domenica 1 agosto 2021

FRANCO CAMPEGIANI: "EPICURO NELLA VISIONE DI MUZIO TERRIBILI"

 EPICURO NELLA VISIONE DI MUZIO TERRIBILI

Relazione di Franco Campegiani svolta nel corso del 3°Festival Epicureo

 











Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade

"Non era passato un secolo dalla morte di Socrate (399 a.C.), Platone era morto solo da una ventina di anni (347), Aristotele era ancora vivo (muore nel 322), Accademia e Peripato erano funzionanti a pieno ritmo, e già i grandi sistemi di pensiero, che storicamente sono le icone della civiltà e del genio dei Greci, subirono un attacco che mirava a un vero e proprio ribaltamento. Il fatto che Scettici, Stoici ed Epicurei, pur nelle distinzioni specifiche, insistessero concordemente nel proposito di conferire alla filosofia un carattere morale e pratico, concreto e utilitaristico, significava che la gente era stufa di astruserie e astrattezze, e preferiva ammaestramenti terra terra, di applicabilità generalizzata e immediata".

Si apre così, con queste rapide ed incisive pennellate, l'affresco di Muzio Terribili di cui oggi parliamo. Il libro, edito in e book e scaricabile dal sito www.epicuro.org, s'intitola "Epicuro o della Vita Serena" ed è dedicato all'epicureismo, una delle filosofie post-aristoteliche che hanno caratterizzato l'epoca alessandrina, o ellenistica. Si era all'alba dell'antropocentrismo e già apparivano i segni del suo declino, la stanchezza dell'umore greco per le astrazioni del pensiero classico, la sfiducia per quel senso della libertà appena inaugurato, che fondava il suo statuto sull'affrancamento dell'uomo dalle leggi di natura. L'epicureismo, in questo quadro, si fece paladino di un netto rifiuto, sferzando ogni forma di intellettualismo che intendesse stravolgere l'ordine di natura. Per il suo fondatore, Epicuro, la vera libertà stava tutta nell'aderire alle leggi di natura, anziché nel distanziarsene. Un ribaltamento radicale, che poneva in guardia nei confronti di ogni artificio o sovrastruttura intellettualistica.

Il fatto che una scienza nasca dal bisogno di liberarsi di una necessità non significa, a mio parere, che una cultura debba per forza sorgere in antitesi alla natura, bensì, al contrario, significa che necessità e libertà, natura e cultura debbono collaborare tra di loro. L'uomo non deve competere con la natura (competizione di cui oggi vediamo i risultati letali), ma deve cooperare con essa, scoprendo che negli orizzonti del proprio libero arbitrio c'è anche il libero arbitrio di non approfittare del libero arbitrio. Potremmo dire una semplicità ritrovata, dove natura e cultura sono strettamente connesse tra di loro. Terribili rammenta che "Epicuro ci tiene a presentarsi come autodidatta e discepolo di nessuno", ma poi sottolinea "l'esplicita e indiscutibile dipendenza e continuità (di quella visione del mondo) con una filosofia storica, l'atomismo di Democrito".

E nel ricordare la famosa esortazione attribuitagli da Diogene Laerzio ("Fuggi a vele spiegate ogni genere di cultura"), chiarisce che per cultura, in questo caso, "bisogna intendere un sapere disancorato dai bisogni concreti dell’esistenza". Quindi si chiede: "se niente filosofia e niente cultura, che si faceva nelle scuole epicuree?". La risposta è immediata: "tutto, naturalmente, filosofia, scienza, letteratura, in una parola cultura, ma badando che tutte queste attività fossero finalizzate a una vita individuale consapevolmente più felice, o meno infelice". La filosofia e la conoscenza non dovrebbero mai distaccarsi dalla realtà e dalla vita. E giustamente Terribili ricorda Pascal, pensatore in un certo senso accostabile ad Epicuro, il quale dice: "Il miglior modo di fare filosofia è di non farne affatto".

