognacci espone, scrive la Caracciolo, un "itinerario difficile ma meraviglioso, dell'Uomo alla scoperta di se stesso, alla ricerca di una spiegazione plausibile per gli enigmi più oscuri, soprattutto per quello più insondabile e drammatico di ogni altro: il mistero del male del mondo e della sofferenza".

Orfeo ed Ulisse sono due viaggiatori. C'è tuttavia una differenza sostanziale tra i due: mentre il primo si arresta, il secondo continua perennemente a viaggiare (apparentemente fuori, ma in realtà dentro se stesso). Cosa fa Orfeo, di ritorno dall'Ade, con l'ombra, che lo segue, di Euridice? trasgredisce il divieto di voltarsi per guardarla e paga l'insubordinazione con la follia. Fine del viaggio. Ulisse, invece, indomabile, ricostruisce sempre il vascello distrutto dai marosi. Il primo ha un concetto perentorio del limite, mentre il secondo lo considera una pausa di un viaggio infinito. Ulisse è l'allegoria dell'uomo che si appella alle proprie risorse interiori, facendosi umile di fronte al proprio mistero. Non è - come si è voluto dipingere - un titano che sfida il mistero, bensì un uomo che sfida se stesso, la propria umanità, incline a sigillare la coscienza di fronte al mistero.

Un Ulisse tuttavia, quello di Imperia, che non misconosce la pietas, quella dolcissima compassione per l'umana sofferenza, che non funge da freno, bensì da stimolo per l'evoluzione. Ciò emerge particolarmente, secondo Marina, nel poemetto Il prigioniero di Ushuaia, nato da un viaggio della poetessa nella Patagonia argentina, in Antartide, dove si svolge un dialogo significativo tra un prigioniero condannato ai lavori forzati e una donna venuta da lontano, tesa a consolarlo. Nessun pietismo stucchevole, nessun blocco dell'esperienza di fronte al dolore: "Una potenza sconosciuta, scrive Marina,  costringe ad avanzare, proseguendo su una strada che da concreto itinerario si muta in pellegrinaggio dello spirito: Oltre il buio del pensiero / onde misteriose ci sospingono, / mentre da lontano ci chiama / il tempio dell'infinito".

Il lago e il tempo (2009) è un'opera fondamentale che rappresenta un punto di svolta nella produzione poetica della Tognacci. Qui si affronta, scrive la Caracciolo, il tema della memoria (della madre principalmente). Una memoria che non attira a sé la poetessa, soffocandola nelle sue spire, nel suo limbo confortevole e illusorio, intimistico, fatto "di sicurezza e di pace", ma una memoria odissiaca che la spinge in avanti e la prepara ad affrontare le prove future della vita. Qui, scrive Marina, "lo smarrimento che conduce alla ricerca appassionata di braccia familiari e protettive finisce per convergere nell'apertura alla dimensione superiore dell'infinito". E ciò perché la poetessa, "pur rivelandosi sempre molto sensibile al dolore e alle rovine che affliggono il mondo, non consente mai al pessimismo di prevalere, di sopraffare ogni fede nel futuro e diventare disperazione".

Una poesia, dunque, che oscilla tra orfismo ed ulissismo, spesso fondendoli tra di loro. Ne Il richiamo di Orfeo, licenziato nel 2011, la Tognacci "si chiede quale ruolo e quale destino abbia la Poesia nella nostra epoca". Così Euridice diviene la Poesia stessa e la poetessa esorta il mitico cantore a non abbandonarla al suo destino, a non arrestarsi nella sua ricerca, "ma proceda sempre oltre nel suo cammino e si slanci oltre il muro di cinta delle convenzioni per emigrare in galassie primordiali". E Marina commenta: "Nel mito raccontato dai Greci Euridice sprofonda di nuovo nell'abisso e l'infelice sposo torna sconsolato e piangente nel mondo dei vivi. Ma questa è un'altra storia: qui Orfeo non si volta indietro dimenticando la promessa fatta agli dèi degli Inferi. E la Poesia non può morire, essa è immune dal tarlo del tempo e può sconfiggere l'eterno oblio dell'Ade".

