UN’INTERESSANTE
NOVITÀ EDITORIALE
Edito dall’Istituto Culturale del Mezzogiorno,
nel febbraio di quest’anno ha visto la luce, a cura del giornalista e scrittore
Antonio Filippetti, un ben fatto volume
intitolato Liberi in poesia – Alle origini del linguaggio creativo. È
una vera e propria indagine sulla poesia, condotta attraverso 19 interviste ad
altrettanti noti poeti che, nelle loro
risposte, cercano - per quanto possibile
- di definire la poesia, indicandone essenza, ruolo, finalità.
La premessa e l’introduzione sono firmate da Antonio Filippetti. Seguono poi,
nell’ordine, le interviste a Pasquale
Balestriere, Giuseppe Bilotta, Corrado
Calabrò, Antonio Cervelli, Fabio Dainotti, Enzo Dall’Ara, Marisa Papa Ruggiero,
Gerardo Pedicini, Anna Maria Petrova, Ugo Piscopo, Nicola Prebenna, Laura
Sagliocco, Antonio Spagnuolo, Lucia Stefanelli Cervelli, Piero Antonio Toma,
Raffaele Urraro, Tina Vaira, Giuseppe Vetromile, Lorenza Rocco. In coda a ogni
intervista è posta una poesia dell’autore chiamato in causa. Dopo una Nota
del “Cantastorie” Antonio Filippetti, è riportata una breve biobibliografia di ogni scrittore
inserito. Chiude il libro un’appendice su I
200 anni de L’infinito di Giacomo Leopardi – Un compleanno poetico d’eccezione.
Davvero un bel libro, ricco di spunti per chi ama riflettere.
Proponiamo di seguito l’intervista al nostro
collaboratore Pasquale Balestriere.
Pasquale Balestriere, collaboratore di Lèucade |
1) La
prima è una domanda che può sembrare ovvia o banale, ma ci può dare una sua
personale definizione di poesia?
In senso lato -e vale per tutte le arti
creative- la poesia è ciò che fa fremere
il cuore di forza, di verità, di grazia; che provoca passione, incarna
bellezza, genera emozione estetica. In senso stretto è una forma di scrittura
che, espressa prevalentemente in versi, svela il mondo interiore di quegli
spiriti sensibili che vivono, spesso con drammatica intensità, esperienze e
momenti dell’esistenza. A condizione però che essi abbiano gli strumenti adatti
– pieno possesso della lingua e stile adeguato- per comunicarli nella loro
peculiarità; e che tali strumenti nell’atto creativo improntino di sé -
immediatamente, naturalmente e fervidamente - l’emozione che scuote l’anima o
l’evento che vi irrompe. Anche per me la
poesia è un modo per dirmi. Innanzitutto a me stesso, poi agli altri.
2)
Come si diventa (ci si scopre) poeti?
Tutti gli esseri umani hanno in sé la capacità
di percepire il bello, anche se in forme e modi diversi. A far la differenza
tra i percettori passivi di poesia, cioè i fruitori, e quegli attivi, cioè i poeti, sono in egual
misura una fine sensibilità da un lato e, dall’altro, il possesso dei ferri del
mestiere, cioè di quella potenzialità linguistica che permetta la piena
espressione dell’interiorità poetica che
urge e reclama di venire alla luce; meglio ancora se il tutto è condito
dall’amore verso la poesia scritta da altri, soprattutto dai grandi. Non “si diventa” poeti. Penso piuttosto che
ci si scopra poeti quando un’esigenza di verità e di bellezza ci pervade,
spingendoci a dire il sentimento che ci scuote con forza, l’impressione che
chiede immediata la parola. È quello il momento in cui si sente di dover dire
le cose in un modo e non in un altro, con quel linguaggio, con quelle pause,
con quei suoni, con quegli accapo. È la poesia che si sceglie la sua veste.
Quella del poeta è quasi solo una funzione medianica.
3)
Quale rapporto esiste oggi tra il poeta e la società?
Tra il poeta e la società o, se si vuole, il
pubblico, c’è sempre stata notevole
distanza, tranne -forse- nell’antichità classica latina e greca e, in tempi
moderni, nell’epoca romantica, quando il poeta assumeva quasi una funzione di
vate, di guida. Perché tale distanza? È evidente che il poeta, più attento alla
vita interiore, privilegi i valori dello spirito, mentre il popolo è teso, a
volte in modo feroce, all’accumulo e al consumo di beni materiali. E tale
cupidigia di ricchezze non è solo un male dell’epoca nostra se già il poeta
latino Orazio, verso il 35 a. C., era
costretto a riconoscere che la stragrande maggioranza degli uomini del suo
tempo era agitata da bramosia di ricchezze e che un uomo veniva valutato non
per i meriti, le virtù e le qualità, ma per quello che possedeva, per i suoi
beni materiali (“tanti quantum habeas sis, Sat. I, 1, 62). La divaricazione tra
il poeta e la società si configura e si esprime in una forbice sempre più
ampia e a poco vale che molti poeti
tentino di fare poesia sociale. Il poeta oggi è percepito - con ironica e sprezzante sufficienza - come appendice molto secondaria e quasi inutile
di questa società in buona parte disumanizzata,
che pone un bieco profitto come
fondamentale, e forse unico,
impegno di vita.