Poi, riassumendo il pensiero del maestro di Samo, scrive: "finiamola di rovinarci l’esistenza appresso ai grandi ideali come la verità assoluta, la giustizia assoluta, il bene assoluto, che tanto nessuno li troverà mai e servono solo ai parolai e ai furbi, e contentiamoci dei piccoli piaceri che sono a portata di mano di tutti". Immagino che sia muovendo da queste considerazioni che si è voluto porre il terzo festival epicureo sotto l'egida del genio di Recanati. Una scelta intrigante ed oculata, dato il rifiuto delle metafisiche che fu proprio di entrambi, di Leopardi come di Epicuro. Tuttavia occorre sottolineare una distanza tra i due, per la differente ed opposta considerazione che avevano della natura: negativa per l'uno, positiva per l'altro. La Natura di Epicuro non è madre matrigna, come lo fu per Leopardi, e tuttavia essa non ha nulla a che vedere con i misteri dell'arcaica madre eleusina. La Natura di Epicuro non ha alcunché di misterico ed è una fonte di puri e semplici ammaestramenti razionalistici.

L'epicureismo non vuol sentir parlare di spirito. Tutt'al più di ragione, purché depurata, questa, delle astrattezze che la allontanano dalla semplicità e dalla aderenza all'ordine di natura. Nota è la polemica epicurea contro le religioni e le mitologie. Stando a Terribili, non è che il maestro disprezzasse il mito tout-court, in assoluto. Bisogna intendere bene la polemica di Epicuro. Del mito egli apprezza il senso estetico, sempre e comunque alleato del buon senso pratico. Ciò che del mito rifiuta è la sua degenerazione in dogma, in religione, in ideologia. Al contrario dei metafisici che amano distaccarsi dalla vita sensitiva, a lui sta a cuore l'alleanza del sensibile con l'intelligibile, purché questo intelligibile non si perda dietro i fumi dell'iperuranio platonico o della logica aristotelica, ma sia pensato come buon senso, misura, intelligenza elementare. Ci sarebbe indubbiamente molto da discutere, approfondire, argomentare, ma non è questa la sede per farlo. Ciò che conta è comprendere come per Epicuro i sensi siano assolutamente innocenti, non abbiano né potrebbero avere colpe di alcun genere.

Allineati con le leggi naturali seguono istinti infallibili cui non è consentito sbagliare. Che l'uomo sia fallibile è vero, ma la sua fallibilità non ricade sui sensi, bensì, più in generale, sulla propria natura. Che è come dire sulla mente dell'uomo stesso, sui suoi meccanismi psichici che  rifiutano di girare secondo ingranaggi naturali. Ogni forma di intellettualismo, vanamente rincorrendo l'universale, finisce per affogare paradossalmente nei particolarismi faziosi e partigiani. Epicuro non ama il termine universale, ma fa intendere che non c'è nulla di più universale dell'ordine di natura, della vita dei sensi, dell'innocenza animale. Per non dire della semplicità del mondo infantile. Che bisogno c'è di costruire gabbie artificiali allo scoccare della cosiddetta età di ragione? Bisognerebbe crescere senza uccidere il bambino che è in noi. Divenire adulti senza adulterarsi, senza perdere smalto e senza smarrire se stessi, l'amore di sé (filautia), che non è l'amor proprio egoistico, e coincide con la disinteressata amicizia, la forma più nobile dell'amore tra esseri umani.

La filosofia epicurea è ingiustamente accusata di amoralità dai dogmatici di ogni tipo, dai fautori dei cosiddetti valori ideali che giungono alle peggiori aberrazioni - loro si - in nome dell'ideologia. Le anime semplici purtroppo cadono nella trappola tesa da questi raffinati manipolatori e finiscono per farsene complici. Nella Lettera a Meneceo, Epicuro lo dice espressamente: "le opinioni del popolo sugli Dei non sono nozioni evidenti, ma false congetture". Forse non intende prendersela direttamente con il popolo, tratto in inganno, ma in ogni caso lo ritiene corresponsabile dei pregiudizi, delle superstizioni, delle paure e dei feticismi alimentati dagli abili plagiari. Il materialismo antireligioso di Epicuro - sostiene Terribili - non costituisce in sé una radicale negazione degli Dei, ma è solo un rifiuto del modo in cui queste cose vengono credute a livello popolare.

