domenica 13 giugno 2021

SANDRO ANGELUCCI: "STUDI SULLE ATTESE" DI GINO PANTALEONE


IL PROSSIMO PERMESSO DI SOGGIORNO

Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade

“[…] Il Poeta non conosce, prima che sia intuito, il contenuto di ogni poesia. Esso si forma inconsciamente.[…] La sua condizione poetica è caratterizzata dall’attesa: attende che l’intuizione dia forma alla sua materia inconscia, a quel contenuto che si rende disponibile allo spirito come contenuto ideale nell’alternarsi.[…] L’opera da creare consuma il poeta in una attesa tragica dell’atto di intuizione: egli è colui che ha rinunziato e attende, non è perché ancora non in movimento la sua potenza creatrice […] prima dell’intuizione, il suo vivere è simile al morire, senza identità e azione, un vuoto consistere nell’indeterminata materia che lo opprime […]”. (L’Arpa Eolia. Teoria del principio poetico, di Salvatore Lo Bue)  

Non è, forse, il più ortodosso dei modi quello di principiare a scrivere una recensione proponendo uno stralcio della citazione riportata in testa al libro ma, nel caso in questione, il riferimento è quanto mai calzante e propedeutico ai fini dell’assimilazione della poetica stessa dell’autore.

In effetti, fin dal primo dei testi qui raccolti, Gino Pantaleone sostiene che l'attesa è nutrimento per la poesia ma anche celebrazione di un "rito crudele di mattanza", entrando subito in medias res:

 

[…]

io so

che dovrò attendere

un tempo indefinito

un caotico

ordine delle cose

un indigesto

mucchio di giocattoli

gettati a casaccio

sull’armadio

io so

dover celebrare

un rito

crudele di mattanza

 

Croce e delizia, dunque, sono le prerogative di ogni aspettativa: quella del poeta ma anche quella dell’uomo tout court, in questo riproducendo il senso stesso dell’esistenza.

Il corpo dell’amata (cfr. l’immediatamente successiva Mi alzerò al cielo) è, esso stesso, metaforicamente, l’occasione, che si offre al Nostro, di scrivere un dettato: qualcosa cioè che oltre ad essere già preparato, e pertanto ineludibile, è anche imposto. I diversi gerundi che si susseguono nella sopramenzionata poesia sono riprova di azioni che si vanno compiendo per arrivare a scoprire, appunto, l’indicibile gioia e l’indicibile tormento procurati dall’amore.

E - a proposito di passione amorosa - questa viene descritta  con un eros molto acuto e delicato al contempo, eros che culmina nella splendida chiusa di Sfiorano le mani (“e ci perdiamo / si ci perdiamo nel viaggio / trovando nell’infinito / l’unico porto sicuro”), compimento non solo di un atto sessuale ma realizzazione di un sogno, allo stesso modo in cui nasce un'opera d'arte: con l'attesa (tutto l'excursus del fatto carnale) e la creazione (lo sfociare nell'orgasmo) che è, sì, pace dei sensi ma nondimeno dispersione in una realtà che spaura.

Poco più avanti si affaccia nei versi l’aspetto della denuncia sociale, pur sempre legato, tuttavia, al confrontarsi dei contrari (“albeggia o imbrunisce / nulla cambia / solo danari contano / queste mani”). Così le mani che contano solo denari possono farsi “rami intrecciati” e possono ASPETTARE (di nuovo il senso dell'attesa). Viceversa: in cosa si può confidare se altro non si sa contare che i soldi? Il comandante del peschereccio può spaventare i gabbiani agitando il vello d’oro ma la sua nave è in balìa di se stessa senza un timoniere equilibrato e sereno (cfr. Prende la cima).

ASPETTARE. Pantaleone sa aspettare:

 

[…]

torneremo ancora

a solcare

il mondo dei puri

a gioire come bimbi

che fanno un girotondo

torneremo ancora

a sperare

a tramutare odori acri

a sentire la fragranza intima

del pane appena sfornato

aspettando

 

Sa attendere che quel pane sia lievitato al punto giusto, che sia pronto per essere sfornato e possa saziare la fame di chiunque abbia bisogno di cibo semplice e genuino.

È indubbiamente un atto di fede il suo, d’autentica fede. Una fede non abituata a comprare, “a chiedere perdono”, “a barattare una carezza”, “a ricevere un sacramento” come se fossero merce di scambio al mercato: così facendo, si smette “di frignare un’altra attesa”, e frignare è necessario, anzi indispensabile, per giungere alla mèta (all'orgasmo: come già detto a proposito di un'altra di queste poesie).

 

[…]

ci siamo scoperti

teneri

abbiamo imparato

tenerci al buio la mano

l’altra

leggera fragile

ha cercato il viso

ad accennare

una carezza

 

Versi, quelli appena riportati, di straordinaria bellezza: canto di un cieco innamorato della propria cecità, delle stelle che si stagliano sullo sfondo scuro di una notte che dura il tempo per arrivare all’aurora.

E, ancora:

 

[…]

tornerò nel grembo della Natura

da buon migrante incallito

sbarcato al centro della Terra

aspetterò paziente

il prossimo permesso di soggiorno

[…]

 

Versi, anche questi, davvero di una levità e di una profondità fuori dal comune. E, ancora, il tempo dell'attesa come lasciapassare per ottenere "il prossimo permesso di soggiorno".

