domenica 1 agosto 2021

ANNA VINCITORIO: "GEORGES EMMANUEL CLANCIER"


Anna Vincitotio,
collaboratrice di Lèucade

GEORGES EMMANUEL CLANCIER

(Limoges 3 maggio 1914 – Parigi 4 luglio 2018)

Georges Emmanuel Clancier, poeta, romanziere, narratore, critico, uomo di radio.

Dunque una vasta gamma di interessi; ma penso che basti usare una sola parola: poeta per delinearne l’immagine, circondata da un alone d’imprecisione proprio per la molteplicità dei suoi significati.

Basterà riportare sulla poesia le stesse parole di Clancier: “La poesia per me, egli scrive, nella prefazione a – Terres de mémoire –, si lega al ricordo, e sia che bruci del fuoco del presente, sia che si manifesti luce del futuro, essa fa capo al poema che, una volta compiuto, è ricordo privilegiato e permanente riminiscenza di un istante in cui, le ferite, la gioia, la grazia, il dolore, l’illuminazione o l’ottenebramento, si sono trasformati in linguaggio, così come una energia si trasforma in un’altra, come il colore in movimento, la luce nella caduta dell’acqua… poema, ricordo” e perpetuare l’istante in un “éclat de language”. La sua creatività intesa come intima gioia, lo ha accompagnato fedelmente anche nei momenti di solitudine interiore che hanno acuito e affinato la sua sensibilità.

Il tempo può essere sconfitto solo rinnovandosi continuamente e allora: “quale sorgente ascoltare ai limiti del tempo?

Ma se lui era là proprio dove il tempo non esiste

Colui di cui tu temi perdere la traccia

E cos’è se non lo sguardo sperduto

quando si chiudono gli occhi?

Voce, più trasparente d’ogni silenzio

potrà una frase riprendere le tracce della vita?

Le tue parole, le più chiare non tessono

una parte più dell’ombra

Questo attimo, questa parola!”

Solo la parola dunque può condurci alla verità e vincere il dualismo tra

bene e male presenti in ognuno di noi; il ritornare all’infanzia, al sogno, al tempo della verità cosmica:

“Faudra-t-il reconnaître une seule poussière où notre longue enfance voyait l’or de la vie?”

Come giungere dunque alla verità se non attraverso l’estrema sofferenza

del mondo. Dualismo accentuato tra il sogno, la leggenda e il corpo fatto di carne, le sue tentazioni, le angosce degli uomini, le crisi esistenziali, le guerre, il dolore. Lo seguiamo nel suo cammino poetico alla ricerca di momenti unici di grazia ultima dove la pulsione originaria s’inabissa nello splendore della morte. Morte che conserva il suo segreto; tormento e giovinezza, disgrazia e fortuna fuse insieme come dice Daniel Leuwers. I desideri non si sono realizzati sono rimasti allo stadio del sogno senza superare lo scibile. Non possiamo manifestare apertamente l’amore che, anche se inteso come ossessione, ci seguirà ovunque “nella valle fatale dove il nulla tesse le sue braccia”. Dai sogni dell’infanzia all’Orée – Il Limitare[1]. Il suo canto è dolcezza e violenza là dove la luce impone il suo fulgore anche se ignoriamo l’origine. Ma è pur sempre teso verso una possibile speranza oltre i gorghi oscillanti della morte.

Così gli ultimi versi di – Cavalcade[2]

 

… Au loin la seule fleur

que se relève et montre vers la première

étoile revenue

A tire d’aile”.

 

                                                      Anna Vincitorio

Una personalità complessa e polivalente come quella di Clancier viene evidenziata dalle parole di Jean Tardieu in un “hommage” avvenuto a Parigi alla – Maison de la poésie – il 13 ottobre 1986.

“ – Parola oscillante –, colma cioè di più significati… Una poesia di questa natura, di questa – classe – è in egual misura molto enigmatica ed efficace… Clancier è una presenza viva, sia luminosa che benefica, segnata da una partecipazione umana eccezionalmente commossa e commovente. La presenza di un uomo che ci viene incontro, con lo sguardo limpido, la mano tesa come un amico. Mai alcuno ha parlato con maggior fascino e freschezza delle stagioni e dei paesaggi, del colore del cielo e della terra, delle montagne, degli alberi, delle rive ed anche della sabbia, delle pietre, del cammino. In realtà, Clancier merita d’essere chiamato – Le paysan céleste – come il bel titolo di una delle sue raccolte più note… Molto presto come la maggior parte dei suoi contemporanei, Clancier aveva forgiato il suo spirito al fuoco degli eventi tragici dell’anteguerra e della guerra. Ma Clancier non ha soltanto una innata coscienza del tragico. Lui va oltre l’evento, oltre il tempo. Ha perfetta consapevolezza degli Enigmi dell’Essere, aspetto fondamentale dell’angoscia moderna, bagno d’inconoscibile e d’insolubile nel quale noi tutti siamo immersi…”

