domenica 1 agosto 2021

FRANCESCO DE CARIA LEGGE: "AL DILA' DELLE PAROLE" DI LINO D'AMICO

 

Francesco De Caria legge:

“Al di là delle parole” di Lino D’Amico

 

Al di là delle parole

 

Vorrei ancora parlare con te...

al di là di parole assorte

e sguardi stupefatti,

distillati in una eco

muta nella fragilità dei silenzi

dispersi nella brezza del tempo

dove ancora danzano miraggi

nella nostalgia di un amore.

 

Vorrei ancora fantasticare…

una cascina dalle persiane verdi

e  tetti con  tegole rosse,

una grande aia, un fienile, due cani,

rossi gerani ai davanzali,

e tu che mi venivi incontro, a sera,

con il grembiule arrotolato a vita

e braccia tese in un’abbraccio.

 

Vorrei gioire ancora del tuo sorriso,

intrecciare le mie mani fra i tuoi capelli,

accanto a quel camino che crepitava braci,

ma tutto à svanito, dissolto

come effimera bolla di sapone

nell’attimo di quel doloroso addio…

vorrei, ma sarebbe ancora un miraggio,

bellissimo nella sua irrealtà.


Il fantasma del passato si fa pressante nei versi del D’Amico, mano a mano che la memoria si addentra nella dimensione memoriale: è una prerogativa del procedere dell’età di soffermarsi meno sulla prospettiva del futuro e più sulla lunga prospettiva dei ricordi che collegano il presente ad una vita vissuta. E i momenti su cui il ricordo si sofferma con insistenza sono quelli dell’infanzia e della giovinezza. Meno sui momenti dell’età adulta e matura, quando davvero l’individuo realizza se stesso, alla lettera, fa della propria esistenza una realtà particolarmente importante  per sé e per chi ha a che fare con lui, coi famigliari, con colleghi o dipendenti nel mondo del lavoro….

E perlopiù la giovinezza, una giovinezza ancora acerba volta alla scoperta, si fa pressante nei ricordi… Compagni di scuola o di gioco, ragazze magari a loro volta acerbe su cui per prime si è posato lo sguardo soprattutto del cuore… Tali memorie  personali si fanno pressanti, sino a mettere nell’ombra tutto quanto si è vissuto e si è compiuto, “tra gioie e dolori”come si dice, nella realtà esistenziale, una realtà lunga decenni, laddove quei ricordi fra infanzia e giovinezza riguardano un periodo che di anni ne assomma pochi, pochi, ma intensissimi, come anche la Psicologia  mette in evidenza nelle sue ricerche. Intensi perché intreccio di timori, aspettative, speranze, timori, paure legate ad un Mondo da scoprire, un Mondo che per un giovinetto ha sovente la dimensione della figura femminile. Ed ecco in questi versi del D’Amico la trepidazione ei timori di una acerba dichiarazione d’amore, della scoperta di una dimensione, di un mondo nuovo, che fra gioie e dolori lascia stupefatti e talora attoniti di fronte a spettacoli che poi, nella lunga età matura si perdono nella banalità del vivere quotidiano, fra le sue “piccole” cose sovente scambiate per cose fondamentali: e sono memorie “arcaiche” legate perlopiù alla dimensione eterna del paesaggio rurale – non è così per Pavese, non è così per Fenoglio? – una dimensione resa eterna dalla letteratura e dall’arte.Ore 16:31 29.7..21 Il tema della nostalgia dà materia ai versi del D’Amico, una nostalgia resa struggente dalla consapevolezza dell’impossibilità di rivivere quei momenti, di rivedere con gli occhi di allora quei paesaggi: troppa esperienza di vita toglie innocenza allo sguardo di chi ha vissuto: si è perduta nella piena maturità la capacità di essere stupefatti nelle varie situazioni o di fronte a certe visioni. Come all’origine stessa del far poesia, è l’esperienza fondamentale dell’amore a dar materia al canto. Anche la poesia epica ha alla base il sentimento dell’amore. Qui il “recupero” impossibile di una capacità di abbandonarsi, di meravigliarsi, di uno sguardo stupefatto sulle cose s’intreccia con l’immagine di una lei che attende l’innamorato a braccia tese: ci sono evidenti spunti pittorici, pochi tocchi efficaci, le “tegole rosse”, il verde delle persiane, e ancora il rosso dei gerani, un rosso persistente che rinvia al sangue che scorre impetuoso nelle vene: rosso della vita, rosso della passione, rosso delle braci nel camino – evidente rimando a quanto bruciava dentro i due giovani – dove col passar degli anni il fuoco ha lasciato posto al grigio della cenere: e in un troppo rapido passaggio l’ardore ha lasciato  il posto alla cenere. Ma qui, inaspettata, una immagine che suggerisce – contestualmente al senso della fragilità estrema – la capacità irriducibile di meravigliarsi ancora: la bolla di sapone bellissima nella sua iridescenza evanida, che evoca ancora lo stupore, che si credeva perduto, nello sguardo di chi non sa davvero arrendersi a considerare l’ esistenza vissuta come un mucchietto di cenere, ciò che resta, nel camino di un legno nel quale un tempo è scorsa la linfa della vita, nel perenne passaggio morte-resurrezione insito nella vicenda stessa della natura ad ogni risveglio primaverile e ad ogni “morire” nell’inverno.

Francesco De Caria

1 commento:

  1. Francesco De Caria, professore che conosciamo, perché è stato già in passato l'ottimo esegeta del nostro Lino, si conferma in questa occasione recensore d'eccezione, in quanto coglie l'essenza della poetica del caro amico asserendo:"Il tema della nostalgia dà materia ai versi del D’Amico, una nostalgia resa struggente dalla consapevolezza dell’impossibilità di rivivere quei momenti, di rivedere con gli occhi di allora quei paesaggi". La lirica postata vola infatti sull'ebbrezza della memoria, dei momenti vissuti nella cascina dell'infanzia. Riavvita la bobina delle immagini della madre "con il grembiule arrotolato a vita /e braccia tese in un’abbraccio". Colpisce la chiusa di dolorosa consapevolezza. Il Poeta è consapevole di cadere nella trappola dei ricordi, ma non sa e non può farne a meno. Il suo ermeneuta lo legge con arguzia e con l'affetto di chi si fonde con l'anima dell'Autore. Bellissima pagina per la nostra Isola dei Sogni. Il nostro Nume Tutelare ne sarà felice. Lo stringo al cuore insieme a Lino e saluto ammirata il professor De Caria.

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