4) La
poesia può essere uno strumento utile per il cambiamento sociale o è destinata
a rimanere in un recinto esclusivamente
personale, quando non edonistico?
Se ragiono a mente fredda, sono fortemente
scettico sull’ipotesi che la poesia possa cambiare qualcosa nella società. La
poesia genera emozioni, riscalda il cuore, a volte infonde grazia, può anche sollecitare la mente
e comunicare al percettore idee positive. Ma non è detto che queste si
traducano in atteggiamenti consequenziali. Anzi il più delle volte non avviene.
Eppure bisogna continuare a credere in una qualche forma di miglioramento in
cui la poesia abbia un ruolo, magari anche modesto, ma evidente. Altrimenti
essa rimane, allora sì, relegata a un ambito strettamente personale, asfittico,
concluso; ed edonistico, nel suo significato più povero ed egoistico.
5) Tra le attività creative, quale ruolo
occupa oggi la poesia?
Secondo Giacomo Leopardi, il poeta era
poco considerato dalla società del suo
tempo. Si può dire che oggi la situazione
sia cambiata?
Ritengo
la poesia svantaggiata rispetto ad altre forma artistiche, come
scultura, pittura e musica. Ciò è dovuto, secondo me, al fatto che
l’elaborazione di immagini o di suoni
è immediata e “libera”, nel senso che ognuno
tempestivamente vede nella statua e nel quadro o sente nella musica ciò che gli
pare, ossia ciò che sa e può. La poesia implica un’elaborazione più complessa,
che passa attraverso il filtro della lingua,
e impone - anche per un livello semplice e immediato di comprensione
-strumenti che non tutti posseggono. E
c’è un altro aspetto che rende la poesia meno appariscente delle altre già
citate arti ed è l’impiego dei materiali di supporto. Alla poesia, arte povera,
basta carta, penna, voce. Non così per la scultura (marmo, legno, pietra e
altri materiali oltre a un corredo, anche vistoso, di utensíli vari), per la
pittura ( tele o altri materiali, cavalletto, colori, pennelli ecc.); per la
musica (carta, penna, strumenti per riprodurre i suoni). Anche l’ampio corredo
di “strumenti di produzione” conferisce visibilità e sostanza a quelle arti e
alle figure che le interpretano. Eppure l’arte apparentemente più dimessa, la
poesia, attraverso la formidabile resa della parola (verbum, lògos) può
riuscire a superarle e contenerle tutte. Si pensi alla Divina Commedia,
architettura dell’universo, scultura della vita, pittura dei sentimenti, musica
spesso tragica di passioni.
Quanto al resto occorre aggiungere che, se al tempo di Leopardi il poeta
era poco considerato, oggi le cose non sono certo migliorate. Il Recanatese
aveva almeno “gli amici di Toscana” ed un certo Antonio Ranieri che gli fu di
grande aiuto; il poeta dei nostri tempi, crassi e imbarbariti, rischia
l’isolamento più totale.
6)
Perché, a suo giudizio, ci sono tanti poeti e così pochi lettori di poesia?
Il
paradosso è dovuto al fatto che fare
poesia è diventato un vezzo:
innanzitutto di chi, per essere un personaggio pubblico, ha canali
privilegiati di comunicazione o trova
editori immediatamente disponibili a pubblicarlo: così scopriamo un folto gruppo di “poeti” e “narratori” (con
i rispettivi femminili) in attori, calciatori, cantanti, politici (!); o anche
in soubrettes, veline, perfino escort, e
così via: perché oggi la quasi totalità degli editori brama solo il ritorno
finanziario e ha rinunciato del tutto a cercare la qualità, prostituendosi al guadagno. C’è poi un’altra massa di “poeti” in
categorie umane quasi insospettabili: casalinghe (annoiate), studenti (svogliati),
operai (politicizzati), giovinette (innamorate e sognanti), ecc. Si tratta di
dilettanti allo sbaraglio, con scarsissima esperienza di lettura, che
pretendono di scrivere versi senza essere mai venuti veramente a contatto con
la poesia. Questa pletora di pseudo-poeti neppure immagina che la poesia è
affare serio che richiede rispetto e preparazione. E, prima di ogni altra cosa,
umiltà.
Per
rispondere alla domanda dico che i veri poeti (che sono pochi) leggono. Non lo
fanno gli pseudopoeti e neppure quelli che tendono solamente e biecamente al
guadagno; purtroppo non può leggere la generalità di coloro che devono
guadagnarsi la sopravvivenza.
7)
Come vede la funzione del poeta in futuro, ci sarà ancora spazio per la poesia?