La religiosità greca, avverte l'autore, non ha nulla di trascendente, ma è una traduzione simbolica dei fenomeni di natura. "Se la religione è questo, fa dire l'autore ad Epicuro, allora io sono religiosissimo. Ma questa religione non si coltiva nei templi, attraverso i sacrifici e gli atti di culto, ma nella scuola e nella ricerca scientifica" (io direi meglio - consentitemi di entrare nella discussione - nel tempio interno dell'uomo ed in quello esterno della natura). In ogni caso, secondo Muzio/Epicuro, la trasformazione della mitologia in religione non è opera dei poeti, ma dei semplici e degli incolti, facili prede di menti avide, astute, acculturate. Tuttavia, lasciatemi spezzare una lancia in favore delle masse contadine e popolari di un tempo, che possedevano una loro naturale scaltrezza per svincolarsi da tali malie. Pensiamo alle Pasquinate, a quei feroci sarcasmi plebei lanciati verso il clero ed il potere temporale. Pensiamo all'italum acetum di cui parla Orazio, o ancora ai salaci fescennini rurali. E che dire degli aspri motteggi indirizzati dai soldati romani stanchi verso i generali in pompa trionfale?

Certo, qui stiamo parlando dei Greci, non dei Latini, e forse non è lecito generalizzare. Forse, ma era solo per dire che una mente semplice, seppure incolta, non è necessariamente una mente debole o sprovveduta, soprattutto se riesce a ridere di tanta astuzia escogitata per la propria sottomissione. Vedremo poi, nei dialoghi, il giovane Andrea avanzare un sospetto in tale direzione: "Ammesso poi, insinua il giovane, che la religiosità degli incolti sia realmente sentita come tale. Penseranno davvero che le feste e le altre manifestazioni di culto siano richieste da Dio o sono loro che le vogliono per divertirsi un po'?". Epicuro sembra approvare. Il fatto è che il mito sorgivo è un conto, la mitologia un altro. Epicuro (o Terribili/Epicuro è il caso di dire) distingue nettamente il mito dei poeti (e io aggiungerei dei popoli nativi) dalla sua degenerazione in dogma e misteriosofia. La mitopoiesi, ingenua e sorgiva, amplifica il senso estetico e morale della vita. La mitologia, subdola e dogmatica, è finalizzata alla prevaricazione e all'egemonia.  

Epicuro dichiara che il fine della sua scuola è la ricerca del piacere, ovvero di una vita felice in sintonia con la natura. E' qui che sorge l'equivoco. Di quale felicità parla Epicuro? Di una felicità che è rifiuto del superfluo, capacità di vivere con quanto basta, ovvero con l'essenziale, con il necessario. Che piacere è, si chiede, l'avidità che fa soffrire e causa agitazione? Felice è chi sa vivere con poco, chi coltiva l'amicizia, chi non smette di essere curioso. Un'istanza che potremmo dire pauperista, pur tenendola distante dal misticismo francescano. Nessun sacrificio, nessuna privazione aprioristica dei beni materiali. E tuttavia soddisfazione dei bisogni reali autentici, non di quelli eccedenti o voluttuari. L'aspetto economico, materialistico, di questa visione del mondo, legata ai bisogni, è fuori discussione, ma parliamo di istanze sane, non confrontabili con l'utilitarismo e l'edonismo sfrenati. Non si capiscono pertanto le ragioni (o forse si capiscono bene) di tanto risentimento nei confronti di questo maestro di equilibrio e saggezza.

In questo agile e prezioso ritratto, il genere letterario prescelto, anziché la trattazione classica, è quello del dialogo, con il risultato di alleggerire di molto il discorso filosofico. Una scelta che rende il testo seducente e vivace. L'autore ricorre all'espediente di far incontrare uno studente dei nostri tempi direttamente con Epicuro, nel suo Giardino ateniese del IV secolo a.C., con il risultato di annullare le distanze temporali. Il Maestro può così spiegare al giovane Andrea - spiazzandolo, ma restandone a sua volta piacevolmente sorpreso - le proprie teorie trasgressive, in un colloquio alla pari che, non togliendo nulla alla scientificità delle argomentazioni, dona loro il fascino dell'attualità e della semplicità comunicativa. Per la verità, Terribili ammette che il suo discorso possa non risultare sufficientemente rigoroso o scientifico, ma cos'altro è fare storia, si chiede, "se non ricostruire, estrarre da quello che si ha quello che verosimilmente doveva e poteva esserci?".