             Jean Tardieu

 

 

Ho incontrato Clancier del quale avevo tradotto gran parte del suo testo

“Le paysan céleste” al Congresso internazionale dei poeti avvenuto a Firenze il 29 giugno del 1986 a San Miniato al Monte.

In quella occasione potei apprezzare la sua cordialità e attenzione: “pour Anna Vincitorio poète et traductrice des poètes avec mes remerciements port l’actention qui elle venut bien porter aux vers du Paysan Céleste et un cordiale hommage”. G.E.Clancier

Mi venne affidato l’incarico di tradurre – L’Orée – con l’introduzione di

Jean Tardieu da Mimmo Morina – Edizioni Internazionali Euroeditor – Gran Ducato del Lussemburgo. Il testo è uscito nel 1987 in 300 esemplari numerati. A Firenze il 10 maggio 1988 nella Facoltà di Scienze Politiche, L’Orée venne presentata dal Prof. Giuseppe Antonio Brunelli, ordinario di Lingua e Letteratura francese e i colleghi di Facoltà. Presente anche il Prof. Vittorio Vettori che mi fece conoscere Clancier.

Riporto alcuni brani dell’intervento del Prof. Brunelli:

«Il titolo della relazione – Situazione di Georges Emmanuel Clancier – En l’hostie des syllabes le dieu vrai des choses – G.E. Clancier in Le paysan Céleste citato nella Préface di Pierre Gascar – pag. 14.

– Nel sacramento delle sillabe l’autentico divino delle cose. Per collocare criticamente e storicamente questo poeta, può giovarmi, ora che ho finalmente letto e apprezzato qualcosa di lui, oltre alla sua poesia, oltre a interventi critici sul Clancier come quelli di Pierre Gascar (per le poesie di Clancier edite da Gallimard), può giovarsi la sua stessa opera di critico della poesia francese col volume da lui pubblicato da Rimbaud au Surrealisme – Come per i Surrealisti in realtà per G.E. Clancier il capostipite da ricercare non è tanto Baudelaire (com’è uso in genere dirsi anche in Italia parlando della poesia moderna), quanto Rimbaud, il capostipite che vollero scegliersi i Surrealisti, e la poesia di Clancier ha, nel suo farsi, attraversato il Surrealismo, fermo restandone l’ascendenza romantico simbolista…

Le Paysan céleste a ragione o a torto richiamo a me insieme all’altro titolo di Clancier del volumetto dell’87 – L’Orée – il titolo di una raccolta di James apparsa in Francia nel 1906: Clairières dans le ciel. Se L’Orée significa “Le bord, la lisière du bois” (l’orlo, il limitare del bosco), a sua volta Le Clairières, nel bosco sono un diradarsi degli alberi e formano “un endroit dégarni d’arbres dans une foret” – (luogo sguarnito d’alberi in una foresta)… Ma il nuovo pittorico titolo trovato da Clancier, aggiunge a quei varchi, spiazzi, radure, proiettati da James “dans le ciel”, il profilo surreale “Paysan céleste”! L’Orée dell’87 si ricollega quindi per me al suggestivo titolo del ‘43 già citato Le Paysan céleste: il contadino del cielo».

                                               G.A. Brunelli

 

 

Ed ora passiamo alla lettura:

 

 


 

Tavole della luce

Dettate le vostre leggi nel silenzio

Azzurro.

 

L’ora

Sempre si pone

Nell’immobilità improvvisa

Degli astri.

 

Nella scintilla il rogo

Nella goccia di rugiada l’oceano

Nell’occhio l’universo

Nell’attimo il germe

Dell’eternità.

 

Vaste pianure dove cavalcare

Dalla cuspide del giorno al crepuscolo

Vagando da un sogno all’altro

Da un amore al suo ricordo

Di solitudine in solitudine

 

Il limitare,

Quale disegno, colore,

Quale ombra alata di luce,

Quale silenzio o pianto di uccello,

Quale desiderio prima dell’essere,

Quale segno al confine dell’aria,

Quale stagione fuori del tempo

Potrà contenerlo là

Dove noi ci saremo salvati.