Intanto
si può dire che ci sarà comunque la poesia, almeno fino a quando ci sarà
l’uomo, del quale la poesia è una delle potenzialità. Quale spazio potrà avere
in futuro non so, ché ciò dipende da tanti fattori. Certo è che oggi è relegata
all’angolo perché, come s’è detto, questa nostra è l’epoca della corsa all’oro,
al consumo, al godimento, al potere; è l’epoca della galoppante
disumanizzazione che fa giustizia
sommaria di ogni verità, di ogni grazia. Andando avanti così, quella del poeta
sarà una figura sempre meno importante e significativa.
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RICEVO E PUBBLICO:
RispondiEliminaAncora un riconoscimento importante per Pasquale Balestriere, l'inserimento cioè in questa specie di antologia che, a prima vista, sembra un manuale di salvataggio per un genere letterario in estinzione. Sì, perché al contrario delle previsioni ottimistiche del Nostro, la poesia è moribonda. Lasciando a parte le caterve di pseudo-poeti – non so chi disse che questi “pullulano più degli imenotteri”- che sperano con i loro pensierini di avere un ritorno di immagine, nessuno legge più testi poetici. Le opere più importanti sono state tradotte in film ed erano proprio le storie che interessavano, lo svolgersi di azioni avventurose o grandi innamoramenti. Non credo che anche nei tempi passati si apprezzasse la metrica anche se questa serviva alla gente a memorizzare i passi più salienti. Io non sono giovane e i miei studi sono stati piuttosto rigorosi ma non ho mai sentito uno dei miei professori lodare la particolare bellezza di un verso. Neanche da Bruno Cavallini – che era lo zio di Vittorio Sgarbi – e si toglieva gli occhiali per recitare con aria ispirata qualche lirica. Un tempo non c'era la radio, non c'era la TV, c'era la lettura come forma di svago. Adesso, quando uno torna a casa stanco dal lavoro, dopo aver ringraziato il cielo di aver salvato la ghirba, non sta a leggere le poesie della tanto osannata Merini ma si mette davanti al televisore e dopo un poco si addormenta. E poi gli innamorati: era quasi obbligo regalare all'amata “Miranda” di Fogazzaro o qualche altro poemetto equivalente, ora invece si scrive sullo smartphone TVB. E anche noi, nostalgici cantori vecchia maniera, troveremo altre forme di espressione per esternare i nostri sentimenti. Se una suora sgambetta in TV a “Ballando con le stelle” asserendo che questo è un nuovo modo di servire il Signore bisogna che ci rassegniamo obtorto collo all'evoluzione dei tempi.
Carla Baroni
Grazie, Carla, per il commento.
RispondiEliminaNon è previsione ottimistica esser convinto che la poesia non morirà, almeno fino a quando non si estinguerà il genere umano. Fino ad allora esisteranno sempre i ribelli, gli anticonformisti, i cercatori di bellezza, di emozione, di vita vera. Perché la poesia è straordinarietà, eccezionalità, unicità. E va ben al di là di eventuali lettori e di potenziali giudizi di valore. La poesia dunque vivrà con l'uomo, essendone parte integrante. "Come vivrà?" Ecco, su questo si potrà discutere.
Pasquale Balestriere
Con tutta spontaneità sento vivamente esternare, all'amico Pasquale,il mio sentito plauso per questa Sua soddisfazione di Poeta nell'essere annoverato in codesto volume che vuole dare un'impronta dell'evolversi della poesia odierna. Un doppio plauso per le risposte più che appropriate e dotte nell'intervista. Volendo esprimere un mio modesto pensiero, dico che: se la poesia contemporanea continua a perseverare nell'andazzo intrapreso, si hanno buone ragioni a pensare e dire che è "moribonda" come scrive la Baroni e senza speranza di ripresa poichè non s'intravede, a medio o lungo termine uno squarcio d'azzurro. Sarò banale e forse ripetitivo nell'affermare che una delle cause, per me determinante, oltre a quelle sapientemente elencate nell'intervista da Pasquale, perchè l'arte poetica non resti ancora la cenerentola fra le stesse, è quella della mancata chiarezza espositiva e del "linguaggio poetico",le quali mancanze non inducono, non invitano, non incitano alla lettura. Non si può certo scrivere poesie astruse e con il linguaggio della prosa. La poesia ha un linguaggio proprio, così come la narrativa, la saggistica, la cronaca ecc. ecc. Auguroni Pasquale. Pasqualino Cinnirella
RispondiEliminaInnanzitutto, grazie, caro Pasqualino, per essere intervenuto e per le parole di stima nei miei confronti. Sono sostanzialmente d'accordo con te sulle argomentazioni che adduci, anche sulla necessità di un linguaggio poetico chiaro e accessibile. La poesia non ha per nulla bisogno di evoluzioni e circonvoluzioni mentali, ma di un animo acceso alla vita, alla forza e alla bellezza che da questa promana. Quanto alla poesia "moribonda" sono convinto - ed è dimostrato dalla storia della letteratura mondiale- che esistano, soprattutto per questa arte antica e nobilissima, momenti più propizi alla sua piena e alta espressione e momenti, come quello attuale, meno propizi. Ma la poesia non sarà mai "moribonda", almeno fino a quando non sarà moribondo l'essere umano che la incarna e la esprime.
RispondiEliminaPasquale Balestriere