"Come si fa, continua, a fare storia senza un minimo di fantasia? E che senso avrebbe la rivisitazione dei Classici se non quello di scovare in essi la linfa, buona a nutrire la vita spirituale di noi moderni?". D'altro canto, avverte Michele Pinto, curatore dell'opera, "purtroppo il tempo non è stato indulgente nei confronti del pensiero di Epicuro e assieme ai tanti suoi scritti sono andate perdute parti importanti della sua dottrina". Tuttavia, sottolinea, "Terribili non si rassegna e ne ricostruisce, per quello che si può, il pensiero. Mette in bocca al personaggio Epicuro anche le sue parole". E' questo lo stile prescelto, fantasioso e scientifico a un tempo. Esso alimenta dalla prima all'ultima pagina l'intero elaborato, ma è negli ultimi capitoli che giunge alla sua massima espressione, laddove l'eloquio, facendosi scientificamente più pregnante e rigoroso, richiede proprio per questo una maggiore levità discorsiva.

Dopo essere giunto ad Atene in cerca di Epicuro, il giovane Andrea, nostro contemporaneo, si ritrova nel quartiere di Melite e attraverso una porticina spalancata entra nel Giardino, dove è direttamente il maestro ad accoglierlo, riservandogli squisite attenzioni. Nei quindici dialoghi che seguono, si affrontano decine di argomenti di cui possiamo dire qualcosa, ma che non possiamo sviscerare per intero. Dopo avere disquisito di metodo nelle prime battute, Epicuro enuncia le modalità dolci e flessibili del proprio insegnamento, contrapponendolo al dogmatismo aristotelico, nei confronti del quale esterna tutta la sua ostilità. Aristotele - dice - deve la sua fortuna al fatto di essere stato maestro privato di Alessandro il Macedone, definito "un grande soverchiatore, un grande professionista del sopruso e della violenza".

E aggiunge: "la relazione tra i due non era soltanto di carattere culturale, ma anche politico. Perché ad Atene si contrastavano due partiti, uno democratico e antimacedone, guidato da Demostene, l'altro conservatore e filomacedone, che faceva capo ad Aristotele". Quindi il giustificato sospetto: "Alla permanenza del filosofo a guida del Liceo e ai suoi successi editoriali e accademici, si può pensare estranea l'ombra protettrice del grande monarca? Non è possibile". Al contrario, il programma filosofico epicureo si fonda sull'assenza di arrivismo, di avidità, di invidia, e ovviamente di manie imperialistiche. La sua scuola mira al raggiungimento di una vita serena e alla liberazione di ogni paura. Esistono tanti tipi di paura, ma tutti in fondo si possono contenere con la retta ragione. Tranne uno, quello di morire. Di fronte alla morte non c'è ragione che tenga e l'unico antidoto è pensare che essa in fondo non è una presenza, ma un'assenza, un venir meno, un nulla. E come può impaurire un nulla? Quando noi siamo, lei non c'è, e quando c'è lei non ci siamo noi.

Moltissimi argomenti vengono trattati nei dialoghi. Si parla di Patria, di amore coniugale, di amicizia, di solidarietà, e di tanto altro che qui è impossibile affrontare per esteso. A proposito di Platone, Epicuro dice che il suo torto sta nell'aver fatto dell'anima una sostanza a se stante, vivente di vita sua, che più fa a meno del corpo e meglio sta. E aggiunge che la tradizione filosofica dei Greci era un'altra, quella naturalistica. Il suo fine, al contrario, è mostrare come la via più sicura e diretta della conoscenza siano i sensi, ai quali è dato di cogliere, si, la verità, ma soprattutto la bellezza delle cose. Straordinario l'esempio del cane che riesce a nuotare per istinto, senza prendere lezioni di nuoto. La vera conoscenza non è concettuale: "Mi vuoi spiegare perché mai questa pietra, per essere vera, deve diventare concetto?". Platone ha tirato Socrate dalla sua parte, facendone l'antesignano della conoscenza teoretica, sostiene Terribili/Epicuro. Per Socrate, infatti, strenuo contestatore dell'arroganza intellettuale, il daimon era respiro vivo, tutt'altro che arido schema concettuale.

