martedì 24 agosto 2021

ANTONIO CATALFANO: "LA RIVOLTA DEL DEMONI BALLERINI"

 

Fra antichi e nuovi morbi resiste la speranza di un mondo giusto.

È un macigno gettato nell’immobile e ammuffita cultura italiana La rivolta dei demoni ballerini, che raccoglie 53 liriche di Antonio Catalfamo, disposte cronologicamente, secondo la data di composizione, dal 19 Agosto 2014 al 7 Giugno 2021.

Si può parlare oggi di comunismo, di sfruttamento, di rivoluzione, di speranza di riscatto? Catalfamo lo fa proprio nella poesia omonima, senza giri di parole, chiamando le cose col loro nome e avanzando una proposta concreta su come uscire dalla crisi che attanaglia soprattutto il mondo occidentale. Ne La rivolta dei demoni ballerini, infatti, ricorda che i contadini siciliani, vessati dai padroni attraverso i mafiosi, avevano inserito antichi riti greci nella religione cristiana. Stanchi di una plurisecolare schiavitù, si ribellarono “come demoni ballerini,/ leggeri nella danza,/ vennero in paese,/ viaggiando di notte” e aprendo la Camera del Lavoro. Trasformatisi in Dioniso, “punirono con durezza/ i loro nemici ” e scatenarono “tutta la loro carica oppositiva,/ per distruggere il mondo dei ricchi”. Dopo il padre, che l’ha tramandato ai posteri con una Olivetti 22, il Poeta prolunga il canto “nella società digitale/ iperconnessa,/ perché i giovani ascoltino/ e imparino”. In tale ottica Nuova rivolta è una lirica-manifesto. Ricordando il bisnonno, che ha lottato contro padroni e servi mafiosi, il Poeta espone il nuovo programma di lotta che affonda le sue radici nel mito antico dei demoni ballerini, i quali, dopo aver eroso “le fondamenta del potere”, si trasformano in satiri, ribellandosi ad esso, e iniziano la “nuova strategia di lotta,/ con i piedi ben piantati nel mito:/ sottoporre gli istinti irrazionali/ al controllo della ragione,/ sconfiggere il pensiero debole/ della società liquida che si scioglie/ nelle mani dei filosofi flebili”. Poesia biologica non solo chiude la Raccolta, ma anche questa trilogia con la riaffermazione che gli ideali politici dell’Autore affondano le radici “nel profondo della terra,/ fino agli inferi”, come il roseto della nonna e della mamma, la cui rinascita dopo la distruzione è il simbolo di un antico modello da tramandare “fino a quando ci saranno/ cuori puri ed onesti/ e non prevarranno/ per sempre/ lo spirito belluino e il fascismo”.

La proposta politica, come si intuisce, è il cuore de La rivolta dei demoni ballerini: direttamente  presente in una ventina di liriche, essa corre lungo tutto l’opera e collega anche le altre tematiche, finendo per realizzare la poetica del dentro-fuori propugnata da Officina. Catalfamo, infatti, parte da un ricordo della sua infanzia, della vita familiare o della realtà storica siciliana e lo collega alle storture del presente, per le quali vede un superamento solo attraverso la lotta contro il capitalismo rampante, che moltiplica le iniquità, confinando ai margini, come non mai, i più poveri. In tale ottica, come già per Pavese, il mito assume una valenza progressiva: trasformatosi in razionalità, esso aiuta a penetrare più profondamente nella realtà e a promuovere il cambiamento della società.

La vigile presenza nei confronti della realtà del XXI secolo è confermata da un gruppo di sei liriche inerenti l’epidemia determinata dal Coronavirus, scritte in tempo reale a partire dal Febbraio 2020.

Oltre alla dura reprimenda (Virus) verso i rigurgiti fascisti, rinfocolati dall’epidemia, contro i cinesi, i quali, invece, sapranno sconfiggere il virus con la scienza (Lettera), l’Autore pone l’accento sulla persistenza di tutti i difetti degli italiani, con conseguenti discriminazioni, anche in tempi di epidemia (Coronavirus), istituendo un parallelo con la mitologia, che vede la natura rinascere in Primavera, e con la Storia: come dopo gli orrori dell’ultima guerra, anche adesso torneremo a una nuova esistenza, vincendo le paure e le limitazioni dell’epidemia (Vita e morte). Analogamente alle rose della mamma, egli auspica che rinasca spontaneamente il sentimento d’amicizia, superando il muro d’incomunicabilità, oggi simboleggiato dalla mascherina (Ancora sulle rose).