L’oblio


Inseguita da mille voci la luce del mio desiderio,

Calma falena alle mie fatiche si è perduta in me,

Giunta dal turbinare di spiagge nere e di animali del tempo

legata egualmente alla primavera, fulgida rosa della morte,

 

Per dormire e torturarmi mi avevi fatto nascere per poi perdermi

In ogni cavità del tuo corpo in ogni totale sconfitta.

 

II

 

Era un fiume carico di lussuria che scendeva fin dove io mi perdo

impregnato di scie luminose dal veloce brusio

E mi premevano completamente annientate le radici

                                                      delle mie origini

Attraverso il grande cammino in cui dimorano le stelle reiette,

Alla soglia del deserto o tra i vaghi fiori dei campi,

Io fui là, caldo sole, senza passato sonnolento,

 

III

 

Falena dalle mille voci, luce, luce, tu mio desiderio

Inseguito fino all’ultimo respiro nel fondo dell’altra

                                        parte di me

Era un fiume carico di lussuria che scorreva là dove io

                                        mi perdo

Era la vergine delle sabbie nere, la fulgida rosa della morte.

Voti

 

                                  Per Anna

 

Appena il sole è tramontato una parte di lei se n’è andata

Dolce mi aveva seguito fino al primo albero della foresta.

Essa aveva le primitive sembianze delle fanciulle e della neve

Fusa al fuoco del suo corpo lentamente diveniva un fiore.

Se n’è andata sola, e io sono rimasto solo davanti alla notte

Sognandola senza poterla vedere, aspettandola senza poterla toccare

nella sua povertà così timida e sconosciuta,

Chi saprà aspettarmi un giorno alle rosse sorgenti delle foreste.

 

II

 

Perché mi sono state donate perdute aurore e grida?

Mattini dai pigri ricordi

E tutte le molecole di luce

Che pungevano con lacrime e grida

                           la tua carne?

Perché mi sono stati donati questi paesaggi folli e questi gesti

                                                            vani

Che se ne vanno al primo vento della vita

E mi lasciano d’improvviso il peso immenso delle mie braccia,

Dei miei sguardi e il crudo ritmico risuonare

                                  del mio cuore.

 

III

 

Si abbassino pure le colline e si sollevino le valli,

Diventi l’oceano pianura molle d’alghe

E mille fiumi un solo bianco cammino,

La luna e la notte si confondono alla terra.

                           Allora potrò vederla,

La mia dolce nemica, davanti alle stelle,

                           Colei che amo.

                           Scomponi il viso

Le sue sembianze di tempo e di sogno

Intinto nel colore affiorante dei frutti.

Scopri questo volto attraverso la carezza delle mani,

Tu non saprai, chi, tenera linfa,

sgorghi e si avventuri in lui

Come alla fragile fonte senza sponde

                           D’una notte.

Cavalcata

 

 

I cavalli galoppano, i bianchi cavalli della fine del mondo.

Il loro fiato perduto bombarda gli oceani

lontano dalla terra attraverso bianche illuminate praterie,

E come licheni putridi e dolci alla loro criniera

si fondono tracce della notte degli uomini

respinta dall’immenso tremore della loro pelle

 

II

 

Gli amori sono annientati, traslucidi i problemi,

vuoti, insignificanti, taglienti, trasparenti di musica

come conchiglia colma di rose al vento

e le nude cinture dei templi d’Europa

così bianchi che la sorprendente cadenza del giorno

al galoppo dei Levantini annienta gli amori.

 

III

 

I cavalli galoppano, i bianchi cavalli della fine del mondo.

E come calpestano e plasmano in profondità per bisogno di luce

il cimitero aggrappato al suo povero sudario ornato

di notti e antiche città vicino alle spiagge, fiori dorati

di menzogne,

e moltitudine delle moltitudini, l’avvizzita miseria

dell’autunno!

 

IV

 

– Non c’è più sorgente al mondo dove possa gorgogliare

il terribile peso del sangue, non c’è più una fessura

delle labbra che sorvegli l’insidioso limite dell’ombra

e dell’attesa; non c’è più che un canto ricurvo

sul principio senza fine di lui stesso.