Euridice (la Poesia) non può abbandonare il mondo dei vivi. E se proprio deve morire, che sia per rinascere dalle proprie ceneri come l'araba fenice. Ci troviamo nel cuore del mito più arcaico e dell'animismo più antico. Nel cuore di quella visione originaria del mondo che considera l'essente tanto più lontano quanto più vicino all'ente: trascendenza ed immanenza, non fusi, ma in relazione strettissima tra di loro. Un Oltre non esterno, ma interno all'Io. Una fisicità che non è oblio dello spirito, ma suo richiamo dolcissimo. Ed è un approdo all'animismo sacrale (da non confondere con il feticismo, né con il panteismo), cui la poetessa dà voce particolare in Nel bosco, sulle orme del pastore (2012).

Ci troviamo dunque in un bosco, nei silenzi e nei sussurri silvani, dove appare il mitico pastore Aristeo, che, "simile al famoso Pan, da sempre abitatore dei boschi e custode delle greggi, assume talora tratti spiccatamente biblici e diviene simile al mite Abele, che offriva a Dio agnelli in sacrificio; altrove sembra invece raffigurare proprio il Buon Pastore, Colui che pasce le sue pecore e cerca con tanto amore quella smarrita". Questo viaggio nell'anima è certamente un avanzare, ma anche un sostare per ripartire con rinnovate energie lungo il sentiero della conoscenza. Si legga Là, dove pioveva la manna, diario di un lungo viaggio in Giordania della poetessa del 2015, ma soprattutto si legga La meta è partire (2020), dove viene decisamente chiarito il ruolo dinamico della Memoria. Una Memoria in fieri, proiettata in avanti, una valanga che "va oltre: inarrestabile / è l'onda della vita".


Franco Campegiani

  

   

 

 

 

 

4 commenti:

  1. Stupenda recensione, caro Franco, un'interpretazione filosofica che indaga e approfondisce, e nello stesso tempo supera, va ben oltre - direi - la mia indagine, etica ed estetica, sì, ma sostanzialmente letteraria. Credo insomma che tutta (o quasi tutta) la poesia della Tognacci ben esprima ciò che, tra altre considerazioni, ho desiderato sostenere nell'introduzione del libro: "Ben poche realtà, invero, sono in grado di aprire orizzonti e immagini di poesia come il viaggio, qualsiasi connotazione esso si trovi ad avere ... nel desiderio senza fine di una conoscenza che disveli fonti di verità e di certezza". Grazie del tuo illuminante e perspicace commento! Un abbraccio. Marina

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  2. RICEVO E PUBBLICO

    Carissimo Franco,

    la mia riconoscenza per il profondo e speculativo articolo sulla monografia che Marina Caracciolo ha dedicato alla mia produzione poetica. Hai saputo cogliere con molta perspicacia tutti gli aspetti del mio poetare in cui mi ritrovo pienamente.
    Come sempre quando ti ascolto o leggo i tuoi elaborati non posso fare altro che esprimerti tutta la mia ammirazione.
    Ti ringrazio per questo tuo graditissimo lavoro e ti invio cari saluti.

    Imperia Tognacci

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  3. Franco caro, dedichi questa recensione da manuale alla cara Marina Caracciolo, che ebbi l'onore di conoscere in occasione di un evento dedicato al comune amico Sandro Angelucci, e la presenti in veste di saggista tesa a recensire l'opera poetica di Imperia Tognacci, altra donna e Poetessa che ho avuto la fortuna di incontrare e di apprezzare grazie agli eventi romani. Dipingi la voce snella e fruibile di Marina, indimenticabile, che tratteggia 'stanzialità e nomadismo' negli undici titoli dell'Autrice. Un connubio di donne che lascia sognare. E il Sogno lo alimenti tu, Amico mio, illustrando il concetto di viaggio, ben tratteggiato da Marina con i suoi riferimenti a Euridice (La Poesia), indissolubilmente legata al mondo dei vivi, e i tuoi geniali richiami a Orfeo e Ulisse, simboli del viaggio per eccellenza. Imperia sembra aver l'attitudine a sostare nell'anima, e la sacralità del suo concetto di Poesia è messo in risalto proprio da questa stanzialità, non feticista, ma interna alle esigenze più profonde dell'Io. Difficile commentare la perfezione, più semplice e giusto inchinarmi a tanta Arte e tributare il mio umile plauso a te, Franco, instancabile critico, Poeta, Fiolosofo, a Marina, anch'ella ottima Poetessa, Critico e Saggista e a Imperia, che qui si diletta in Poesia, ma avrà senz'altro altre doti.Un abbraccio circolare a tutti e al nostro insostituibile Condottiero!

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  4. Bello, il tuo sensibilissimo e acuto commento, cara Maria.
    Un abbraccio grande e colmo di poesia!

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