Epicuro è un pensatore che è opportuno riscoprire negli angosciati tempi attuali, e bene ha fatto Terribili a proporne questa edificante lettura. Ma chi era Muzio Terribili, personaggio non meno scomodo di lui, tutto da conoscere e scoprire? Una personalità dirompente e geniale. Nato nel 1928 a Marino laziale (Roma), nei Castelli Romani - che è anche la mia città natale - è scomparso nell'agosto del 2015. Docente di Filosofia, fu artista a tutto tondo: pittore, musicista, drammaturgo, saggista e finanche poeta dialettale. Dopo avere svolto studi severi di cultura religiosa, indossò l'abito talare, restando presto deluso dal conformismo, dalla superficialità e dal pressapochismo degli ambienti religiosi circostanti. Disagio destinato ad approfondirsi nel tempo, fino a divenire irritazione e insofferenza, esplodendo infine, sul finire degli anni Ottanta del secolo passato, in interiore e contenuto rifiuto. Si autosospese infine dall'esercizio per libera scelta, senza clamori, pur conservando ottime relazioni personali con alcuni alti ecclesiasti, suoi estimatori ed amici.

Collaborò vivacemente con la Diocesi, prendendo parte, tra l'altro, ai lavori della Commissione diocesana per l'Arte Sacra. Per conto della stessa Diocesi, promosse la pubblicazione dell'opera "Le origini del Cristianesimo in Albano e le Catacombe di San Senatore", elaborata nel 1990 dall'Archeologo Pino Chiarucci con la collaborazione del fotografo e regista Pio Ciuffarella. Di suo pugno, Terribili elaborò numerosi scritti di ambientazione religiosa: da "Alcune di noi e Lui" (Edizioni Cultura e Dialogo, 1988), a "Se tu avessi pazientato..." (Edizioni Paoline, 1997). Infine citiamo "Io, Saulo di Tarso" (New Edit), uscito nel 2002. Gli interessi religiosi e teologici andavano in lui di pari passo con quelli umanistici. Insegnò infatti per decenni materie umanistiche presso il Complesso Scolastico "San Giuseppe" di Albano laziale, e divenne Preside dello stesso Istituto nel 1955. Generazioni di studenti lo ricordano per aver assistito, in quella sede, a lezioni memorabili di Filosofia e di Storia, con il problema estetico (implicitamente morale) al centro delle sue profonde attenzioni.

Terribili svolse un'intensa attività pedagogica anche al di fuori dell'ambiente scolastico, in contesti pubblici e privati, nell'intento di promuovere un'educazione non arroccata nella propria torre d'avorio, bensì al servizio della comunità e generosamente aperta al territorio. Tra i suoi lavori di interesse scolastico, va ricordato "Favole e fantasia" (Mursia Editore 1988, e successive ristampe), un'antologia del genere favolistico scritta con Anna Verani e Jolanda Bianchi, per aiutare a comprendere che cosa sono le favole e perché si raccontano. Sul versante artistico, la prima musa a cui rivolse il proprio interesse fu la musica, alla quale si applicò fin dall'infanzia (pianoforte e composizione), coltivandola successivamente attraverso la costituzione e la direzione di complessi corali. Delle arti figurative si interessò dapprima in qualità di docente, conferenziere e saggista, poi di organizzatore di esposizioni, e di partecipe a giurie esaminatrici, insieme a valorosi artisti e critici (Manzù, Venturoli, Ponente, Maltese, Guzzi, e altri).

La preparazione teorica gli permise di accingersi a svolgere azione concreta, munito di una sorta di metafisica estetica, sulla scorta del teologo Hans Urs Balthasar, che studiò a fondo e tenne come punto di riferimento nelle sue riflessioni, negli scritti e nelle lezioni. Dopo un ventennio di figurazione, nel 1980, approdò all'espressione astratta, tenendo gli occhi ai grandi artisti del sec XX: Kandinskji, Burri, Afro, Magnelli, Turcato, eccetera. L'ultima fase della sua ricerca fu caratterizzata dalle cosiddette stampe a mano, rispondenti ad un'esigenza di astrattismo puro, un cromatismo squillante e geometrico ottenuto con colori tipografici spalmati con rulli su cartoni patinati, utilizzando mascherine pazientemente ritagliate, con un risultato decisamente più brillante rispetto alla pittura ad olio. Un'esultanza visiva dalle ascendenze neoplastiche che trovava nel clima gestaltico della Op Art la sua giusta collocazione.