 

V

 

Finché i loro occhi si sgretoleranno dal loro stesso fondo,

i cavalli, i grandi cavalli della fine del mondo

cadranno adagiandosi simili a lunghe rocce

formano una corona intorno al sole. In lontananza l’unico fiore

che le loro martellanti tempeste non sono riuscite a dividere,

e tradire con l’ininterrotta scintilla al loro impeto

si solleva e sale verso la prima stella apparsa nuovamente

a tiro d’ala.

                    1938

La leggenda della fuggitiva

 

 

I

Lo specchio

 

Qual è nello specchio questa primavera

Che ha i miei capelli, i miei occhi e la mia fierezza

Questa sorgente bionda e verde, questa creatura

Che danza quando cammino e canta quando io grido?

Sono stanca del ritratto fedele sfavillante

Che di stagione in stagione ho tradito

 

Ne ho abbastanza di questa acconciatura vivente

Io voglio chiamare il mio viso e il mio nome,

E riconoscermi infine nel sangue e nella ferita

Della mia solitudine nuda, smisurata.

 

II

La fuggitiva

 

Per il mare, il suo canto, le sue maree

Per il manto violetto in cui si avvolge

Scioglie e scuote

Per l’umida peluria degli alberi, delle mani, del sesso

Per il tremante desiderabile aspetto della vita

Per vedermi nuda e vera allo specchio dell’orizzonte

Nuda ma egualmente ornata come per una vittoria

Dell’apparenza carnale delle città

Contro gli specchi infranti all’orizzonte

Per ritrovarmi ancora

Sono fuggita

 

Ma i fiori che io respiro mi sfuggono

I frutti che mordo si trasformano in ricordi

Ma io esco dalle città con le mani e il cuore vuoti

E dai letti in cui ho amato, l’anima colma

di una violenza in cui due destini si sono perduti.

Note biobibliografiche di Georges Emmanuel Clancier

 

Nasce a Limoges il 5 maggio 1914 da una famiglia limousine de paysans, d’artisans et d’ouvriers porcellaniers.

Studi al liceo Gay Lussac. Nel 1930, scoperta della poesia moderna.

1933-1938, prime collaborazioni con i Cahiers du Sud aux Novelles Lettres, à Esprit.

1939, Matrimonio. Vive a Parigi dove Anna, sua moglie, prepara l’internato degli ospedali psichiatrici.

1940-42 Rientro nel Limousin; studi a Poitiers, Toulouse con laurea in lettere. Incontri importanti e collaborazioni (Joé Bousquet).

È nella redazione della rivista Fontaine ad Algeri. Prima sua Plaquette di poesia: Temps des Hèros ed altre. Incontri nell’alta Vienna con Queneau, Roy, Seghers…

1943-44, corrispondente clandestino nella Francia occupata di Fontaine che continua a pubblicare ad Algeri.

1955-75, segretario generale dei comitati di programmi della RTF e dell’O.R.T.F.

1971 riceve il Gran Premio di Letteratura della Accademia Francese per il complesso della sua opera come poeta e romanziere.

1976, Presidente del Pen Club francese. Coopera alla difesa degli scrittori perseguitati, detenuti, esiliati.

1978 membro dell’Accademia Mallamré che presiede Eugène Guillevic.

1980, Vice presidente della Commissione per l’Unesco.

1985, Vice presidente Internazionale della Organizzazione Mondiale dei Poeti.

1986, Vice presidente Internazionale del P.E.N Club.

Sempre nel 1986, a Firenze per il Congresso Internazionale della poesia.

Notevole produzione di opere poetiche con Seghers e Gallimard. Ne citiamo alcune: Terre secrete 1951 Temps des Heros1943, Le paysan céleste 1956, Une voix1965, Terres de Mémoires 1978, Oscillante Parole 1987, L’Orée.

Poi, critica e saggi di poesia sempre con Seghers e Gallimard.

Notevole anche la sua attività come critico della poesia francese da Chenier a Baudelaire.

1996, il romanzo Une ombre Sarrasine da una novella di H. de Balzac.

Muore a Parigi il 4 luglio 2018.



[1]     Euroeditor – Gran Ducato del Lussemburgo. Introduzione di Jean Tardieu; traduzione italiana di Anna Vincitorio Pestellini – Collezione di poesia diretta da Mimmo Morina – 1987.

[2]     Probabile riferimento ad Albrecht Dürer. Le 14 Xilografie dell’Apocalisse del 1498. Sequenza di immagini fiammeggianti collegate da un pathos visionario.

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