venerdì 4 giugno 2021

MARIA RIZZI LEGGE: "ED E' UN MIRACOLO IL VOLO DEGLI UCCELLI" DI GIANNICOLA CECCAROSSI

Maria Rizzi su “Ed è un miracolo il volo degli uccelli” di Giannicola Ceccarossi – Ibiskos Ulivieri

Maria Rizzi,
collaboratrice di Lèucade

Ho ricevuto in dono dall’amico Giannicola Ceccarossi la sua ultima Opera

“Ed è un miracolo il volo degli uccelli” edita dalla Ibiskos Ulivieri e prefata dal grande Emerico Giachery che per leggere questa Silloge suggerisce, con particolare sagacia e sensibilità, la parola chiave ‘tempo’ in ogni sua accezione. In effetti l’estratto della lirica di Fernando Pessoa, postata come introduzione dall’Autore, induce a posare l’anima sul senso del tempo: “tutte le mie ore dimenticate / giacciono attorno a me come velo di nebbia”. Vi si legge la consapevolezza della fragilità dei momenti vissuti, destinati a dissolversi, a evaporare. In uno dei canti più celebri del Purgatorio Dante chiuse con un afflato: “ché perder tempo a chi più sa più spiace”, e in quel ‘chi più sa’ non ci sono solo la conoscenza e la cultura, ma soprattutto la coscienza di quanto il tempo sia destinato a scomparire nel momento stesso in cui trafigge le nostre esistenze con il suo fluire inesorabile. La lirica che apre la Raccolta, bella da togliere il fiato, come ogni respiro poetico di questo Autore, rende pulsante il concetto appena espresso:

 

“Un mattino che si dipana

  quando il cielo si piega all’alba nuova.

  Di colpo le voci si ascoltano timidamente

  soffocano e si frantumano.

  E aspettare è l’unico presagio

  al tempo che avvizzisce tra le mani”

 

Le poesie, senza titolo, si succedono come un breve romanzo in versi, e hanno il filo conduttore del rapporto con i miracoli della natura. La verità, l’essenza metafisica delle cose, si colloca al di là delle inquietudini e dei dubbi esistenziali: “Solo il mormorio dei platani / mi riconduce alla realtà /Ed è un miracolo il volo degli uccelli” – tratti dalla poesia che dà il titolo al testo. Il Poeta affronta l’antico conflitto tra luce e tenebre, infatti chiede “Non fatemi spegnere al buio! / che sia la luce a togliermi il respiro”  Da creature mortali si raggiunge inevitabilmente una fine, ma il dono della Poesia consente a un uomo come il Nostro di divenire egli stesso fonte di luce per sé e per noi lettori. Ceccarossi non sembra consapevole nella sua umana, vulnerabile dolcezza, del fatto che versi come i suoi annullano la precarietà dell’essere gocce in un oceano, e donano l’eternità. Nelle sue liriche il Poeta esprime il dolore e lo smarrimento per la memoria che spesso sembra soccombere davanti alle forbici del tempo e non consente di recuperare e comprendere il proprio passato.

 

“Non rammemoro più il tempo

  che ci trafugò la nottata.

  Poi un lampo stemperò le ore

  e un sussulto ci colse tra i lecci.

  Non andammo dove novembre

  invitava a teneri germogli

  Ma tornammo a cantare

  A cantare”

 

La chiusa in levare è epifanica, segna la rinascita attraverso la presenza salvifica degli amori, che interrompono il duello tra passato e presente, danno senso al ‘carpe diem’, al prendere il tempo giorno per giorno. “Eppure siamo nuovamente qui ad affannarci / ad assaporare il profumo dei campi / il tempo lieve che rimane / senza nessun rimpianto/ E così / continueremo a sognare”. E senza timore di essere banali, si può affermare con Ceccarossi, che l’amore deride il tempo e gli uomini, come scrisse qualcuno… I territori dei ricordi, quindi, non possono essere fitti di contemplazione, ma riemergono come folgorazioni, lampi di verità nella penombra del presente. Infatti il Poeta racconta: “In penombra i segni si rincorrono / e il cantastorie racconta / Racconta di un bambino / Che adorava foreste e ghiande”

La consecutio nelle poesie è evidente e lo stesso Autore sembra volerla marcare iniziando alcune liriche con i puntini sospensivi, come ideali seguiti delle precedenti. Esiste una trama, sottile come ricamo, lieve come sospiro, che rende la Silloge narrazione di vita impigliata in un ordito finissimo di parole. Non si tratta di poesia narrativa, ne siamo lontani anni luce, vista la cifra stilistica di Giannicola Ceccarossi, ispirata, ricca di espressioni che fanno tremare l’anima, musicale al punto da sembrare un solfeggio di versi, ma di liriche tese a raccontare, a spiegarsi in un unico grande volo. Credo ne sia dimostrazione la Poesia che chiude la Raccolta:

 

“…ma questa giornata

- di continuo più breve -

sfalda il mio pensiero

e non c’è salmo che sciolga le paure

Ora nelle braccia

non ho più alghe da consumare

Per ricordare

c’è solo un nembo di follia”

 

Si termina di viaggiare sui versi di questo Poeta straordinario con la consapevolezza, antica e sempre nuova,  che il sole ha il dono di tramontare e risorgere, non l’uomo, e che solo l’amore consente di sottrarre i momenti all’invidia del tempo e di fronteggiare la sua fuga crudele. 

Maria Rizzi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 commento:

  1. Ringrazio infinitamente Nazario per aver pubblicato il mio tentativo di recensione al meraviglioso 'volo' dell'Amico Giannicola Ceccarossi. La mia ammirazione e il mio affetto per entrambi sono sconfinati!

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