Preziosismi, quelli di Terribili, non mai gratuiti ed effimeri, ma sempre alimentati da uno stupore profondo, da un meravigliarsi interiore autentico. Stupore dei sensi come stupore spirituale. Ed è l'unità del Vero, del Buono e del Bello di cui parla il teologo Hans Urs von Balthasar, sulla scorta del vetusto Platone. E' da qui, da questa rivalutazione della sfera sensibile, che si deve partire per un'attenta analisi della speculazione filosofica di Muzio Terribili. L'attività sensibile come promotrice di vita spirituale. Ed è qui che s'innesta il suo interesse per Epicuro, anche se costui, come abbiamo visto, di spiritualità non voleva sentir parlare. Almeno nel significato tradizionalmente dato al termine.

Nel libro "Estetica in genere ed estetica pedagogica" (2009), Terribili svolse una fondamentale riflessione sulla bellezza, citando passi emblematici dall'opera di Hans Urs von Balthasar. Il quale aveva scritto: "In un mondo senza bellezza... anche il bene ha perso la sua forza di attrazione... e gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica". E la mente di Terribili correva a Platone, laddove nel Convivio aveva detto: "Bellezza sola può liberar l'uomo da quest'immenso dolore". Quel Platone, commentava, che "non intendeva la filosofia come Aristotele e tanto meno come la intende la moderna cultura occidentale, intellettualistica e sistematica. Per Platone la filosofia è scienza d'amore", "dove amore è amore di bellezza".

Poi argomentava: "l'uomo che attraverso la scienza ha capito tante cose, dovrebbe oramai... non meravigliarsi più di niente. Invece non è così. Lo stesso atteggiamento meravigliato, stupito e incantato del primitivo e dell'ignorante di fronte a un fenomeno di natura, ritorna nell'uomo evoluto, quando egli accantona lo scienziato e lascia spazio al poeta (il fanciullino pascoliano che è al fondo di ogni uomo)... Galileo ed Einstein, che, come tutte le vere grandi menti scientifiche, erano immuni dall'intellettualismo gretto, non finivano di incantarsi davanti al firmamento, che pure avevano esplorato per lungo e per largo". Ed eccolo, infine, il nucleo centrale di questo finissimo scrittore e pensatore controcorrente: "il sentimento estetico è il principio motore di ogni altra attività, non solo quella strettamente artistica; il carattere estetico ne accompagna lo svolgimento e ne è il fine generalissimo".

Terribili dette vita, tra l'altro, ad alcune agili, brillanti monografie riguardanti filosofi, e se avesse avuto tempo ne avrebbe prodotte sicuramente molte di più. Una di queste è dedicata a Socrate. Un'altra, dedicata ad Epicuro, è l'oggetto del presente elaborato, tendente a smascherare l'inganno dei detrattori del noto filosofo, "che si battono per i valori tradizionali, gli ideali religiosi, gli interessi del paese e della società", ignorando che nel materialismo di Epicuro, "nelle sue massime, di vivere ignorato, di preferire la pace della campagna al rumore della città, di tenersi lontano da cariche e responsabilità sociali, di non correre appresso ai soldi, di essere frugali nel cibo, di evitare anche il matrimonio se è possibile, e cose di questo genere, non a torto si sono trovate anticipazioni della morale cristiana". Utilitarismo, edonismo, egoismo, amoralismo, eccetera, non sono riferibili alla filosofia di Epicuro.

Eppure, scrive Terribili, ancora oggi epicureo si continua a dire di persona smodata, crapulona e corrotta, che è tutto il contrario di quello che era e insegnava Epicuro. Il quale, tra l'altro, "pur sostenendo essere il piacere l'unica regola dell'agire, razzolava benissimo: era mite, sobrio, austero e tollerante". Per concludere questo rapido excursus sulla figura e sull'opera di questo ingegno che è assolutamente doveroso, oltre che estremamente edificante, ricordare, non posso tacere un versante apparentemente secondario, ma non meno illuminante, della sua produzione letteraria. Mi riferisco a due testi di sonetti romaneschi al vetriolo ("Li cattolici d'oggi" New Edit, 2007 e "Papa oggi Papa ieri", New Edit 2009), scritti sull'onda dei suoi malumori crescenti nei confronti del cattolicesimo in generale, con l'impietosa denuncia del fariseismo e della degradazione della fede quando si riduce a facciata di comodo, a pura e semplice formalità esteriore. Tuttavia un'avvertenza, prima di concludere, è doverosa, giacché non vorrei, con questa panoramica, avere alimentato una falsa immagine della sua figura.