Il ricordo della madre, scomparsa nel 2018, è l’altro tema ricorrente della Raccolta, direttamente presente in una decina di liriche, ma richiamata anche in altre. Alla memoria di eventi infantili indimenticabili (Presepe, Ciambelle pasquali) fa da contraltare il dolore per la malattia mortale e per l’insensibilità di medici e istituzioni (Petrarchesca, La pensione). Sono ricordi teneri, ma anche densi di insegnamento per la vita, che si completano con quelli avuti dal padre e dai nonni. In certi momenti vince la tenerezza (Dialogo, Lezioni), mai però fine a se stessa (A mia madre): dai familiari, come dall’antica cultura siciliana, il Poeta riceve la spinta per proporre una poesia militante, pur ammettendo che è difficile dar vita a una nuova società consapevole e giusta. In Simbologia della vigna, ad esempio, ricordando le lotte del padre, che sognava una nuova grecità e l’instaurazione del “comunismo/che ci rende tutti uguali”, evidenzia che esse cozzarono contro l’egoismo dei contadini piccoli proprietari. A quel mondo i figli emigrati dei braccianti preferiscono oggi inseguire “modelli piccolo-borghesi”. Poiché il progresso li ha aiutati a vivere una vita meno dura, molti contadini non hanno saputo proseguire nella lotta per l’instaurazione di una società comunista, che invece deve continuare (Il neo-umanesimo comunista).

Dal collegamento costante col passato emerge anche la personalità dell’Autore. Riandando con la mente ad un intervento di cataratta (Operazione), egli evidenzia che la differenza fra la società comunista e quella capitalista consiste nel peso diverso che hanno “tre parole”: “madre/ pane/ compagno”. Ne consegue l’orgogliosa rivendicazione della proficuità del proprio lavoro di critico letterario (Ai miei nemici) e della centralità della poesia. Riandando, infatti, alle misere condizioni postbelliche della sua famiglia e dei compagni di scuola del padre, afferma:  “La poesia mi serve/ a raccontare/ la vita degli umili”, usando “il linguaggio universale/ di uomini, piante, animali/ a ritornare al naturale di Ruzzante” senza inutili barocchismi o tematiche da poeta renitente o esoterico, incapace di dire la verità sulla prepotenza dei padroni di terre, che accumulano ricchezze a danno di contadini e artigiani immiseriti. La sua posizione risulta distante anche dal “critico strutturalista/, fascista paludato”, il quale “mesce liquami di fogna,/ esalta la «belle époque»/ e i figli di sgarro” (La mia poesia). Senza mezzi termini, perciò, Catalfamo dichiara (Rivoluzione) che è necessaria l’unione di coloro che credono ancora nella forza della rivoluzione bolscevica, per pervenire ad un futuro di riscatto socio-politico.

A scanso di equivoci sull’apparente passatismo della sua proposta, egli sostiene (Mito e rivoluzione) che bisogna “proiettare il passato nel futuro”, elevando a mito la rivoluzione, che “ci rende felici,/ accende e placa i nostri furori”. È una convinzione che discende anche dalla constatazione che dalle lotte del padre in un tempo di miseria si è giunti alla falsa sinistra odierna, schierata coi padroni, rappresentata da “figli di papà”, che ignorano “cosa significhi/ fame e dolore,/ morte civile,/ sentirsi braccati/ dai cani da guardia del sistema,/ mancare l’aria per il vuoto/ creato tutt’intorno” (Il comunismo e mio padre).  Per il Nostro, quindi, “l’umanesimo è comunismo”, come hanno imparato le varie generazioni di lavoratori, basandosi sulle parole di Marx e Lenin (Primo maggio).

All’interno di un linguaggio attuale di comunicazione e privo di retorica si inserisce anche quello proprio della satira e dell’invettiva, per denunciare l’esosità delle banche, di cui il Poeta si augura la fine insieme all’epidemia (Versetti semiseri), la presenza di spie al servizio del potere (Ruffiani) e la definizione di fascisti data ai suoi nemici, visto che “non conoscono la libertà” e lo offendono per le sue idee politiche, ricordando loro i compagni poeti Hikmet, Ritsos e Neruda (Nemici). 

Nel suo articolato viaggio dal passato al presente e proiettato al futuro, Catalfamo trova il modo di ricordare Vittorini, Pavese, Fenoglio, Carlo Levi, Saba, Rodari e altri autori che sente vicini, dando ulteriore profondità alla sua poesia.

A completare la poliedrica personalità dell’Autore concorre anche il gruppo di nove poesie, poste soprattutto nella parte iniziale della Raccolta, che sviluppano la tematica dell’amore sensuale.

Ciò fa comprendere come la polisemia della sua poesia  sia talmente ampia e ricca di spunti umani e culturali da non poter essere racchiusa in poche righe: bisogna leggere con attenzione la Raccolta, per poter cogliere in maniera inequivocabile il pensiero dell’Autore, che non fa nessuna concessione al qualunquismo galoppante e alla voluta ignoranza della Storia, i densi e costanti riferimenti letterari provenienti dal suo lavoro di critico, respirando, nel contempo, un’aria nuova e piena di speranza, nonostante la crisi che oggi percorre l’intero pianeta.

Angelo Piemontese.

Antonio Catalfamo  La rivolta dei demoni ballerini, Pendragon, 2021, € 14,00

 

 

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