Altrove, il poeta parla di “ghiacci secchi”, di un “artico” tutto suo. Ma qual è l'artico del Nostro? Chiediamocelo. Sono le artificiosità di un vivere non consono alla leggi dell'amore: è per questo che il Paradiso appare lontano e distante, in alto sempre più in alto. E' per questo che i piedi per terra vengono maledetti; perché gli stessi stanno a simboleggiare, non il terreno come si sarebbe portati a pensare, ma la costrizione di una forza altra, una forza che nulla ha a che vedere con la gravità, con l’attrazione terrestre (sia in senso figurato che letterale).

Pantaleone è consapevole che il male deriva dalla mancanza di amore, quell’Amore “che salva che mira il cielo”. Sta nel volersene quasi affrancare il problema, il reiterato errore commesso dall’uomo.

Quando sarebbe opportuno non dimenticare - come si legge in un altro esergo - ciò che afferma Walt Whitman: “Se è tardi a trovarmi, insisti, / se non ci sono in un posto, cerca in un altro, / perché io son fermo da qualche parte / ad aspettare te.”. E Gino che ribadisce:

 

[…]

ma c’è del buono nell’affanno

quando il cielo si sgombra e azzurra

di fiori e di carezze

di baci e di voli d’uccelli

e la voglia di rimettere nel cuore

il tempo sprecato quello acquistato

       io e te la notte un letto sfatto

e la pioggia che smette di cadere.

 

Allora non sbagliavo quando - sopra - sostenevo che l'attesa non è fonte di disperazione bensì desiderio di "rimettere nel cuore il tempo sprecato quello acquistato" e che si conclude con l'orgasmo dei sensi e del cuore che fa smettere la pioggia di cadere?

Non dissimile la speranza del poeta da quella dei migranti (di nuovo la denuncia civile) che devono “pensare a nord” mentre guardano indietro i “mulinelli di sabbia”, “la capanna paglia e fango”.

Nell’ultima ‘sezione’ (preceduta da un aforisma di Shakespeare) - non a caso sotto forma di breve poemetto - Pantaleone tira le somme e sorprende tutti:

 

Ci prepariamo ad un nuovo evento,

un nuovo Messia è alle porte,

non è un uomo di terra ma di fuoco

e spargerà danaro sui nostri più remoti desideri.

Il sole sorgerà ugualmente

ma sorgerà da ovest,

gli uccelli aspetteranno accovacciati la calma

e il nuovo Dio brucerà per intero le foreste.

[…]

 

È l’incipit di Canto dell’attesa (il già menzionato poemetto, che chiude la raccolta).

Il nuovo Messia - anziché portare la pace, l'amore - porterà,  apparentemente però, distruzione e sovvertimento. Già perché non sarà una palingenesi di morte, quella che ci prospetta il poeta, ma una palingenesi rigeneratrice attraverso l'annientamento del preesistente .

D'altro canto, non lo aveva detto Cristo (il Messia che abbiamo conosciuto) che Lui non era venuto a portare la pace ma la guerra? Messaggio, dunque, altamente cristiano quello di cui si fa portavoce il poeta siciliano. E altamente profetico, a mio modo di vedere.

Ecco: qui Pantaleone spiega senza più mezzi termini cosa vuol dire attendere. Il tempo dell'attesa si sta compiendo ed è soltanto al suo termine che si potrà comprenderlo, è soltanto dopo che sarà trascorso che si capirà che, senza quel tempo, nulla poteva avverarsi, la palingenesi si nutre dell'attesa di se stessa così come l'uomo deve nutrirsi di se stesso nell'attesa della palingenesi.

È un crescendo fino alla chiusa:

 

[…]

Ci siamo, un vento leggero attraversa il tuo cammino

ti accarezza la pelle: quello, amore mio, sono io.

 

Attendo.

 

 

E non è certo un caso che l'opera termini con la parola "attendo" che - si badi - non chiude il discorso ma lo lascia aperto a ciò che verrà. Si, perché qualcosa di buono verrà sicuramente. 


Sandro Angelucci

 

 

 

 

 

2 commenti:

  1. Un altro esempio della sublime capacità critica di Sandro Angelucci. Si avvicina a testi lontani e li rende vicini. Mi piacerebbe paragonarlo a un mietitore di stelle. Coglie la luce nei Poeti che legge e, come rabdomante del cielo, ci presenta in punta di piedi i loro modi di vedere e vivere la vita. Gino Pantaleone giunge ai nostri sensi con la sua tensione verso l'attesa e con lo stesso sentimento che diviene impegno civile. Cito l'estratto che mi ha colpita di più: "Così le mani che contano solo denari possono farsi “rami intrecciati” e possono ASPETTARE (di nuovo il senso dell'attesa). Viceversa: in cosa si può confidare se altro non si sa contare che i soldi?". L'Artista nell'esegesi del nostro Poeta attraversa molti stati d'animo e torna a un'attesa che è apertura d'ali, desiderio e speranza che possa avvenire qualcosa di buono. Non ho dubbi che Pantaleoni si sarà ritrovato in questa pagina magistrale e si sarà emozionato, come la sottoscritta, anzi molto di più, visto che l'anima sondata era la sua. Ringrazio Sandro per queste perle e l'Autore per il suo lirismo mai convenzionale, che rompe gli schemi, stupisce e convince. Un abbraccio a Sandro e al nostro Nocchiero e un saluto affettuoso al Poeta!

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  2. Per il momento, ma solo per il momento, ringrazio Sandro Angelucci per avermi tanto emozionato, sorprendendomi, avendo fatto centro con la sua freccia sul senso che tento di dare a questi miei versi. Lui ha superato me stesso e per raggiungere le sue altezze dovrò "attendere" che io Maceri per bene questa recensione... Ringrazio anche Maria Rizzi per il suo delicato commento e, ovviamente, il padrone di casa Nazario Pardini che nei giorni a venire spererei di ringraziare personalmente.

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