Su moltissime cose ci intendevamo, anche se i nostri pensieri non erano sovrapponibili, ma non è di questo che intendo parlare. Ciò che ci tengo a sottolineare è che lui ha continuato ad avere fino in fondo una fortissima fede cristiana. Una fede autentica che, come mi scrisse un giorno, lo portava a credere nella Persona che "pur negli ininterrotti rapporti con la sua natura animale e necessaria, coltiva e perfeziona il suo spazio di libertà, grazie alla quale può perfino sottrarsi ai legami della natura e della necessità". Credeva insomma nella trascendenza (tutt'altra cosa della religione naturalistica greco-romana) e credeva nell'infinito: "l'Infinito spinoziano-romantico, specificava in quello scritto, nel quale il Poeta naufragava. Un "dolce" naufragio, ma naufragio vero e proprio". E con questo concludo, riportando il discorso direttamente nel cuore e nell'ambito del festival che stiamo celebrando, entro l'orbita del genio di Recanati.

                                                                                

                                                                 Franco Campegiani

 

 

 

  

 

 

 

2 commenti:

  1. Ritengo sia impossibile commentare questa pagina dell'amico Franco, ma avverto il desiderio di provare un intervento anche in nome dello straordinario Muzio Terribili, che proprio tramite Franco, ho avuto l'onore di conoscere. La sua statura di Artista è stata ed è tale che non lo si può dimenticare e il caro Franco Campegiani gli tributa questo grande omaggio nel corso del 3° Festival Epicureo. Terribili, da pedagogo, impiantò l'Opera sul filosofo come dialogo tra un allievo moderno e il pensatore che "ci tiene a presentarsi come autodidatta e discepolo di nessuno". Il titolo dell'Opera è "Il piacere di Epicuro" e sfata giustamente il luogo comune di un amante dei beni materiali, un ateo seguace del piacere. Da sempre sembra che la filosofia di Epicuro insegua il godimento e si caratterizzi per questa peculiarità. In effetti Franco nel leggere Terribili chiarisce che La felicità secondo Epicuro è riuscire a vivere con quanto basta. Questo ci è possibile, però, solo riconoscendo che esistono importanti differenze tra i nostri bisogni e i piaceri che derivano dal soddisfarli. Personalmente da estimatrice di questo filosofo credo che mai come oggi pensare con Epicuro è un potente antidoto all’ansia rispetto alla propria vita. Infatti, il filosofo ci ricorda che è davvero poco l’irrinunciabile e che possiamo procurarcelo abbastanza facilmente. Questo non significa che la felicità secondo Epicuro comporti un vivere al ribasso. Al contrario, essa deriva da un continuo esercizio di scelta. Felice è chi sa vivere con poco. Chi si accontenta e gode delle felicità che ci vengono date in dote nell'attimo eterno che viviamo. Un concetto di grande rilevanza e di attualità imbarazzante. Franco mette in luce come Terribili tenda a confutare come "ancora oggi epicureo si continua a dire di persona smodata, crapulona e corrotta". Lo si può considerare anticonvenzionale, innovativo, ma non si deve negare la sua natura "mite, sobria, austera e tollerante". Un saggio quello presentato dal nostro Franco che fa onore a lui, filosofo rivoluzionario del terzo millennio, a Muzio Terribili, pedagogo, musicista e grande artista figurativo. Un gioiello che arricchisce l'Isola e ha sicuramente appagato i numerosi presenti al Festival. Mi complimento con lui, lo ringrazio per il tributo all'amico e, naturalmente lo abbraccio forte!

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    1. "Mai come oggi pensare con Epicuro è un potente antidoto all'ansia rispetto alla propria vita". Hai ragioni da vendere, Maria. Cercare la felicità è stato il programma di Epicuro, e quanto questo possa essere rivoluzionario in tempi come i nostri votati all'infelicità (anche e soprattutto perché si confonde allegramente la felicità con l'ingordigia sfrenata), non c'è alcun bisogno di essere provato. Ti sono immensamente grato per questo attento e puntuale contributo.
      Franco

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